“L’amico del popolo”, 4 maggio 2018

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

DOLINA MIRU (La valle della pace, Jugoslavia, 1956) di France Stiglic. Sceneggiatura: Ivan Ribic. Fotografia: R. Varpotic. Musica: Marijan Kozina. Con: John Kitzmiller, Evelyne Wohlfeiler, Tugo Stiglic, Boris Kralj, Francek Drofenik.

“Slovenia, durante la Seconda guerra mondiale. Due bambini, lo sloveno Marko e la tedesca Lotti, perdono i genitori durante un raid aereo. Avendo sentito parlare dell’esistenza di una valle con un mulino dove c’è sempre la pace, si incamminano alla sua ricerca. Mentre cercano di nascondersi dai soldati nazisti, sopra le loro teste un aereo da caccia americano è abbattuto e il pilota Jim si salva lanciandosi con il paracadute. L’aviatore incontra i bambini e non può che portarseli appresso, anche se rallentano la sua fuga. Intanto sia i tedeschi sia i partigiani jugoslavi che stanno tra quelle colline sanno del pilota sopravvissuto e lo cercano.

È uno dei primi capolavori del cinema sloveno, Dolina miru (Valley of Peace il titolo scelto per la vendita internazionale) di France Štiglic, presentato in versione restaurata in Cannes Classic. Un restauro che riporta a disposizione del pubblico un’opera a lungo dimenticata e che fu premiata proprio a Cannes nel 1957 con il Prix per il miglior interprete maschile a John Kitzmiller. Un attore americano di colore naturalizzato italiano, con un’intensa carriera nel nostro cinema, e primo afroamericano a vincere un premio da interprete in un grande festival: il ben più celebre Sidney Poitier vinse a Berlino solo l’anno dopo per La parete di fango. In un paesino già devastato dalla guerra, due bambini, Marko (interpretato da Tugo, figlio del regista e destinato a sua volta a diventare regista) di nove anni e Lotti di quattro, scampano al bombardamento aereo del quale sono vittima i loro genitori. Restati soli, i due fanno amicizia e si raccontano di una “valle della pace”, dove si dice non c’è mai stata la guerra e dove uno zio del ragazzino possiederebbe una casa con mulino annesso, decidendo di raggiungerla per mettersi in salvo. Tra quelle colline e lungo il fiume si combattono tedeschi e partigiani, mentre dall’alto gli aerei americani cercano di colpire i convogli nazisti. Tra giochi, equivoci e spaventi, i due bambini intraprendono l’avventura finché incontrano Jim, un omone di colore paracadutato là e capace di prendere entrambi sotto braccio per trasportarli. Il soldato e la bambina parlano entrambi tedesco e in quel modo, che è l’idioma del nemico che li insegue, riescono a comunicare; d’altro lato i soldati e gli ufficiali nemici sono mostrati in maniera credibile e non convenzionale. Superando una serie di pericoli, i fuggiaschi arrivano nella casa agognata, trovandola disabitata. La valle della pace non è come la immaginavano, sarà teatro di una battaglia e “forse non è la valle giusta”.

Un film di guerra e un’avventura di ragazzi che rispetta le tappe obbligate e gli stilemi di entrambi i generi. La perdita dell’ingenuità e delle illusioni ma anche la conservazione di una purezza da parte dei piccoli protagonisti. Valley of Peace appartiene in pieno agli anni ’50 nello stile e nello spirito e ne conserva quel tanto di candore e di ingenuità che fanno unire un buon realismo al sapore della fiaba. È quasi pacifista nello spirito di cercare una valle senza guerre e limitare molto, nell’economia del film, le parti di combattimento.
Štiglic dirige in modo molto classico, pulito, essenziale, trae dai bambini interpretazioni credibili e intense, empatiche e mai ricattatorie. Trova il modo per essere concreto e simbolico allo stesso tempo e il film si rivela avvincente e spettacolare.
Il regista ha l’accortezza di lasciare il ferimento di Jim fuori campo e di far sì che la morte possa rimettere in moto il mulino. La guerra è reale ma non può cancellare i segni della poesia, della speranza e della solidarietà, che appaiono sotto le forme del cavallo bianco che accompagna il trio o della bambola di Lotti che Marko torna più volte indietro a recuperare e che Jim sostituirà, intagliandone pazientemente un’altra da un pezzo di legno.
Kitzmiller (1,93 metri d’altezza) è un vero gigante, ha l’aspetto di un angelo protettore venuto dal cielo. Il fatto che Jim sia un soldato afroamericano è un tocco di umanità ancora più apprezzabile e quasi in anticipo sui tempi. Allo stesso modo, il ruolo dei partigiani risulta chiaramente decisivo per lo sviluppo e la risoluzione ma non è troppo enfatizzato, quasi da film indipendente, lontano dallo spirito dei film di partigiani voluti e sostenuti dalla propaganda di Tito nei due decenni seguenti. La sceneggiatura di Ivan Ribič era in una prima fase ambientata in Corea e per questo conserva caratteri universali di una storia di amicizia e ricerca di una salvezza in tempo di guerra. Del film fu realizzata anche una versione per il mercato statunitense nel 1962 con il titolo Sergeant Jim”.

