“L’amico del popolo”, 28 agosto 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

L'ECLISSE (Italia, 1962), regia di Michelangelo Antonioni. Soggetto e sceneggiatura: Michelangelo Antonioni, Tonino Guerra. Collaboratori alla sceneggiatura: Elio Bartolini, Ottiero Ottieri. Fotografia: Gianni di Venanzo. Montaggio: Musica: Giovanni Fusco. Con: Monica Vitti, Francisco Rabal, Alain Delon, Louis Seigner.

"Ho eliminato molte preoccupazioni e sovrastrutture tecniche, ho eliminato quindi tutti quelli che potevano essere i nessi logici del racconto, gli scatti da sequenza a sequenza per cui l'una sequenza faceva da trampolino alla successiva; proprio perché m'è sembrato, e ne sono fermamente convinto, che oggi il cinematografo debba essere piuttosto legato alla verità che alla logica".

(Michelangelo Antonioni, 1961)

"1962. A Firenze per vedere e girare l'eclisse di sole. Gelo improvviso. Silenzio diverso da tutti gli altri silenzi. Luce terrea, diversa da tutte le altre luci. E poi buio. Immobilità totale. Tutto quello che riesco a pensare è che durante l'eclisse probabilmente si fermano anche i sentimenti. E' un'idea che ha vagamente a che fare con il film che sto preparando, una sensazione più che un'idea, ma che definisce già il film quando ancora il film è ben lontano dall' essere definito. Tutto il lavoro venuto dopo, nelle riprese, si è sempre rapportato a quell'idea o sensazione o presentimento. Non sono più riuscito a prescinderne" "Io credo che si abbiano dei sentimenti verso gli oggetti; è ancora un modo per aggrapparsi alla vita" "Ciò che mi interessa ora è di mettere i personaggi in contatto con le cose, perché sono le cose, gli oggetti, la materia, che hanno un peso oggi".

(Michelangelo Antonioni, 1964)

Apprestandosi a girare "L'eclisse", Antonioni dichiarava: "E' il film in cui prenderò il massimo dei rischi; dopodiché o avrò guadagnato la partita per molto tempo oppure sarò definitivamente rovinato come autore e come cineasta". Oggi questo film è considerato un punto di arrivo della ricerca del regista, uno dei suoi risultati più convincenti. Film di straordinaria modernità, di rara essenzialità e qualità estetica, "L'eclisse - ha ben detto Tassone - è Antonioni allo stato puro": il regista proietta sul personaggio di Vittoria (Monica Vitti) il proprio modo di vedere il mondo, in particolare il proprio interesse per la materia e per gli oggetti. Rispetto ai film precedenti, la crisi dei sentimenti è collocata in un contesto più ampio, è messa in relazione alla crisi della società capitalistica, dove il denaro è elemento di alienazione e l'uomo è ridotto a merce, a oggetto. Proprio gli oggetti sono i veri protagonisti del film, tanto da prendere il posto delle persone nel finale. Fin dalla prima sequenza sembrano animati (il ventilatore, i fogli mossi dal vento), al contrario dei personaggi che sono vuoti, privi di entusiasmo. Nel film le emozioni, le nostre come quelle di Vittoria, nascono dagli oggetti e non dalle persone (Vittoria è affascinata dal mondo materiale e delusa dai suoi simili). Gli oggetti, contrariamente ai personaggi, sono vivi perché sono "se stessi"; sono gli unici superstiti della crisi perché gli unici a mantenere la propria identità: sono gli uomini che tendono a diventare oggetti e non viceversa (oggi si potrebbe dire, pensando ai computer e alla robotica, che anche gli oggetti tendono ad "umanizzarsi"). Le cose hanno la sensibilità che manca alle persone: sono gli uomini ad "eclissarsi", ma sono gli oggetti ad esprimerne l'eclisse (vedi Il faro nell'ultima inquadratura). Piero e Vittoria sono separati fin dall'inizio e sono ancora gli oggetti a rendercelo evidente in immagini che sono la quintessenza del film: si pensi al pilastro che separa i due personaggi durante lo splendido minuto di silenzio alla Borsa (tutto muore per un minuto, tranne i telefoni che continuano a squillare) o al vetro attraverso il quale i due si baciano (ed è proprio questo non-bacio ad essere il più appassionato). Si nota poi la tendenza del regista a dissolvere la distinzione tra cose e persone in una continuità figurativa che dà importanza non solo agli attori ma anche (e soprattutto) a ciò che li circonda: per esempio soffermandosi sullo sfondo prima dell'entrata e dopo l'uscita di scena dei personaggi (caratteristica che Antonioni ha in comune con altri due grandi cineasti: Bresson e Ozu). Nel finale quella distinzione viene a cadere definitivamente, quando un volto viene scomposto inquadrandone i dettagli, così come, subito dopo, vengono colti i particolari di un palazzo. "Come in poesia - fa notare Tassone - episodi e inquadrature si susseguono per analogie espressive, più che per concatenazione drammatica". Le sequenze, apparentemente slegate, formano un intreccio di rimandi interni il cui significato si svela solo a chi vuol capire l'essenziale e ormai maturo linguaggio di Antonioni, il suo modo di caricare di significato le cose e le situazioni. Notiamo allora come determinati oggetti vengano associati a determinate situazioni che si ripresentano modificate più avanti, in una sorta di "legame a distanza" tipico del discorso poetico: si pensi alla saracinesca che inizialmente è associata all'incontro di Piero con quella che egli chiama la sua "bestiola" e più avanti alla presenza di Vittoria (che sua "bestiola" non è e non vuole essere); si pensi al bidone e al calesse nel luogo dell'appuntamento, che dapprincipio sono associati alla presenza dei due personaggi e alla fine ne denotano l'assenza. "L'eclisse" è un intreccio di vuoti e di pieni, di dilatazioni e improvvise concentrazioni del tempo. Come note nel silenzio, gli eventi sono sospesi nel vuoto, a creare una trama che spesso ha l'unica funzione di sostenere i "tempi morti" e di caricarli di significato (ad esempio le interruzioni del silenzio col rumore dei camion nel finale). Nello splendido finale, un senso di inquietudine e di vuoto - lo stesso vuoto dei due protagonisti e della società in cui viviamo (il film è ancora più attuale oggi di quanto non lo fosse negli anni '60) - si insinua nello spettatore grazie alla musica, ai rumori, alle inquadrature di oggetti e di volti ridotti a oggetti, che si susseguono casualmente in un apparente "vuoto di senso". E' proprio da questo vuoto palpitante che nasce la forza di quelle immagini.

