L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno V. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
LA DONNA DELLA MONTAGNA (Italia, 1944), regia di Renato Castellani. Soggetto: Salvator Gotta. Sceneggiatura: Renato Castellani. Produttore esecutivo: Dino De Laurentiis. Fotografia: Massimo Terzano. Montaggio: Mario Serandrei. Musiche: Nino Rota.
Cast
Marina Berti: Zosi. Amedeo Nazzari: Rodolfo Morigi. Maurizio D'Ancora: Luca Oscar Andriani: Bertoni. Maria Jacobini: Maria. Fanny Marchiò: Diana. Pietro Meynet: Meynet. Carlo Mengoli: Luciano. Piero Pastore: assistente di Rodolfo. Corrado Racca: padre di Zosi. Carlo Giustini: giovane montanaro.
Un giovane ingegnere rimane profondamente addolorato per la tragica morte, in un incidente alpinistico, della propria fidanzata. Una ragazza, innamorata dell'ingegnere, si adopera per consolarlo, fargli dimenticare la scomparsa e farlo interessare a lei. Essa riesce nell'intento e i due si sposano, ma ben presto alcune divergenze li portano ad una rotture e l'uomo si ritira in montagna dove può rivivere il ricordo della donna amata. La moglie lo raggiunge e si sottomette a vivere in sottordine rispetto alla scomparsa. Tale situazione anormale si protrae per alcuni mesi ma alla fine i malintesi vengono chiariti e la coppia può iniziare una nuova vita felice.
«La triste situazione coniugale è descritta con episodi non del tutto convincenti, e anche la lieta soluzione non ci persuade per il motivo che la provoca. Per meglio dire: non ci persuade l'affrettata e semplicistica soluzione. Il valore psicologico del tormento dei due protagonisti non risulta in pieno, pur avendo avuto il regista molti accorgimenti. Bella la fotografia [...] dovuta all'ottimo Terzano, e curata la messinscena. In quanto agli interpreti, Amedeo Nazzari non ci è apparso nella sua forma migliore, e Marina Berti [...] ha ben caratterizzato il suo personaggio.»
(Alberto Blandi. "La Nuova Stampa", del 6/1/1945)
«Il film inizia con una sequenza stupenda, quella del funerale in montagna, degna dei maggiori registi non solo d'Europa. Ma il soggetto, che Castellani ha rifatto su una trama di Salvator Gotta, e che può essere avvicinato a Rebecca, ci presenta dei personaggi così falsi, così fuori di ogni principio d'umanità, che il pubblico si è ribellato (almeno nella versione veneziana) beccando due attori che, diretti da un regista di così vivo e giovane ingegno, stavano dando il meglio di loro stessi. Amedeo Nazzari, bravo e simpatico come da tempo non era più stato, e Marina Berti, incantevole per la sua grazia, una vera attrice. La fotografia, specie negli esterni di montagna, è mirabile, merito di Massimo Terzano.» (Su Film del 10 marzo 1945)
- Il film: La donna della montagna (1943), di Renato Castellani
Un’attrice: MARINA BERTI
Nome d'arte di Elena Maureen Bertolino, attrice cinematografica, nata a Londra il 29 settembre 1924 e morta a Roma il 29 ottobre 2002. Caratterizzata da un'aria sognante e malinconica, alternò durante la sua carriera ruoli in cui espresse la sua sensibilità di interprete moderna e problematica, soprattutto nei due film diretti dal marito Claudio Gora (con il quale stabilì anche un sodalizio artistico), ad altri più legati alla sua bellezza altera.
Per la parte della moglie di Doberdò (Ugo Tognazzi) in La Califfa (1970), diretto da Alberto Bevilacqua, vinse il Nastro d'argento come miglior attrice non protagonista. Figlia di un italiano emigrato in Gran Bretagna e di un'inglese, tornò in Italia nel 1936 e studiò a Firenze. Ottenne il primo ruolo da protagonista in Giacomo l'idealista (1944) di Alberto Lattuada, dove propone un tipo di donna a lei congeniale, Celestina, introversa, schiva e incompresa. Si rivelò ancora acerba in La donna della montagna (1943) di Renato Castellani e in La porta del cielo (1945) di Vittorio De Sica, ma apparve più sicura nella parte di Linda in Il testimone (1946) di Pietro Germi.