(quinlan.it)

DOLINA MIRU (La valle della pace, Jugoslavia, 1956) di France Stiglic

4 maggio 1993 muore France Štiglic, Slovenian regista e sceneggiatore (nato nel 1919)

 

Una poesia al giorno

The High Road, di Thomas Kinsella (da: Appunti dalla terra dei morti, Edizioni Kolibris)

Don’t be too long now, the next time.
She hugged me tight in behind the counter.
Here! she whispered. (A silvery
little mandoline, out of the sweet-box.)

They were standing waiting in the sun outside
at the shop door, with the go car,
their long shadows along the path.

A horse trotted past us down Bow Lane;
Padno Carty sat in the trap
sideways, fat, drifting along
with a varnish twinkle of spokes and redgold
balls of manure scattering
on the road behind.
Mrs. Fullerton
was sitting on a stool in her doorway,
beak-nosed, one eye dead.
DARK! DAAARK! squawked the sour parrot
in her room. (Sticking to his cage
with slow nails, upside down.
He mumbles on a bar, and creeps
stiffly, crossways, with his tongue;
a black moveable nut
mumble
in my moulh.)
Silvery tiny strings
trembled in my brain.
Over the parapet of
the bridge at the end of Granny and Granda’s
the brown water poured and gurgled
over the stones and tin cans in the Camac,
down by the back of Aunty Josie’s.
A stony darkness, after the bridge,
trickled down Cromwell’s Quarters, step
by step, along by the foot of the wall,
from James’s Street.

(A mob of shadows
mill in silence on the Forty Steps;
horse-ghosts back and plunge, turning
under slow swords. In the Malt Stores,
through a barred window on one of the steps,
spectres huddle everywhere
among the shadowy brick pillars
and dunes of grain, watching
the pitch drain out of their wounds.)

Up the High Road I held hands,
inside on the path, beside the warm
feathery grass, and looked through the paling,
pulled downward by a queer feeling.
Down there... Small front gardens
getting lower and lower; doorways,
windows, below the road.
On the clay slope on the other side
a path slants up and disappears
into the Robbers’ Den. I crept up
the last stretch to the big hole
full of fright, once, and knelt
on the clay to look inside:
it was only a hollow someone made,
with a dusty piece of man’s dung
and a few papers in a corner,
and bluebottles.

(Not even in my mind
has one silvery string picked
a single sound. And it will never.)

Above the far-off back yards
the breeze gave a sigh: a sin happening...
I let go and stopped, and looked down
at a space in the weeds, and let it fall
for ever into empty space
toward a stone shed, and saw it turn
over with a tiny flash,
silvery shivering with loss.

La strada maestra

Non metterci troppo, la prossima volta.
Mi abbracciò stretto dietro la cassa.
Qui! Sussurrò. (Un piccolo
mandolino argentato, fuori dalla scatola dei dolci.)

Aspettavano fuori in piedi nel sole
davanti alla porta del negozio, l’auto a noleggio,
le loro lunghe ombre stese sul sentiero.