(Alessio Liberati)

L'ECLISSE (Italia, 1962), regia di Michelangelo Antonioni

 

Una poesia al giorno

Di voi mi innamorai, di Aleksandr Sergeevič Puškin (1829)

Di voi mi innamorai, e questo amore puro
nell’alma mia ancor si potrebbe ridestare;
scordatemi, non vi inquieterò, lo giuro,
non voglio niente che vi possa rattristare.
Tacevo, senza speme, infatuato,
ero geloso, ero timido e soffrivo,
il mio amore fu sì tenero e ignorato:
Iddio vi faccia amare come vi ho amato io.

Я вас любил

Я вас любил: любовь ещё, быть может,
В душе моей угасла не совсем;
Но пусть она вас больше не тревожит;
Я не хочу печалить вас ничем
Я вас любил безмолвно, безнадежно,
То робостью, то ревностью томим;
Я вас любил так искренне, так нежно,
Как дай вам бог любимой быть другим.

 

Un fatto al giorno

28 agosto 1917: dieci Suffragette vengono arrestate mentre picchettano la Casa Bianca.

“Con il termine Suffragette si indicavano le appartenenti a un movimento di emancipazione femminile nato per ottenere il diritto di voto per le donne (dalla parola "suffragio" nel suo significato di "voto"). In seguito la parola "suffragetta" ha finito per indicare, in senso lato, la donna che lotta o si adopera per ottenere il riconoscimento della piena dignità delle donne, coincidendo in parte quindi con il termine femminista”.

(Wikipedia)

