L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
DOLINA MIRU (La valle della pace, Jugoslavia, 1956) di France Stiglic. Sceneggiatura: Ivan Ribic. Fotografia: R. Varpotic. Musica: Marijan Kozina. Con: John Kitzmiller, Evelyne Wohlfeiler, Tugo Stiglic, Boris Kralj, Francek Drofenik.
“Slovenia, durante la Seconda guerra mondiale. Due bambini, lo sloveno Marko e la tedesca Lotti, perdono i genitori durante un raid aereo. Avendo sentito parlare dell’esistenza di una valle con un mulino dove c’è sempre la pace, si incamminano alla sua ricerca. Mentre cercano di nascondersi dai soldati nazisti, sopra le loro teste un aereo da caccia americano è abbattuto e il pilota Jim si salva lanciandosi con il paracadute. L’aviatore incontra i bambini e non può che portarseli appresso, anche se rallentano la sua fuga. Intanto sia i tedeschi sia i partigiani jugoslavi che stanno tra quelle colline sanno del pilota sopravvissuto e lo cercano.
È uno dei primi capolavori del cinema sloveno, Dolina miru (Valley of Peace il titolo scelto per la vendita internazionale) di France Štiglic, presentato in versione restaurata in Cannes Classic. Un restauro che riporta a disposizione del pubblico un’opera a lungo dimenticata e che fu premiata proprio a Cannes nel 1957 con il Prix per il miglior interprete maschile a John Kitzmiller. Un attore americano di colore naturalizzato italiano, con un’intensa carriera nel nostro cinema, e primo afroamericano a vincere un premio da interprete in un grande festival: il ben più celebre Sidney Poitier vinse a Berlino solo l’anno dopo per La parete di fango. In un paesino già devastato dalla guerra, due bambini, Marko (interpretato da Tugo, figlio del regista e destinato a sua volta a diventare regista) di nove anni e Lotti di quattro, scampano al bombardamento aereo del quale sono vittima i loro genitori. Restati soli, i due fanno amicizia e si raccontano di una “valle della pace”, dove si dice non c’è mai stata la guerra e dove uno zio del ragazzino possiederebbe una casa con mulino annesso, decidendo di raggiungerla per mettersi in salvo. Tra quelle colline e lungo il fiume si combattono tedeschi e partigiani, mentre dall’alto gli aerei americani cercano di colpire i convogli nazisti. Tra giochi, equivoci e spaventi, i due bambini intraprendono l’avventura finché incontrano Jim, un omone di colore paracadutato là e capace di prendere entrambi sotto braccio per trasportarli. Il soldato e la bambina parlano entrambi tedesco e in quel modo, che è l’idioma del nemico che li insegue, riescono a comunicare; d’altro lato i soldati e gli ufficiali nemici sono mostrati in maniera credibile e non convenzionale. Superando una serie di pericoli, i fuggiaschi arrivano nella casa agognata, trovandola disabitata. La valle della pace non è come la immaginavano, sarà teatro di una battaglia e “forse non è la valle giusta”.
Un film di guerra e un’avventura di ragazzi che rispetta le tappe obbligate e gli stilemi di entrambi i generi. La perdita dell’ingenuità e delle illusioni ma anche la conservazione di una purezza da parte dei piccoli protagonisti. Valley of Peace appartiene in pieno agli anni ’50 nello stile e nello spirito e ne conserva quel tanto di candore e di ingenuità che fanno unire un buon realismo al sapore della fiaba. È quasi pacifista nello spirito di cercare una valle senza guerre e limitare molto, nell’economia del film, le parti di combattimento.
Štiglic dirige in modo molto classico, pulito, essenziale, trae dai bambini interpretazioni credibili e intense, empatiche e mai ricattatorie. Trova il modo per essere concreto e simbolico allo stesso tempo e il film si rivela avvincente e spettacolare.
Il regista ha l’accortezza di lasciare il ferimento di Jim fuori campo e di far sì che la morte possa rimettere in moto il mulino. La guerra è reale ma non può cancellare i segni della poesia, della speranza e della solidarietà, che appaiono sotto le forme del cavallo bianco che accompagna il trio o della bambola di Lotti che Marko torna più volte indietro a recuperare e che Jim sostituirà, intagliandone pazientemente un’altra da un pezzo di legno.