Un cavallo trottava giù verso Bow Lane;
Padno Carty sedeva sul calesse
sbilenco, grasso, scivolava lento
con un lucido riverbero di raggi e oro rosso
palle di concime tutte sparse
sulla strada alle sue spalle.
Mrs. Fullerton
sedeva sulla soglia sopra uno sgabello,
il naso aquilino, un occhio morto.
BUIO! BUUUIO! gracchiò acido il pappagallo
nella stanza di lei. (Attaccato alle sbarre della gabbia
con le unghie lente, capovolto.
Borbotta su un poggiolo, e scivola
rigido, di traverso, con la lingua;
una piccola noce in movimento
mi borbottava
in bocca.)
Minuscoli fili argentati
mi tremavano dentro il cervello.
Sul parapetto del
ponte all’estremità del Granny e Granda’s
acqua marrognola gorgogliava e gocciava
su pietre e minuscole lattine nel Camac,
giù accanto al retro dell’Aunty Josie.
Un’oscurità pietrosa, dopo il ponte,
colava giù verso i Cromwell’s Quarters, passo
dopo passo, lungo la base della parete,
dalla James’s Street.
.
(Una folla di ombre
brulica in silenzio sul Forty Steps;
cavalli fantasma si voltano e immergono, girando
sotto lente spade. Nel Malt Stores, vedi
tra le sbarre di una finestra su uno dei gradini,
spettri ovunque accucciati
tra scuri pilastri in mattone
e dune di cereali che guardano
pece sgorgare dalle proprie ferite.)
.
In cima alla strada maestra protesi dentro le mani,
sul sentiero, al di là della calda
erba lieve, e attraverso la palizzata guardai,
spinto da una strana sensazione.
Laggiù... giardinetti anteriori
che scendevano sempre di più; soglie,
finestre, seminterrate.
Dal lato opposto, sulla discesa argillosa
un sentiero devia e svanisce
nel Robbers’ Den. Risalii strisciando
l’ultimo tratto verso la grande fossa
colma di spavento, un tempo, e m’inginocchiai
sull’argilla per guardarci dentro:
era solo un fosso scavato da qualcuno,
con un pezzo polveroso di sterco umano
e qualche cartaccia in un angolo,
e mosconi.
.
(Non una sola corda argentata
neppure nella mia mente ha mai prodotto
se pizzicata un singolo suono. E mai lo farà.)
.
Al di sopra dei lontani cortili sul retro
la brezza emise un singhiozzo: un peccato
avveniva...
Lasciai stare e mi fermai, e guardai giù
in un punto nella sterpaglia, e lo lasciai cadere
per sempre nello spazio vuoto
verso un pendio pietroso, e lo vidi rotolare
emettendo un minimo bagliore,
rabbrividendo argenteo di smarrimento.

Thomas Kinsella

Thomas Kinsella, nato a Dublino nel 1928, è una delle voci più intense e originali della poesia irlandese contemporanea. Oltre che poeta, è anche editore, instancabile traduttore dall’antico irlandese, curatore di diversi lavori critici e antologici.
Circa trent’anni fa, pur essendo già allora considerato uno dei migliori poeti irlandesi contemporanei, Kinsella decise di cambiare radicalmente l’orientamento della sua poesia e di adottare una via più sperimentale, accogliendo numerose suggestioni dal modernismo. La sua è una poesia non immediata, che fa uso di una meticolosa ricerca linguistica tesa a far “risuonare” la parola in una complessa melodia il cui ritmo è però spesso franto da repentine dissonanze. La sua ispirazione parte tuttavia sempre da un fatto contingente, che può essere un episodio di cronaca o un evento storico, oppure la vista del cadavere di un cane, della zampa di un gatto che spunta da sotto una porta, di un coleottero al lavoro, o delle proprie vene pulsanti sottopelle.
Nella poesia di Thomas Kinsella confluiscono numerose suggestioni della tradizione popolare irlandese. Si tratta però di una poesia più attenta al paesaggio e alla storia d’Irlanda che ai suoi abitanti, il più delle volte tratteggiati in funzione di tipi, simbolici dell’anima di una intera nazione. (...)"

(Leggi tutto l’articolo di Chiara De Luca pubblicato in “Poesia”, XXII, nr. 236, Marzo 2000 trovato in: poesia.blog.rainews.it)

4 maggio 1928, nasce Thomas Kinsella, poeta, traduttore e editore irlandese.

 

Un fatto al giorno

4 maggio 1919: dimostrazioni studentesche hanno luogo in Piazza Tiananmen a Pechino, in Cina, per protestare contro il trattato di Versailles, che ha trasferito territorio cinese in Giappone.