L'ottima conoscenza dell'inglese (per alcuni film aveva utilizzato anche il nome di Maureen Melrose) le consentì di ricoprire ruoli minori in due film statunitensi girati in Italia: fu infatti Angela in Prince of foxes (1949; Il principe delle volpi) di Henry King, accanto a Tyrone Power e Orson Welles, e si rivelò toccante nella parte della schiava Eunice in Quo vadis (1951) di Mervyn LeRoy.
Si recò quindi a Hollywood, ma i due film interpretati (Deported, 1950, Il deportato, di Robert Siodmak e Up front, 1951, Marmittoni al fronte, di Alexander Hall) si rivelarono deludenti. Fu Gora - con cui avrebbe peraltro avuto cinque figli, tra i quali l'attore Andrea Giordana - che, incontrato nel 1943 sul set di Storia di una capinera (1945) di Gennaro Righelli, ne seppe valorizzare le doti di interprete originale in due bei film: Il cielo è rosso (1950), dal romanzo di G. Berto, in cui l'attrice rende ricca di forza e vitalità la figura di Carla, una prostituta travolta da una realtà priva di speranze, e Febbre di vivere (1953), opera che denuncia il disordine morale giovanile nel dopoguerra, in cui la B. appare nel ruolo di Lucia, al fianco di Massimo Serato e Marcello Mastroianni. Successivamente si cimentò nel cinema in costume: fu la cinica Beatrice in Casta diva (1954) di Carmine Gallone e, quindi, la contessa di Polignac in Marie-Antoinette (1956; Maria Antonietta regina di Francia) di Jean Delannoy. Ricoprì poi il fugace ruolo di Flavia in Ben-Hur (1959) di William Wyler, e quello di Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone, in Madame Sans-Gêne (1962) di Christian-Jaque, con Sophia Loren. Dopo essere apparsa in numerosi sceneggiati televisivi, con gli anni diradò la sua attività.”
(Francesco Costa - Enciclopedia del Cinema, 2003, in www.treccani.it)
Una poesia al giorno
I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino, di Angelo Poliziano (XV secolo)
I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.
Eran d'intorno violette e gigli
fra l'erba verde, e vaghi fior novelli
azzurri gialli candidi e vermigli:
ond'io porsi la mano a côr di quelli
per adornar e' mie' biondi capelli
e cinger di grillanda el vago crino.
I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino.
Ma poi ch'i' ebbi pien di fiori un lembo,
vidi le rose e non pur d'un colore:
io colsi allor per empir tutto el grembo,
perch'era sì soave il loro odore
che tutto mi senti' destar el core
di dolce voglia e d'un piacer divino.
I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino.
I' posi mente: quelle rose allora
mai non vi potre' dir quant'eran belle;
quale scoppiava della boccia ancora;
qual'eron un po' passe e qual novelle.
Amor mi disse allor: «Va', co' di quelle
che più vedi fiorite in sullo spino».
I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino.
Quando la rosa ogni suo' foglia spande,
quando è più bella, quando è più gradita,
allora è buona a metter in ghirlande,
prima che sua bellezza sia fuggita:
sicché fanciulle, mentre è più fiorita,
cogliàn la bella rosa del giardino.
I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.
“Angelo Ambrogini detto il Poliziano, umanista e poeta (Montepulciano, dal cui nome lat. Mons Politianus deriva il soprannome, 1454 - Firenze 1494). In seguito all'uccisione del padre (1464) si trasferì a Firenze presso parenti; qui prese a frequentare i corsi dello Studio fiorentino segnalandosi presso i maestri (G. Argiropulo, M. Ficino, C. Landino, C. Andronico, ecc.) e presso lo stesso Lorenzo de' Medici per la sua precoce dottrina e per l'eleganza con cui componeva, ancora giovanissimo, versi greci e latini.