Kitzmiller (1,93 metri d’altezza) è un vero gigante, ha l’aspetto di un angelo protettore venuto dal cielo. Il fatto che Jim sia un soldato afroamericano è un tocco di umanità ancora più apprezzabile e quasi in anticipo sui tempi. Allo stesso modo, il ruolo dei partigiani risulta chiaramente decisivo per lo sviluppo e la risoluzione ma non è troppo enfatizzato, quasi da film indipendente, lontano dallo spirito dei film di partigiani voluti e sostenuti dalla propaganda di Tito nei due decenni seguenti. La sceneggiatura di Ivan Ribič era in una prima fase ambientata in Corea e per questo conserva caratteri universali di una storia di amicizia e ricerca di una salvezza in tempo di guerra. Del film fu realizzata anche una versione per il mercato statunitense nel 1962 con il titolo Sergeant Jim”.
- Il film: Dolina Miru, 1956
- Immagini: Dolina miru (The Valley of Peace, 1956)
4 maggio 1993 muore France Štiglic, Slovenian regista e sceneggiatore (nato nel 1919)
Una poesia al giorno
The High Road, di Thomas Kinsella (da: Appunti dalla terra dei morti, Edizioni Kolibris)
Don’t be too long now, the next time.
She hugged me tight in behind the counter.
Here! she whispered. (A silvery
little mandoline, out of the sweet-box.)
They were standing waiting in the sun outside
at the shop door, with the go car,
their long shadows along the path.
A horse trotted past us down Bow Lane;
Padno Carty sat in the trap
sideways, fat, drifting along
with a varnish twinkle of spokes and redgold
balls of manure scattering
on the road behind.
Mrs. Fullerton
was sitting on a stool in her doorway,
beak-nosed, one eye dead.
DARK! DAAARK! squawked the sour parrot
in her room. (Sticking to his cage
with slow nails, upside down.
He mumbles on a bar, and creeps
stiffly, crossways, with his tongue;
a black moveable nut
mumble
in my moulh.)
Silvery tiny strings
trembled in my brain.
Over the parapet of
the bridge at the end of Granny and Granda’s
the brown water poured and gurgled
over the stones and tin cans in the Camac,
down by the back of Aunty Josie’s.
A stony darkness, after the bridge,
trickled down Cromwell’s Quarters, step
by step, along by the foot of the wall,
from James’s Street.
(A mob of shadows
mill in silence on the Forty Steps;
horse-ghosts back and plunge, turning
under slow swords. In the Malt Stores,
through a barred window on one of the steps,
spectres huddle everywhere
among the shadowy brick pillars
and dunes of grain, watching
the pitch drain out of their wounds.)
Up the High Road I held hands,
inside on the path, beside the warm
feathery grass, and looked through the paling,
pulled downward by a queer feeling.
Down there... Small front gardens
getting lower and lower; doorways,
windows, below the road.
On the clay slope on the other side
a path slants up and disappears
into the Robbers’ Den. I crept up
the last stretch to the big hole
full of fright, once, and knelt
on the clay to look inside:
it was only a hollow someone made,
with a dusty piece of man’s dung
and a few papers in a corner,
and bluebottles.
(Not even in my mind
has one silvery string picked
a single sound. And it will never.)
Above the far-off back yards
the breeze gave a sigh: a sin happening...
I let go and stopped, and looked down
at a space in the weeds, and let it fall
for ever into empty space
toward a stone shed, and saw it turn
over with a tiny flash,
silvery shivering with loss.
La strada maestra
Non metterci troppo, la prossima volta.
Mi abbracciò stretto dietro la cassa.
Qui! Sussurrò. (Un piccolo
mandolino argentato, fuori dalla scatola dei dolci.)
Aspettavano fuori in piedi nel sole
davanti alla porta del negozio, l’auto a noleggio,
le loro lunghe ombre stese sul sentiero.
Un cavallo trottava giù verso Bow Lane;
Padno Carty sedeva sul calesse
sbilenco, grasso, scivolava lento
con un lucido riverbero di raggi e oro rosso
palle di concime tutte sparse
sulla strada alle sue spalle.