“Nell’agosto del 1917 proprio davanti alla Casa Bianca il presidente Woodrow Wilson venne contestato da alcune donne che chiedevano con insistenza che supportasse un emendamento alla Costituzione che avrebbe garantito loro il diritto di voto.
Wilson aveva moderatamente sostenuto il suffragio femminile e le richieste delle suffragette - così venivano chiamate le dimostranti - durante le campagne politiche e ne aveva accolte in precedenza alcune alla Casa Bianca. Ex insegnante in un college femminile e padre di due figlie, che si consideravano a loro volta “suffragette”, era stato inizialmente ritenuto vicino alle istanze delle donne americane. Durante la campagna presidenziale del 1912 contro Theodore Roosevelt, Wilson e il suo avversario si trovarono concordi su molte proposte di riforma, quali le leggi sul lavoro minorile, ma differirono sul tema del suffragio femminile, che vedeva Roosevelt a favore di concedere il voto alle donne.
Quella mattina il presidente, che le suffragette avevano ribattezzato “Kaiser Wilson” con riferimento a quello che ritenevano ormai un atteggiamento intransigente nei confronti del riconoscimento dei loro diritti, uscì dalla Casa Bianca insieme alla moglie e si tolse il cappello in segno di saluto verso le manifestanti. A quel punto le suffragette lo contestarono apertamente in termini sempre più aggressivi, agitando all’indirizzo di Wilson dei cartelli contro l’intervento americano in guerra. Più tardi quel giorno le manifestanti e dei passanti favorevoli all’intervento delle truppe USA vennero alle mani e 10 suffragette furono arrestate - il loro numero salirà a 218 entro Novembre di quell’anno. Alcune di loro, fra cui Alice Paul, leader del Partito Nazionale per l’Emancipazione delle Donne, iniziarono uno sciopero della fame e si fu costretti ad alimentarle forzatamente. Wilson, scosso da questi fatti e preoccupato per la pubblicità negativa che ne derivava per la sua amministrazione, accettò infine un emendamento a favore del suffragio femminile nel gennaio 1918. Nell’agosto 1920, verso la fine del suo secondo mandato presidenziale, il Congresso approvò il 19° emendamento, dando ufficialmente alle donne il diritto di voto”.

(Alessandro Guardamagna)

 

Una frase al giorno

“Se devo scegliere tra la giustizia e la pace io scelgo la giustizia”.

(Theodore Roosevelt, 1858-1919, 26° presidente degli Stati Uniti)

Theodore Roosevelt, 1858-1919

“Roosevelt, Theodore, uomo politico (New York 1858 - Sagamore Hill, New York, 1919). Repubblicano, fu sottosegretario alla Marina (1897-98) e volontario nella guerra contro la Spagna (1898), governatore dello Stato di New York (1899-1900) e vicepresidente degli Stati Uniti (1901); subentrò come presidente (1901, rieletto 1904) a W. McKinley. All'interno combatté le concentrazioni monopolistiche; in politica estera promosse l'espansionismo e fu mediatore tra Russia e Giappone (1905), ricevendo per quest'opera il premio Nobel per la pace (1906). Durante la Prima guerra mondiale sostenne l'intervento in favore dell'Intesa, opponendosi poi all'adesione alla Società delle Nazioni.

(Enciclopedia Treccani)

Immagini in:

 

Un brano al giorno

Gioachino Rossini, Cantata in onore del Sommo Pontefice Pio IX (1847). Mariella Devia: Speranza, Paul Austin Kelly: L'Amor Pubblico, Michele Pertusi: Spirito della Cristianità, Francesco Piccoli: Corifeo. Orchestra e Coro Filarmonico del Teatro alla Scala di Milano. Direttore Riccardo Chailly

"Sacra cima, un dì superba": www.youtube.com

Gioachino Rossini, Cantata in onore del Sommo Pontefice Pio IX (1847)

Questa brillante Cantata fu eseguita il 1° gennaio 1847, come parte di un programma di festeggiamenti per il Papa Pio IX recentemente eletto, ampiamente accolto in Europa come riformatore papa. Rossini, in cattive condizioni di salute all'epoca, aveva accettato con riluttanza la commissione dell’opera. Per facilitarsi il compito, utilizzò cinque dei movimenti dalle sue opere napoletane, "Armida" (1817), "Ricciardo e Zoraide" (1818) e dall'opera parigina "Le siege de Corinthe" (1826). Modificati i pezzi e uniti a recitativi di nuova composizione, insieme a un nuovo libretto del conte Giovanni Marchetti, ottenne un lavoro spettacolare. La Cantata fornisce un esempio illuminante delle pratiche compositive di Rossini nell'adattare brani esistenti a nuovi contesti. Tornata in auge nel 1992, la Cantata richiede grandi forze esecutive, tra cui quattro cantanti solisti, coro misto con voci soliste, orchestra piena. Il cast, che prende le parti di figure completamente allegoriche, comprende: Mariella Devia - Speranza, Paul Austin Kelly - Este pubblico, Michele Pertusi - Spirito del Cristianesimo, Francesco Piccoli - Corifeo.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k