A Lorenzo dedicava i libri dell'Iliade che dal 1470 circa andava traducendo in esametri latini (l'opera, iniziata dal secondo libro poiché il primo era stato già tradotto da C. Marsuppini, non procedette oltre il quinto) e Lorenzo cominciò a favorirlo e a soccorrerlo nell'estrema povertà in cui viveva, finché nel 1473 non l'accolse in casa, affidandogli due anni dopo l'educazione del figlio Piero. Frattanto, sollecitato dai gusti del patrono, attendeva a comporre poesie volgari d'intonazione popolareggiante: rispetti, canzonette, ballate (su uno stesso piano di sorvegliata popolarità sono anche i Detti piacevoli, una raccolta prosastica di facezie e motti arguti nota anche come Bel libretto); ma al tempo stesso rivolgeva la sua attenzione alla grande poesia volgare duecentesca e trecentesca, come dimostra l'epistola premessa alla Raccolta Aragonese, quasi certamente stesa da lui intorno al 1476, e come soprattutto dimostra il poemetto in ottave che il P. iniziò nel 1475 per celebrare la vittoria conseguita in una giostra dal fratello di Lorenzo, le Stanze per la giostra di Giuliano de' Medici. Forse in seguito all'uccisione (1478) di Giuliano, il P. interruppe il poemetto; e prese a narrare gli eventi della congiura dei Pazzi, di cui quell'uccisione era stata l'effetto (Pactianae coniurationis commentarium).
Seguirono dissidî con l'altera e impetuosa moglie di Lorenzo, Clarice Orsini, a causa dei quali il P. lasciò i Medici e Firenze e si recò a Mantova, ospite dei Gonzaga: fu probabilmente qui che, nel giugno del 1480, scrisse la breve azione teatrale Favola d'Orfeo. Riconciliatosi con Lorenzo, rientrò pochi mesi dopo in Firenze, dove fu subito chiamato a ricoprire la cattedra di eloquenza greca e latina nello Studio (degli appunti, inediti, per le lezioni, consistenti in commenti a testi classici, Ovidio, Virgilio, Persio, Stazio, ecc., è in corso dal 1971 la pubblicazione a cura dell'Istituto nazionale per gli studi sul Rinascimento); da questo momento fino alla morte la sua attività è rivolta quasi esclusivamente agli studî di filologia classica: cospicui frutti ne sono le prolusioni accademiche in prosa (Oratio super F. Quintiliano et Statii Sylvis, Panepistemon, Lamia, Praelectio de dialectica, ecc.) e in poesia (le quattro Sylvae: Manto, Rusticus, Ambra, Nutricia), la Miscellaneorum centuria prima, raccolta di cento discussioni su altrettanti problemi di filologia classica (1489); una seconda centuria non fu condotta a termine ed è stata pubblicata, dalla brutta copia recentemente scoperta, nel 1972; altri problemi filologici furono trattati nel Libro delle Epistole, raccolta in dodici libri di lettere del P. e di umanisti in corrispondenza con lui, dal P. stesso portata a compimento nel 1494, anno della sua morte, e pubblicata postuma, profondamente rimaneggiata, nell'ed. aldina degli Omnia opera del 1498.
Di molti fra i suoi scritti filologici il P. stesso curò la pubblicazione, mentre non si preoccupò di divulgare le opere del periodo che precedette il suo magistero più strettamente umanistico. In verità, se i suoi contemporanei e i posteri ammirarono nel P. il dotto umanista e l'elegante poeta latino, fu sempre riconosciuta la primaria importanza anche della sua attività di poeta in volgare: essa costituisce il più notevole anticipo di quella rinascita della letteratura volgare che, dopo la parentesi del primo Quattrocento, ebbe il suo coronamento anche teorico con P. Bembo. Le più importanti opere in volgare del P. sono le Stanze e l'Orfeo. Nelle Stanze la poesia del P., alimentata dal desiderio di evasione verso un "sopramondo umano", si esprime chiaramente nell'atmosfera contemplativa che circonda l'incontro di Iulio con Simonetta, creatura imparentata con la donna dello stil novo, ma pure distante da essa per i colori umani della sua leggiadria, e nella descrizione del regno di Venere, dove tutte le cose vivono eternamente nella gioia che concede l'amore. Come principali strumenti per la creazione di un mondo poetico siffatto si offrivano al P., oltre le reminiscenze della più insigne poesia volgare, i materiali linguistici, storici, mitologici, a lui familiarissimi, dell'antichità classica che, usati con gusto squisito (anche se il pericolo dell'alessandrinismo è continuo), gli permettono di operare una suggestiva trasfigurazione della quotidiana realtà terrena.
