“L’amico del popolo”, 29 aprile 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

CARAVAGGIO (Gran Bretagna, 1986), regia di Derek Jarman. Sceneggiatura: Nicholas Ward Jackson, Derek Jarman, Suso Cecchi D'Amico. Fotografia: Gabriel Beristain. Montaggio: George Akers. Musica: Simon Fisher-Turner. Con: Nigel Terry, Tilda Swinton, Sean Bean, Spencer Leigh, Michael Gough, Dexter Fletcher, Nigel Davenport, Gary Cooper, Robbie Coltrane.

Fuggiasco a Porto Ercole, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio ivi muore nel 1610. Lo assiste il fedele servo muto Jerusalemme. Si rivive la vita tormentata e tempestosa che il pittore condusse a Roma, tra sordide avventure, risse e traversie di ogni genere; gli incontri amorosi con l'amante Lena e con l'altro amante - il più noto fra i modelli - Ranuccio Tomassoni che poi Caravaggio uccise a coltellate; infine è tutta una sfilata di gente illustre o di bassa estrazione, con cui il pittore si ispirava per le sue opere più celebri. Nell'agonia, il Caravaggio riepiloga volti ed episodi, ricorda i vertici raggiunti, i potenti incontrati, i momenti intensi della sua dissipazione come della sua fama, ancora oggi straordinaria.

CARAVAGGIO (Gran Bretagna, 1986), regia di Derek Jarman

"Pittore geniale e lombardo balordo. Michel Angelo Merisi (1573-1610) è un soggetto ideale per il cinema: vita ribalda e vagabonda di ventura con risse, ferimenti e un omicidio, torbidi rapporti con i potenti della Chiesa e i bassifondi, - in odore di eresia per le inclinazioni pauperistiche e le simpatie verso Giordano Bruno e i protestanti, morte romanzesca. Il cinema gli si adatta anche perché è il pittore senza il quale, forse, Rembrandt e Velasquez sarebbero stati diversi: Jarman lo tiene per l'inventore della luce cinematografica. Eppure lo si è visto sullo schermo soltanto due volte: la prima al cinema nel 1941 con Amedeo Nazzari, la seconda volta sui teleschermi nel 1967 con Volonté e la regia di Silverio Blasi. (...) La chiave di lettura del personaggio di Caravaggio è di un'esplicita omosessualità o, meglio, di un'ostentata ambiguità bisessuale. Eppure, sebbene sia impregnato di un diffuso erotismo e di una violenza non sempre trattenuta, questo film sulla pittura è casto. Jarman si è divertito: oltre a Caravaggio di cui mima i quadri celebri alla maniera del Godard di 'Passion', cita Dreyer e gli espressionisti, lascia fuori l'azzurro - dalla fotografia (Caravaggio diceva che il blu è veleno), esibisce un anticlericalismo all'acido prussico, si affida a un commento 'off' di un lirismo non sempre di buona lega. Caravaggio è Nigel Terry (doppiato da Francesco Carnelutti); tra gli altri ci piacerebbe rivedere al lavoro Tilda Swinton che fa Lena, fulva meretrice di scattante energia e di obliquo sessappiglio."

(Morando Morandini, 'Il Giorno', 15 giugno 1987)