Mrs. Fullerton
sedeva sulla soglia sopra uno sgabello,
il naso aquilino, un occhio morto.
BUIO! BUUUIO! gracchiò acido il pappagallo
nella stanza di lei. (Attaccato alle sbarre della gabbia
con le unghie lente, capovolto.
Borbotta su un poggiolo, e scivola
rigido, di traverso, con la lingua;
una piccola noce in movimento
mi borbottava
in bocca.)
Minuscoli fili argentati
mi tremavano dentro il cervello.
Sul parapetto del
ponte all’estremità del Granny e Granda’s
acqua marrognola gorgogliava e gocciava
su pietre e minuscole lattine nel Camac,
giù accanto al retro dell’Aunty Josie.
Un’oscurità pietrosa, dopo il ponte,
colava giù verso i Cromwell’s Quarters, passo
dopo passo, lungo la base della parete,
dalla James’s Street.
.
(Una folla di ombre
brulica in silenzio sul Forty Steps;
cavalli fantasma si voltano e immergono, girando
sotto lente spade. Nel Malt Stores, vedi
tra le sbarre di una finestra su uno dei gradini,
spettri ovunque accucciati
tra scuri pilastri in mattone
e dune di cereali che guardano
pece sgorgare dalle proprie ferite.)
.
In cima alla strada maestra protesi dentro le mani,
sul sentiero, al di là della calda
erba lieve, e attraverso la palizzata guardai,
spinto da una strana sensazione.
Laggiù... giardinetti anteriori
che scendevano sempre di più; soglie,
finestre, seminterrate.
Dal lato opposto, sulla discesa argillosa
un sentiero devia e svanisce
nel Robbers’ Den. Risalii strisciando
l’ultimo tratto verso la grande fossa
colma di spavento, un tempo, e m’inginocchiai
sull’argilla per guardarci dentro:
era solo un fosso scavato da qualcuno,
con un pezzo polveroso di sterco umano
e qualche cartaccia in un angolo,
e mosconi.
.
(Non una sola corda argentata
neppure nella mia mente ha mai prodotto
se pizzicata un singolo suono. E mai lo farà.)
.
Al di sopra dei lontani cortili sul retro
la brezza emise un singhiozzo: un peccato
avveniva...
Lasciai stare e mi fermai, e guardai giù
in un punto nella sterpaglia, e lo lasciai cadere
per sempre nello spazio vuoto
verso un pendio pietroso, e lo vidi rotolare
emettendo un minimo bagliore,
rabbrividendo argenteo di smarrimento.
“Thomas Kinsella, nato a Dublino nel 1928, è una delle voci più intense e originali della poesia irlandese contemporanea. Oltre che poeta, è anche editore, instancabile traduttore dall’antico irlandese, curatore di diversi lavori critici e antologici.
Circa trent’anni fa, pur essendo già allora considerato uno dei migliori poeti irlandesi contemporanei, Kinsella decise di cambiare radicalmente l’orientamento della sua poesia e di adottare una via più sperimentale, accogliendo numerose suggestioni dal modernismo. La sua è una poesia non immediata, che fa uso di una meticolosa ricerca linguistica tesa a far “risuonare” la parola in una complessa melodia il cui ritmo è però spesso franto da repentine dissonanze. La sua ispirazione parte tuttavia sempre da un fatto contingente, che può essere un episodio di cronaca o un evento storico, oppure la vista del cadavere di un cane, della zampa di un gatto che spunta da sotto una porta, di un coleottero al lavoro, o delle proprie vene pulsanti sottopelle.
Nella poesia di Thomas Kinsella confluiscono numerose suggestioni della tradizione popolare irlandese. Si tratta però di una poesia più attenta al paesaggio e alla storia d’Irlanda che ai suoi abitanti, il più delle volte tratteggiati in funzione di tipi, simbolici dell’anima di una intera nazione. (...)"
(Leggi tutto l’articolo di Chiara De Luca pubblicato in “Poesia”, XXII, nr. 236, Marzo 2000 trovato in: poesia.blog.rainews.it)
4 maggio 1928, nasce Thomas Kinsella, poeta, traduttore e editore irlandese.
Un fatto al giorno
4 maggio 1919: dimostrazioni studentesche hanno luogo in Piazza Tiananmen a Pechino, in Cina, per protestare contro il trattato di Versailles, che ha trasferito territorio cinese in Giappone.