Che questo motivo di evasione resti però sempre vincolato a una chiara coscienza del limite inerente alla realtà umana è provato dalla nota di malinconia che più volte ricorre nella poesia polizianesca (basti ricordare la mirabile ballata I' mi trovai fanciulle, un bel mattino); nel clima neoplatonico fiorentino questo sogno d'evasione tendeva a sfociare nell'anelito religioso verso una realtà ultraterrena (Ficino, Lorenzo, Benivieni, ecc.), ma la mentalità del P. restò sempre aliena da impegni troppo precisi in tal senso. Analoga l'ispirazione dell'Orfeo, che narra il mito famoso: l'opera è molto importante anche dal punto di vista strettamente tecnico perché rappresenta il primo tentativo d'immettere nello schema della sacra rappresentazione un contenuto non religioso. E in generale non dissimile è anche il tono delle poesie latine del P., tra le migliori dell'umanesimo italiano (si ricordino l'epicedio In Albieram Albitiam, le elegie In violas a venere mea dono acceptas e In Lalagen, l'odicina In puellam suam, ecc.); anche le più atroci invettive e il più crudo realismo descrittivo (per es., nelle invettive In Mabilium, In anum, nella Sylva in scabiem, ecc.) sono in esse alleggeriti dal continuo, dosatissimo travestimento operato con l'uso di materiali linguistici rari e preziosi.
Le ragioni di questa predilezione del P. scrittore per la preziosità linguistica ebbero modo di esprimersi nel corso di un'importante polemica col ciceroniano P. Cortesi, della quale sono testimonianza alcune lettere conservate nell'epistolario polizianesco: di fronte ai ciceroniani che consideravano fondamentale canone stilistico l'imitazione del migliore autore, il P. rivendica allo scrittore la libertà di trascegliere donde vuole il materiale per il suo discorso, purché sappia poi dargli il timbro dell'originalità. In questa scelta il P. fu in effetti sempre libero da pregiudizî classicistici, orientandola di preferenza, se mai, verso autori della latinità argentea e tarda (Stazio, Claudiano, ecc.) e compiacendosi di scoprire, con profondo senso storico, ciò che li faceva diversi dagli autori del periodo classico, piuttosto che ciò che li faceva peggiori. Con eguale spregiudicatezza e vastità di orizzonti culturali discusse nei Miscellanea e nelle Epistolae i più svariati problemi filologici inerenti all'esegesi di un testo classico; e forse per primo s'ispirò, almeno in teoria, a principî, circa la collazione sistematica dei codici, che sono analoghi a quelli della filologia attuale. Il P. studiò dal punto di vista filologico anche testi giuridici (le Pandette giustinianee, di cui pensò per primo all'edizione critica, incominciando la collazione della littera florentina con la littera vulgata), testi di medicina (di Ippocrate, Galeno, ecc.) e infine i testi filosofici di Aristotele, ai quali dedicò gli ultimi quattro anni di vita.
Per le opere latine e greche, vanno soprattutto ricordate la prima ed. complessiva, l'aldina Omnia opera Angeli Politiani (1498), e la più completa Angeli Politiani opera (Basilea 1553), l'ed. a cura di I. Del Lungo, Prose volgari inedite e poesie latine e greche edite e inedite (1867), e le edd. critiche dovute a A. Ardizzoni (Epigrammi greci, 1951), a A. Perosa (Sylva in scabiem, 1954; Pactianae coniurationis commentarium, 1958), a V. Branca e M. Pastore Stocchi (Miscellaneorum centuria secunda, 1972); tra le molte edd. delle poesie volgari, quella curata da G. Carducci, Le Stanze, l'Orfeo e le Rime (1863; rist. a cura di G. Mazzoni, 1912) e l'ed. critica delle Stanze a cura di V. Pernicone (1954).”
(In www.treccani.it)
29 settembre 1494 nasce Agnolo Poliziano, poeta, umanista e filologo italiano (n. 1454)
Un fatto al giorno
29 settembre 1944: Strage di Marzabotto.
“L’eccidio di Monte Sole (più noto come strage di Marzabotto, dal maggiore dei comuni colpiti) fu un insieme di stragi compiute dalle truppe naziste in Italia tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, nel territorio di Marzabotto e nelle colline di Monte Sole in provincia di Bologna, nel quadro di un’operazione di rastrellamento di vaste proporzioni diretta contro la formazione partigiana Stella Rossa. La strage di Marzabotto è uno dei più gravi crimini di guerra contro la popolazione civile perpetrati dalle forze armate tedesche in Europa occidentale durante la Seconda guerra mondiale.