CARAVAGGIO (Gran Bretagna, 1986), regia di Derek Jarman

“Nella prigione di un corpo malato e agonizzante ‘Michele delle ombre’ evade nel ricordo, ripercorrendo la sua vita segnata da genialità e sregolatezza.
Non è morente sulla spiaggia di Porto Ercole, si trova disteso in un letto all’interno di una casa assistito dal suo giovane servo Jerusalem, compagno della sua solitudine, testimone muto della sua esistenza.
Personaggio creato per consolare ed assistere senza la possibilità di emettere giudizio.
La malattia è una costante nell’anima e nella carne, nella sofferenza sembra che la creatività si intensifichi e diventi l’unico scopo da inseguire fino alla morte.
Inevitabile specchio, riferimento autobiografico. Derek Jarman scopre di essere sieropositivo nel 1986. Lotterà contro la malattia fino al 1994 continuando, nonostante le gravi complicazioni derivanti dall’AIDS, la sua attività registica e sostenendo le lotte contro la legislazione anti-gay.
Jarman oltre ad essere un regista è anche un pittore e in questo c’è un’altra congiuntura d’immedesimazione con l’artista lombardo.
Il film Caravaggio esce proprio nel 1986 dopo sei anni di gestazione.
E’ un ritratto immaginario, una personale lettura di Michelangelo Merisi ma fedele alla sua personalità e alle sue emozioni più nascoste.
Si snoda sul doppio binario pittura e amore, giocando sulla continua citazione di gesti, movimenti, luci rubate al possente visionarismo caravaggesco.
La sua vita reale a confronto sembra un debole appiglio temporale di fronte a quello che poi lo renderà immortale. Ecco perché il regista si permette di stravolgere e ricreare gli eventi, per riuscire a focalizzare ed attualizzare in modo più efficace l’indole dell’artista.
Jarman attraverso il suo cine-teatro dipinge Caravaggio prima come un ragazzo di strada bello e dannato che si prostituisce per poter dipingere e poi da adulto lo trasforma in un ambiguo dandy ottocentesco sotto la protezione del Cardinal del Monte.
Le improvvise e fugaci incursioni moderne come luce elettrica, motociclette, macchine da scrivere, riviste, provocano un black out nel decorso delle immagini. Un senso di finzione che si vuol dichiarare allo spettatore.
Perché qui non è importante raccontare correttamente una storia, informare sugli eventi.
Il meccanismo è stato aperto, lo scopo è di esprimere libere considerazioni su Caravaggio, rendere attuale la sua poetica e i suoi turbamenti interiori.
Uno spirito creativo che osa sulla riflessione e l’indagine attraverso il linguaggio cinematografico.
La chiave di lettura verte sull’esplicita sessualità usata come merce di scambio che nasconde una feroce ricerca dell’affettività.
I personaggi sono espressi più dal corpo che dalla parola. Ognuno è definito da un pathos estetico essenziale, ben studiato, che lo racconta perfettamente.
L’unica voce che s’impone per tutto il tempo e riassembla il passato col presente è quella fuori campo dello stesso artista che sembra echeggiare dal suo letto di morte, per raccontarci la sua storia prima che sopraggiunga il silenzio della fine.
Sguardi intensi e provocanti rubati ai giovani soggetti dipinti da Caravaggio dalla spavalda fisicità sensualmente volgare.
Ragazzi di strada incontrati in una Roma popolana in cui lui stesso s’immergeva quotidianamente, dividendosi tra la frequentazione delle imbalsamate corti dimore dei suoi illustri committenti e le bettole malfamate dove assaporava la violenza delle passioni. Si sporcava con quel sangue che poi trasmutava in pigmento sulla tela.
Sempre sul limite tra vita e morte. E’ la vitale crudezza dell’essere da descrivere cronisticamente senza alternative. Quella vita violenta di nessuna speranza nessuna paura che arriverà fino a Pasolini.
Ricchezza e povertà si mescolano nella scena della festa in maschera in un rituale di seduzione e morte celebrato dal Pontefice-Satiro sullo sfondo del memento mori.
Personaggio interessante è il critico scettico che tratta con cinico snobismo le opere di Caravaggio. Lo ritroveremo protagonista in un tableaux vivants ispirato alla Morte di Marat di Jacques-Louis David, concentrato a scrivere una stroncatura sull’opera “Amore Vittorioso”.
Non è concesso sapere se gli sarà riservata la stessa fine del rivoluzionario francese pugnalato a morte in una vasca da bagno. Una virtuale vendetta rivolta alla categoria della critica?
Non esistono esterni. Nel film le azioni si svolgono tutte in una continua successione d’interni metafisici che richiamano il tipico spazio caravaggesco.
Un vuoto mistico. Per accogliere Dio bisogna svuotarsi di tutti gli elementi terreni.
Fondali scuri, rosso, ruggine, marrone su cui si susseguono tableaux vivants fino a quello finale della Deposizione, dove il corpo del Cristo diventa quello del Caravaggio morto, osservato dal se stesso bambino che inconsapevolmente assiste ad una premonizione del suo futuro.
Jarman non sfrutta un semplice flash back. I piani temporali si stratificano prendendo in considerazione anche la dimensione onirica. Tutto si ricongiunge in un moto ciclico di Nascita-Morte-Rinascita che rispecchia il valore mitico dell’artista che non può avere una fine fisica ma persiste contaminando per sempre il percorso della storia”.