“Il Movimento del 4 maggio fu un movimento studentesco culturale e politico anti-imperialista iniziato a Pechino il 4 maggio 1919. Gli studenti protestavano contro la debole risposta del governo cinese nei confronti del Trattato di Versailles, soprattutto per quanto riguardava il problema dello Shandong. Le manifestazioni di protesta si diffusero presto in tutto il paese e segnarono l'affermazione del nazionalismo cinese. Ciò che i manifestanti chiedevano, dopo aver vissuto il secolo dell'umiliazione ad opera delle potenze coloniali, era l'abbandono della via confuciana e l'adozione di modelli occidentali che andavano però adattati al contesto cinese: in particolare furono usati gli slogan Mr. Democracy e Mr. Science.

Movimento di protesta, iniziato a Pechino il 4 maggio 1919

A seguito della rivoluzione Xinhai nel 1911 la dinastia Qing venne rovesciata. Ciò segnò la fine di secoli di dominazione imperiale, che lasciò un pesante vuoto di potere. La Cina si trasformò in una enorme nazione divisa al suo interno in numerosi territori guidati da vari signori della guerra, ovviamente molto più interessati a tutelare ed espandere il proprio potere che agli interessi nazionali. Fu così che il consiglio istituito dai signori della guerra, il cosiddetto governo Beiyang fu impegnato sin dalla sua creazione a sedare i continui tentativi di supremazia dei suoi membri, che ad arginare e a combattere il continuo dilagare del potere dei governi imperialisti occidentali. Molto spesso, inoltre, furono per primi gli stessi signori della guerra che, con lo scopo di ottenere denaro e armamenti, tramite il governo Beiyang, favorirono il rafforzarsi dell'imperialismo occidentale in Cina con numerose concessioni.
Questa situazione, tuttavia, era osteggiata con sempre maggior vigore dal nazionalismo nascente fra le classi medie emergenti, le cui istanze si espressero nel movimento culturale della Nuova Cultura (Xīn Wénhuà Yùndòng) a partire dal primo decennio del XX secolo, il quale iniziò a criticare gli antichi valori del confucianesimo accusati di aver condotto alla rovina la Cina ed il suo popolo.
Allo scoppio della prima guerra mondiale la Cina si alleò a fianco della Triplice intesa nel 1917, con la condizione che le concessioni tedesche su numerosi territori cinesi, primo fra tutti quello che aveva condotto alla spinosa questione di Shandong, venissero appianate con la fine del conflitto”.

(In it.wikipedia.org)

“Quattro maggio, moti del Movimento di protesta, iniziato a Pechino il 4 maggio 1919 e proseguito in altre città cinesi fino all’estate successiva. Ne furono soggetto principalmente gli studenti dell’università e fu appoggiato soprattutto dalla borghesia moderata della capitale, dai circoli intellettuali progressisti e di affari, dalle Camere di commercio, con la partecipazione di svariati accademici di prestigio, come il rettore Chen Duxiu. Essi trassero origine dalla notizia che alla conferenza di pace che si stava tenendo a Versailles le potenze vincitrici nella Prima guerra mondiale avevano accolto la richiesta del Giappone che i diritti sulla regione dello Shandong goduti dalla Germania fino al 1914, quando le forze del Sol Levante l’avevano occupata, venissero trasferiti a quest’ultimo sebbene anche la Cina nel 1917 fosse entrata in guerra con gli imperi centrali e ne avesse domandato la restituzione. La protesta chiedeva al governo (controllato dalla cd. Cricca di Anfu e in buoni rapporti con Tokyo) di non firmare il Trattato di Versailles ed era diretta contro i ministri filogiapponesi. Dopo svariati incidenti, che inclusero circa 3000 arresti, il 12 giugno il governo cedette e accolse le richieste dei manifestanti. I moti del Quattro maggio ebbero poca risonanza fuori di alcune grandi città e praticamente nessuna nel mondo rurale, ma furono accompagnati da alcuni scioperi operai, impressionando comunque gli osservatori stranieri. Nella capitale i moti servirono da cassa di risonanza per le correnti riformatrici dell’ambiente intellettuale e universitario, le quali si battevano contro la tradizione confuciana e subivano l’influenza della cultura occidentale del primo Novecento, dal positivismo e dalla filosofia della libertà provenienti dalla Francia, al pragmatismo americano e al marxismo, invocando la scienza e la democrazia. Per la prima volta nella storia della Cina moderna queste forme di radicalismo si associarono al nazionalismo, che respingeva le limitazioni alla sovranità della giovane Repubblica imposte dall’imperialismo straniero. Nella storiografia ufficiale della Repubblica popolare cinese i moti del Q.m. vengono considerati il punto di partenza della storia contemporanea del Paese, mentre alcuni studiosi occidentali li vedono come il simbolo della definitiva decadenza dell’egemonia culturale del confucianesimo. Essi rappresentano l’esempio più evidente della funzione di avanguardia ideologica esercitata dall’università di Pechino dalla fondazione, nel 1898, fino ai giorni nostri, e si è percepita più volte l’intensità della memoria storica che tuttora se ne conserva.”