Dopo il Massacro di Sant’Anna di Stazzema commesso il 12 agosto 1944, gli eccidi nazifascisti contro i civili sembravano essersi momentaneamente fermati. Ma il feldmaresciallo Albert Kesselring aveva scoperto che a Marzabotto agiva con successo la brigata Stella Rossa e voleva dare un duro colpo a questa organizzazione e ai civili che la appoggiavano. Già in precedenza Marzabotto aveva subito rappresaglie, ma mai così gravi come quella dell’autunno 1944.
Capo dell’operazione fu nominato il maggiore Walter Reder, comandante del 16° battaglione corazzato ricognitori della 16. SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS, sospettato a suo tempo di essere uno tra gli assassini del cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss. La mattina del 29 settembre, prima di muovere all’attacco dei partigiani, quattro reparti delle truppe naziste, comprendenti sia SS che soldati della Wehrmacht, accerchiarono e rastrellarono una vasta area di territorio compresa tra le valli del Setta e del Reno, utilizzando anche armamenti pesanti. «Quindi – ricorda lo scrittore bolognese Federico Zardi – dalle frazioni di Panico, di Vado, di Quercia, di Grizzana, di Pioppe di Salvaro e della periferia del capoluogo le truppe si mossero all’assalto delle abitazioni, delle cascine, delle scuole», e fecero terra bruciata di tutto e di tutti.
Nella frazione di Casaglia di Monte Sole, la popolazione atterrita si rifugiò nella chiesa di Santa Maria Assunta, raccogliendosi in preghiera. Irruppero i tedeschi, uccidendo con una raffica di mitragliatrice il sacerdote, don Ubaldo Marchioni, e tre anziani. Le altre persone, raccolte nel cimitero, furono mitragliate: 195 vittime, di 28 famiglie diverse tra le quali 50 bambini. Fu l’inizio della strage. Ogni località, ogni frazione, ogni casolare fu setacciato dai soldati nazisti e non fu risparmiato nessuno. La violenza dell’eccidio fu inusitata: alla fine dell’inverno fu ritrovato sotto la neve il corpo decapitato del parroco Giovanni Fornasini.
Fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, dopo sei giorni di violenze, il bilancio delle vittime civili si presentava spaventoso: oltre 800 morti. Le voci che immediatamente cominciarono a circolare relative all’eccidio furono negate dalle autorità fasciste della zona e dalla stampa locale (Il Resto del Carlino), indicandole come diffamatorie; furono minimizzate anche presso Mussolini che chiedeva conferme (e che protestò per l’inaudita crudeltà tedesca); solo dopo la Liberazione lentamente cominciò a delinearsi l’entità del massacro.
«La nostra pietà per loro significhi che tutti gli uomini e le donne sappiano vigilare perché mai più il nazifascismo risorga.» (Lapide del cimitero di Casaglia)”
- Immagini: La strage di Montesole (Marzabotto) "Quello che abbiamo passato" - sottotitoli inglese
Una frase al giorno
“International solidarity is not an act of charity: It is an act of unity between allies fighting on different terrains toward the same objective. The foremost of these objectives is to aid the development of humanity to the highest level possible.”
(La solidarietà internazionale non è un atto di carità: è un atto di unità tra alleati che combattono su terreni diversi verso lo stesso obiettivo. Il principale di questi obiettivi è aiutare lo sviluppo dell'umanità al più alto livello possibile.)
(Samora Machel, Madragoa, 29 settembre 1933 - Mbuzini, 19 ottobre 1986, politico, rivoluzionario e militare mozambicano)
“Samora Moisés Machel, fu un leader del movimento socialista Fronte di Liberazione del Mozambico (FRELIMO) e 1º presidente del Mozambico indipendente. Rimase in carica dal 1975 fino alla propria morte, causata da un incidente aereo le cui cause sono tutt'oggi controverse. Gli succedette Joaquim Chissano, anch'egli membro del FRELIMO.
Machel nacque nel villaggio di Chilembene, in una famiglia povera di contadini. I suoi genitori furono costretti dai portoghesi colonialisti a coltivare cotone, e soffrirono a lungo la fame. Pur passando gran parte del suo tempo a lavorare nei campi, il giovane Machel riuscì a frequentare una scuola cattolica e in seguito studiò per diventare infermiere, riuscendo a trovare un impiego in un ospedale. Negli anni cinquanta, il terreno della sua famiglia fu confiscato e ceduto a coloni portoghesi; per sbarcare il lunario, i suoi dovettero andare a lavorare nelle miniere del Sudafrica, dove il fratello di Samora perse la vita in un incidente.