“Il Movimento del 4 maggio fu un movimento studentesco culturale e politico anti-imperialista iniziato a Pechino il 4 maggio 1919. Gli studenti protestavano contro la debole risposta del governo cinese nei confronti del Trattato di Versailles, soprattutto per quanto riguardava il problema dello Shandong. Le manifestazioni di protesta si diffusero presto in tutto il paese e segnarono l'affermazione del nazionalismo cinese. Ciò che i manifestanti chiedevano, dopo aver vissuto il secolo dell'umiliazione ad opera delle potenze coloniali, era l'abbandono della via confuciana e l'adozione di modelli occidentali che andavano però adattati al contesto cinese: in particolare furono usati gli slogan Mr. Democracy e Mr. Science.
A seguito della rivoluzione Xinhai nel 1911 la dinastia Qing venne rovesciata. Ciò segnò la fine di secoli di dominazione imperiale, che lasciò un pesante vuoto di potere. La Cina si trasformò in una enorme nazione divisa al suo interno in numerosi territori guidati da vari signori della guerra, ovviamente molto più interessati a tutelare ed espandere il proprio potere che agli interessi nazionali. Fu così che il consiglio istituito dai signori della guerra, il cosiddetto governo Beiyang fu impegnato sin dalla sua creazione a sedare i continui tentativi di supremazia dei suoi membri, che ad arginare e a combattere il continuo dilagare del potere dei governi imperialisti occidentali. Molto spesso, inoltre, furono per primi gli stessi signori della guerra che, con lo scopo di ottenere denaro e armamenti, tramite il governo Beiyang, favorirono il rafforzarsi dell'imperialismo occidentale in Cina con numerose concessioni.
Questa situazione, tuttavia, era osteggiata con sempre maggior vigore dal nazionalismo nascente fra le classi medie emergenti, le cui istanze si espressero nel movimento culturale della Nuova Cultura (Xīn Wénhuà Yùndòng) a partire dal primo decennio del XX secolo, il quale iniziò a criticare gli antichi valori del confucianesimo accusati di aver condotto alla rovina la Cina ed il suo popolo.
Allo scoppio della prima guerra mondiale la Cina si alleò a fianco della Triplice intesa nel 1917, con la condizione che le concessioni tedesche su numerosi territori cinesi, primo fra tutti quello che aveva condotto alla spinosa questione di Shandong, venissero appianate con la fine del conflitto”.
(In it.wikipedia.org)
“Quattro maggio, moti del Movimento di protesta, iniziato a Pechino il 4 maggio 1919 e proseguito in altre città cinesi fino all’estate successiva. Ne furono soggetto principalmente gli studenti dell’università e fu appoggiato soprattutto dalla borghesia moderata della capitale, dai circoli intellettuali progressisti e di affari, dalle Camere di commercio, con la partecipazione di svariati accademici di prestigio, come il rettore Chen Duxiu. Essi trassero origine dalla notizia che alla conferenza di pace che si stava tenendo a Versailles le potenze vincitrici nella Prima guerra mondiale avevano accolto la richiesta del Giappone che i diritti sulla regione dello Shandong goduti dalla Germania fino al 1914, quando le forze del Sol Levante l’avevano occupata, venissero trasferiti a quest’ultimo sebbene anche la Cina nel 1917 fosse entrata in guerra con gli imperi centrali e ne avesse domandato la restituzione. La protesta chiedeva al governo (controllato dalla cd. Cricca di Anfu e in buoni rapporti con Tokyo) di non firmare il Trattato di Versailles ed era diretta contro i ministri filogiapponesi. Dopo svariati incidenti, che inclusero circa 3000 arresti, il 12 giugno il governo cedette e accolse le richieste dei manifestanti. I moti del Quattro maggio ebbero poca risonanza fuori di alcune grandi città e praticamente nessuna nel mondo rurale, ma furono accompagnati da alcuni scioperi operai, impressionando comunque gli osservatori stranieri. Nella capitale i moti servirono da cassa di risonanza per le correnti riformatrici dell’ambiente intellettuale e universitario, le quali si battevano contro la tradizione confuciana e subivano l’influenza della cultura occidentale del primo Novecento, dal positivismo e dalla filosofia della libertà provenienti dalla Francia, al pragmatismo americano e al marxismo, invocando la scienza e la democrazia. Per la prima volta nella storia della Cina moderna queste forme di radicalismo si associarono al nazionalismo, che respingeva le limitazioni alla sovranità della giovane Repubblica imposte dall’imperialismo straniero. Nella storiografia ufficiale della Repubblica popolare cinese i moti del Q.m. vengono considerati il punto di partenza della storia contemporanea del Paese, mentre alcuni studiosi occidentali li vedono come il simbolo della definitiva decadenza dell’egemonia culturale del confucianesimo. Essi rappresentano l’esempio più evidente della funzione di avanguardia ideologica esercitata dall’università di Pechino dalla fondazione, nel 1898, fino ai giorni nostri, e si è percepita più volte l’intensità della memoria storica che tuttora se ne conserva.”