(Treccani)

La storia:

 

Una frase al giorno

“L’uomo non è fatto per la sconfitta. Un uomo può essere distrutto, ma non può essere sconfitto”.

(Ernest Hemingway da Il vecchio e il mare)

Ernest Miller Hemingway (21 luglio 1899 - 2 luglio 1961)

Ernest Miller Hemingway (21 luglio 1899 - 2 luglio 1961) è stato un romanziere americano, scrittore di racconti e giornalista. Il suo stile economico e sobrio ha avuto una forte influenza sulla narrativa del XX secolo, mentre il suo stile di vita avventuroso e la sua immagine pubblica hanno suscitato l'ammirazione delle generazioni successive. Hemingway ha prodotto la maggior parte del suo lavoro tra la metà degli anni '20 e la metà degli anni '50 e nel 1954 ha vinto il Premio Nobel per la letteratura. Ha pubblicato sette romanzi, sei raccolte di racconti e due lavori di saggistica. Tre dei suoi romanzi, quattro raccolte di racconti e tre lavori di saggistica sono stati pubblicati postumi. Molte delle sue opere sono considerate dei classici della letteratura americana”.

Il vecchio e il mare

Immagini:

  1. The Old Man & The Sea by Ernest Hemingway: Summary, Symbolism & Themes
  2. BULL FIGHTING, ERNEST HEMINGWAY
  3. The Old Man and His Boat: Hemingway's Quest for Peace at Sea

4 maggio 1953: Ernest Hemingway vince il premio Pulitzer per The Old Man and the Sea.

 

Un brano musicale al giorno

Jagadananda Karaka - Balamuralikrishna - Tyagaraja Pancharatna Kriti

Kakarla Tyagabrahmam (4 maggio 1767 - 6 gennaio 1847)Questo è un Tyagaraja Pancharatna Kriti scritto dal santo Tyagaraja in sanscrito e composto a Ragam Naata.
In questa canzone, Tyagaraja elogia Ramachandra (Lord Sri Rama), una delle incarnazioni del dio principale, Vishnu. Egli elogia Ramachandra come colui che è la causa di ogni beatitudine nell'universo. Questo è l'unico pancharatna kriti composto in sanscrito. Tutti gli altri kritis furono composti in Telugu, che fu usato nella corte del re Maratha Sarabhoji che governò questa zona nel XVIII secolo.

Kakarla Tyagabrahmam (4 maggio 1767 - 6 gennaio 1847) o Saint Tyagaraja, fu uno dei più grandi compositori di musica carnatica, una forma di musica classica indiana. Fu un compositore prolifico e molto influente nello sviluppo della tradizione musicale classica. Tyagaraja e i suoi contemporanei Syama Sastri e Muthuswami Dikshitar furono considerati la Trinità della musica carnatica moderna. Tyagaraja compose migliaia di composizioni devozionali, la maggior parte in Telugu e in lode del dio Rama, molti dei quali rimangono popolari oggi. Di speciale menzione sono cinque delle sue composizioni chiamate Pancharatna Kritis (in inglese: "cinque gemme"), che sono spesso cantate in suo onore.
Tyagaraja visse durante i regni di quattro re della dinastia Maratha - Tulaja II (1763-1787), Amarasimha (1787-1798), Serfoji II (1798-1832) e Sivaji II (1832-1855), anche se non li servì.”

(Wikipedia)


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k