L'ingresso nel FRELIMO
Machel fu attratto dal marxismo e iniziò la propria attività politica in ospedale, protestando per la diversa retribuzione degli infermieri bianchi e neri e per il modo in cui i neri poveri mozambicani venivano curati. In seguito avrebbe dichiarato a un reporter: "al cane di un uomo ricco vengono dispensati più vaccini, medicine e cure mediche che agli operai dal cui lavoro deriva il benessere dell'uomo ricco". Nel 1962 Machel entrò nel Fronte di Liberazione del Mozambico (FRELIMO), un'organizzazione politico-militare di matrice indipendentista e socialista. Nel 1963 fu addestrato militarmente e nel 1964 guidò la prima azione di guerriglia del FRELIMO contro i portoghesi. Nel 1970 era già comandante in capo dell'esercito del FRELIMO. Il suo principale obiettivo, dichiarò, era "capire come trasformare la lotta armata in una rivoluzione" e "creare una nuova mentalità su cui costruire una nuova società".
Indipendenza
L'azione del FRELIMO indebolì progressivamente il potere coloniale e, dopo il colpo di Stato in Portogallo del 1974, i portoghesi lasciarono il Mozambico. Il governo rivoluzionario di Machel prese il potere e Machel divenne il primo presidente del Mozambico il 25 giugno 1975. L'azione politica di Machel fu subito apertamente marxista; le piantagioni furono nazionalizzate e vennero costruite scuole e ospedali per i contadini. Convinto internazionalista, Machel sostenne le forze rivoluzionarie che operavano in Rhodesia (odierno Zimbabwe) e Sudafrica. I governi bianchi di questi paesi risposero sostenendo un movimento di ribelli mozambicani chiamato RENAMO, che causò gravi danni al paese distruggendo scuole, ospedali, linee ferroviarie e centrali idroelettriche. L'economia del Mozambico, messa a dura prova dai conflitti interni, divenne sempre più dipendente dal sostegno dell'Unione Sovietica. Nonostante questa situazione di crisi, Machel non perse il favore della popolazione, anche a causa delle atrocità commesse sovente dai guerriglieri della RENAMO ai danni della popolazione civile. Nel 1977 gli venne conferito il Premio Lenin per la pace.
L'incidente. La Samora Machel Avenue, a Dar es Salaam, Tanzania
Il 19 ottobre 1986 Samora Machel fu coinvolto in un incidente aereo mentre rimpatriava da un meeting internazionale tenutosi in Zambia. Il velivolo su cui si trovava (un Tupolev Tu-134 di fabbricazione sovietica) precipitò nei pressi del confine fra Mozambico, Swaziland e Sudafrica, sui monti Lebombo. Ci furono solo nove sopravvissuti; Machel e altre 24 persone (inclusi membri del governo) morirono. Diverse fonti sollevarono il sospetto che il regime del Sudafrica fosse coinvolto, ma le indagini (condotte congiuntamente da Sudafrica, Mozambico, l'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile e l'Unione Sovietica) non giunsero mai a una prova conclusiva in merito, e solo la delegazione sovietica sostenne apertamente il coinvolgimento del Sudafrica. Il governo di Nelson Mandela, all'indomani della caduta del regime bianco dell'apartheid, riaprì le indagini nel contesto dei lavori della Commissione per la verità e la riconciliazione: anche in questo caso la questione non fu risolta. La vedova di Machel, Graça Machel, sta ancora portando avanti le ricerche (nel 1998, Graça Machel ha sposato Mandela, diventando first lady del Sudafrica dopo esserlo stata del Mozambico).