(In www.sentieriselvaggi.it)

CARAVAGGIO (Gran Bretagna, 1986), regia di Derek Jarman

 

Una poesia al giorno

"La Primavera", di Theodore Agrippa D'Aubignè

Cerco i deserti, le rupi sperdute,
le foreste inesplorate, le querce cadenti,
ma odio le foreste dal folto fogliame,
i luoghi abitati, le strade polverose.
Piacemi mirar il ramo di bellezze disadorno,
calpestar il fogliame disteso dal vigore del'autunno e il loro dorato color.
Senza speranza mi offre il piacer dell'immagine della Morte.
Così come il tempo farà tremare senza posa
una gelida primavera
e un anno tempestoso
così prima del tempo
una fredda vecchiaia fin dalla mia giovinezza
i miei capelli imbianca.
Se talvolta spinto da un desiderio impaziente
vado a sfogar nei boschi il mio furore,
appassionandomi per la morte di una bestia innocente,
o spaventando le acque e i monti
con la mia voce, mille uccelli notturni
mille canzoni mortali,
mi circondano con volo ordinato,
sopra di me,
mentre l'aria, per contro, afflitta dai miei lamenti,
si oscura di gufi e di corvi all'intorno.
Le erbe appassiranno sotto i miei piedi
vedendo miseri occhi i cui tristi sguardi
recideranno i fiori e celeran tra le nubi la Luna,
il Sole e gli astri all'intorno.
La mia presenza asciugherà le fontane e gli uccelli in volo cadranno
ai miei piedi oppressi dalla violenza dei miei acuti dolori.
O mio Dolore, soffocami al par di loro.

Theodore Agrippa D'Aubignè

29 aprile 1630 nasce Theodore Agrippa d'Aubigné, soldato francese e poeta, nato nel 1552. Campione tenace del protestantesimo in Francia, ad esso dedicò tutta la sua vita e un insigne poema, Les tragiques, a cui resta affidato il suo nome e la memoria commossa degli eventi più funesti della guerra di religione combattuta nella seconda metà del sec. XVI fra cattolici e riformati.

 

Un fatto al giorno

29 aprile 1944: seconda guerra mondiale, l'agente britannico Nancy Wake, una figura di spicco della Resistenza francese e la persona più ricercata dalla Gestapo, si fece paracadutare di ritorno in Francia per essere un collegamento tra Londra e il gruppo locale dei maquis.