(Treccani)
La storia:
- www.youtube.com
- National History Day. May 4th Movement
- The May Fourth Movement
- 1919 China, May Fourth Uprising, Riot
Una frase al giorno
“L’uomo non è fatto per la sconfitta. Un uomo può essere distrutto, ma non può essere sconfitto”.
(Ernest Hemingway da Il vecchio e il mare)
“Ernest Miller Hemingway (21 luglio 1899 - 2 luglio 1961) è stato un romanziere americano, scrittore di racconti e giornalista. Il suo stile economico e sobrio ha avuto una forte influenza sulla narrativa del XX secolo, mentre il suo stile di vita avventuroso e la sua immagine pubblica hanno suscitato l'ammirazione delle generazioni successive. Hemingway ha prodotto la maggior parte del suo lavoro tra la metà degli anni '20 e la metà degli anni '50 e nel 1954 ha vinto il Premio Nobel per la letteratura. Ha pubblicato sette romanzi, sei raccolte di racconti e due lavori di saggistica. Tre dei suoi romanzi, quattro raccolte di racconti e tre lavori di saggistica sono stati pubblicati postumi. Molte delle sue opere sono considerate dei classici della letteratura americana”.
Immagini:
- The Old Man & The Sea by Ernest Hemingway: Summary, Symbolism & Themes
- BULL FIGHTING, ERNEST HEMINGWAY
- The Old Man and His Boat: Hemingway's Quest for Peace at Sea
4 maggio 1953: Ernest Hemingway vince il premio Pulitzer per The Old Man and the Sea.
Un brano musicale al giorno
Jagadananda Karaka - Balamuralikrishna - Tyagaraja Pancharatna Kriti
Questo è un Tyagaraja Pancharatna Kriti scritto dal santo Tyagaraja in sanscrito e composto a Ragam Naata.
In questa canzone, Tyagaraja elogia Ramachandra (Lord Sri Rama), una delle incarnazioni del dio principale, Vishnu. Egli elogia Ramachandra come colui che è la causa di ogni beatitudine nell'universo. Questo è l'unico pancharatna kriti composto in sanscrito. Tutti gli altri kritis furono composti in Telugu, che fu usato nella corte del re Maratha Sarabhoji che governò questa zona nel XVIII secolo.
“Kakarla Tyagabrahmam (4 maggio 1767 - 6 gennaio 1847) o Saint Tyagaraja, fu uno dei più grandi compositori di musica carnatica, una forma di musica classica indiana. Fu un compositore prolifico e molto influente nello sviluppo della tradizione musicale classica. Tyagaraja e i suoi contemporanei Syama Sastri e Muthuswami Dikshitar furono considerati la Trinità della musica carnatica moderna. Tyagaraja compose migliaia di composizioni devozionali, la maggior parte in Telugu e in lode del dio Rama, molti dei quali rimangono popolari oggi. Di speciale menzione sono cinque delle sue composizioni chiamate Pancharatna Kritis (in inglese: "cinque gemme"), che sono spesso cantate in suo onore.
Tyagaraja visse durante i regni di quattro re della dinastia Maratha - Tulaja II (1763-1787), Amarasimha (1787-1798), Serfoji II (1798-1832) e Sivaji II (1832-1855), anche se non li servì.”
(Wikipedia)
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
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