Rapporti internazionali
Come per Oliver Tambo, l'Italia ha stabilito con Samora Machel un forte legame, soprattutto negli anni settanta con la città di Reggio Emilia. In occasione della prima "Conferenza nazionale per la solidarietà contro il colonialismo e l'imperialismo per la libertà e l'indipendenza del Mozambico, Angola e Guinea-Bissau", tenutasi il 24 e 25 marzo 1973 proprio a Reggio Emilia, Machel presenziò in veste di Presidente del FRELIMO. Quando Reggio Emilia inviò la prima nave della solidarietà "Amanda", Machel l'accolse con gratitudine al porto di Maputo, nel giugno del 1980. In tale occasione, disse: «La solidarietà non è un atto di carità. È cooperazione, è aiuto reciproco fra popoli che lottano per il medesimo obiettivo. Questa nave porta la pace, porta la solidarietà di tutto il popolo italiano per tutti i popoli.» Tornò in visita ufficiale nella stessa città emiliana nel 1981 come Presidente del Mozambico indipendente. Il 26 aprile 2015 gli è stato intitolato un Parco del Capoluogo Reggiano.”
(Wikipedia)
- Immagini: Samora Machel Documentary (1983)
29 settembre 1933 nasce Samora Machel, politico, rivoluzionario e militare mozambicano (morto nel 1986)
Un brano musicale al giorno
Dmitri Shostakovich, Sinfonia n. 14 Op. 13
- I. "De profundis" (Federico García Lorca) 0:00
- II. "Malagueña" (Federico García Lorca) 4:10
- III. "Loreley" (Guillaume Apollinaire) 7:03
- IV. "Le Suicidé" (Guillaume Apollinaire) 16:00
- V. "Les Attentives I" (On watch) (Guillaume Apollinaire) 22:18
- VI. "Les Attentives II" (Madam, look!) (Guillaume Apollinaire) 25:13
- VII. "À la Santé" (Guillaume Apollinaire) 26:51
- VIII. "Réponse des Cosaques Zaporogues au Sultan de Constantinople" (Guillaume Apollinaire) 34:30
- IX. "O, Del'vig, Del'vig!" (Wilhelm Küchelbecker) 36:30
- X. "Der Tod des Dichters" (Rainer Maria Rilke) 40:30
- XI. "Schlußstück" (Rainer Maria Rilke) 44:16
Jitka Soběhartová - soprano
Jan Ericsson - Basso
Orchestra Filarmonica Iwasaki
Chuhei Iwasaki - direttore
La Sinfonia n. 14 (Op. 135) di Dmitrij Šostakovič è stata scritta nella primavera del 1969 ed eseguita per la prima volta dall'Orchestra da camera di Mosca, diretta da Rudolf Barshai, il 29 settembre dello stesso anno a Leningrado, con i soprano Galina Vishnevskaya e Margarita Miroshnikova ed i bassi Mark Reshetin e Yevgeny Vladimirov. Šostakovič dedicò questa penultima sinfonia al suo amico e collega Benjamin Britten.
La sinfonia è scritta per un'orchestra di 19 archi e percussioni, con soprano e basso solisti, ed è divisa in 11 movimenti, basati su poemi di quattro diversi scrittori, quali Federico García Lorca, Guillaume Apollinaire, Wilhelm Küchelbecker e Rainer Maria Rilke. Molti di questi poemi trattano tematiche relative alla morte, specialmente quella ingiusta o precoce. I testi originali sono stati tradotti in russo, ma esistono altre due versioni della sinfonia: con il testo tradotto nelle lingue originali oppure in tedesco. La prima esecuzione in Regno Unito avvenne nel 1970, e fu diretta dal dedicatario della sinfonia, Benjamin Britten.”
“Šostakovič, Dmitrij Dmitrievič
Compositore russo, nato a San Pietroburgo il 25 settembre 1906 e morto a Mosca il 9 ottobre 1975. Compositore tra i più rappresentativi della musica russa contemporanea, scrisse più di trenta partiture per il cinema sovietico, collaborando in particolare con i registi Grigorij M. Kozincev e Leonid Z. Trauberg. Anche in questo campo il suo apporto risentì dell'evoluzione stilistica che caratterizzò più in generale la sua opera, per cui a una prima fase, contrassegnata da uno stile eclettico e da un'attitudine sperimentale legata al clima culturale del formalismo, ne seguì una seconda, condizionata anche dalle critiche ufficiali del regime, più orientata nella direzione di canoni estetici del realismo socialista e della tradizione popolare russa.