Nancy Wake

“SYDNEY - Tributi dalla Nuova Zelanda dove è nata e dall'Australia dove è cresciuta, per l'eroina della resistenza francese nella Seconda guerra mondiale Nancy Wake, la donna più decorata del conflitto, morta domenica a 98 anni in un ospedale di Londra. Ospite di una casa di riposo per reduci di guerra da quando aveva subito un attacco cardiaco nel 2003, era ricoverata per un'infezione polmonare. Soprannominata dalla Gestapo 'topo bianco' per la capacità di restare inosservata, divenuta la persona più ricercata dai nazisti, dopo un breve periodo come infermiera aveva lavorato come giornalista in Europa e sposato un uomo d'affari francese, Henry Fiocca, nel 1939. Rimasta bloccata in Francia dopo l'invasione nazista, divenne staffetta della Resistenza, quindi sabotatrice e spia. Tradita da infiltrati, fuggì a Londra ma il marito fu torturato e ucciso dalla Gestapo. Si fece poi paracadutare in Francia e divenne il principale collegamento fra Londra e i gruppi locali della resistenza. Addestrata dall'intelligence britannica in spionaggio e sabotaggio, aiutò ad armare e a guidare 7.000 combattenti della Resistenza, per indebolire le difese tedesche prima dell'invasione del D-Day negli ultimi mesi di guerra. Mentre distribuiva armi, denaro e libri in codice nella Francia occupata, sfuggiva sempre alla cattura, fino a diventare prima nella lista dei ricercati dalla Gestapo. "Era una donna di coraggio e di risorse eccezionali, i cui exploit temerari hanno salvato la vita di centinaia di soldati alleati e hanno aiutato a mettere fine all'occupazione nazista della Francia", ha detto la premier australiana Julia Gillard. "Oggi la nostra nazione onora una persona veramente eccezionale il cui altruismo, valore e tenacità non saranno mai dimenticati", ha aggiunto. In Nuova Zelanda, il ministro per gli affari dei reduci, Judith Collins, ha detto che Wake rimane un grande modello per tutti coloro che combattono per la libertà. "Nella mia opinione, il solo tedesco buono era un tedesco morto, e più morto era, meglio era", aveva detto in un'intervista di qualche anno fa. Il suo 'carniere' di decorazioni includeva la Legione d'Onore e tre Croci di Guerra dalla Francia, la George Medal dalla Gran Bretagna, e la Medaglia della Libertà dagli Usa. Nel 2004 aveva ricevuto l'onorificenza di Companion of the Order of Australia.”

(In www.ansa.it - 8 agosto 2013)

“Nome in codice “Il topo bianco”, Nancy Wake è l’audace spia alleata che è diventata la donna più ricercata dalla Gestapo durante la seconda guerra mondiale. La sua storia che è stata di ispirazione per il romanzo di Sebastian Faulkes sulla spia immaginaria Charlotte Gray è al centro del doc “Nancy Wake, la ricercata numero uno della Gestapo”, in onda venerdì 16 giugno alle 21.10 su Rai Storia. Nata in Nuova Zelanda, la Wake si trasferisce a Parigi, dove lavora come giornalista in tutta Europa e sposa un aristocratico francese, Henri Fiocca. Quando scoppia la guerra, diviene un collegamento vitale nella resistenza francese e, braccata da spie naziste, è costretta a fuggire a Londra e lasciare il marito. Torna in Francia come agente britannico dell’esercito segreto di Churchill. Nancy Wake è diventata la donna più decorata della storia - ricevette gli onori degli Alleati, dell’Inghilterra, della Francia, dell’Australia e della Nuova Zelanda, nonché la Medaglia americana di libertà. La ricostruzione della sua vita sono intervallate da interviste esclusive ai suoi amici più intimi, ai confidenti e agli storici”.

(In www.ufficiostampa.rai.it)

Immagini:

Nancy Wake

 

Una frase al giorno

“Il linguaggio è un labirinto di strade. Vieni da una parte e ti sai orientare; giungi allo stesso punto da un'altra parte, e non ti raccapezzi più.”

(Ludwig Josef Johann Wittgenstein, Vienna, 26 aprile 1889 - Cambridge, 29 aprile 1951)

Ludwig Wittgenstein è stato un filosofo, ingegnere e logico austriaco, autore in particolare di contributi di capitale importanza alla fondazione della logica e alla filosofia del linguaggio, e considerato da alcuni, specialmente nel mondo accademico anglosassone, il massimo pensatore del XX secolo

Ludwig Josef Johann Wittgenstein, Vienna, 26 aprile 1889 - Cambridge, 29 aprile 1951

 

Un brano al giorno

Carl Joachim Andersen, Au Bord de la Mer Op. 9, per flauto e pianoforte. Magdalena Krupa, flauto. Dagmara Niedziela, piano. 

Il 29 aprile 1847 nasce Joachim Andersen, flautista danese, compositore, direttore d'orchestra e co-fondatore della Berlin Philharmonic Orchestra (morto nel 1907).

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k