Raggiunse la notorietà quasi esordiente, con la prima sinfonia (1926), che già racchiudeva la gradevolezza melodica, la vivacità strumentale e i frequenti cambiamenti di registro che contrassegneranno il suo primo stile. Durante la sua carriera compose quindici sinfonie, tra cui le più celebri sono la quinta (1937) e la settima detta 'di Leningrado' (1941). La vicinanza con le avanguardie europee si evidenziò nelle musiche per balletti e soprattutto nel suo primo lavoro teatrale, l'opera Nos (1930, Il naso), dalla novella di N. V. Gogol′.
Il primo contatto con il cinema risale al 1924, quando lavorò come pianista accompagnatore; successivamente collaborò come consulente nella scelta dei brani da accostare ai film al Teatro della Pellicola di Leningrado. La prima e più importante colonna sonora fu quella composta per il film muto Novyj Vavilon (1929; La nuova Babilonia) di Kozincev e Trauberg, fondatori della FEKS (Fabbrica dell'attore eccentrico), movimento d'avanguardia futurista, in stretti rapporti con lo studioso formalista Jurij N. Tynjanov. La partitura originale (op. 18), ritrovata solo nel 1975, riproponendo i tratti stilistici tipici di Š., l'eclettismo, la tendenza alla parodia e la capacità di passare in una stessa frase da un'intonazione elevata a una quotidiana, si prestava alla poetica dei registi che, nel lavoro di deformazione del materiale narrato, miravano a esibire i procedimenti di costruzione formale.
In linea con le teorie sul cinema sonoro elaborate da Vsevolod I. Pudovkin e Sergej M. Ejzenštejn, Š. lavorò inoltre sul principio del contrasto, per dare alla musica un ritmo asincrono, distinto e separato rispetto all'immagine, aumentando così la sua valenza informativa ed espressiva. La collaborazione con i due registi continuò con la musica per Odna (1931, Sola) e per la trilogia di Maksim, composta da Junost′ Maksima (1935, La giovinezza di Maksim), Vozvraščenie Maksima (1937, Il ritorno di Maksim) e Vyborgskaja storona (1939, Il quartiere di Vyborg).
In quegli anni Š. subì un duro attacco sulla "Pravda" in riferimento all'opera lirica Ledi Makbet Mcenskogo uezda (La lady Macbeth del distretto di Mcensk), per il "formalismo modernista" e la massa di suoni oscura e deliberatamente sgradevole. La necessità di aderire ai dettami del realismo socialista lo costrinse a modificare parzialmente il suo stile grottesco e ricco di influssi eterogenei (musica popolare russa, avanguardie, sinfonismo russo, jazz), per dare alla sua musica un carattere più comunicativo, dai toni più vitali e popolari, se non celebrativi.
La seconda maniera si rifletté anche nelle composizioni per il cinema, più accademiche, in film che furono in URSS, durante l'epoca staliniana, presi a modello: Molodaja gvardija (1948; La giovane guardia) di Sergej A. Gerasimov, lo storico-biografico Padenie Berlina (1950; La caduta di Berlino) di Michail E. Čiaureli. Il trionfalismo e l'assenza di conflittualità ideologica erano tradotti in un sinfonismo adatto in particolare alle azioni drammatiche di massa. Risultati più originali li ottenne in Vstreča na El′be (1949, Incontro sull'Elba) di Grigorij V. Aleksandrov e in Mičurin (1949; Mičurin o La vita in fiore) di Aleksandr P. Dovženko.
La sua carriera proseguì tra nuove censure e numerosi riconoscimenti ufficiali da parte delle autorità. Nei decenni seguenti le collaborazioni più valide furono sempre quelle con Kozincev: Gamlet (1964; Amleto) soprattutto, e Korol′ Lir (1970; Re Lear). Alcune sue canzoni scritte per il cinema entrarono nel repertorio popolare, come Pesnja o vstrečom (Canzone su un incontro), o Mir pobedit vojnu (Il mondo vincerà la guerra). Gran parte delle sue colonne sonore furono rielaborate in forma di suite, e alcune sue opere vennero adattate per lo schermo (Moskva, Čerëmuški, 1963; Katerina Izmajlova, 1967, nuova versione della Ledi Makbet Mcenskogo uezda, 1934). Nel 1967 scrisse le musiche per una riedizione sonora di Oktjabr′ (1927; Ottobre) di Sergej M. Ejzenštejn. Altre sue composizioni furono utilizzate dal cinema, come il Waltz II della suite n. 2 per orchestra jazz (1938) in Eyes wide shut (1999) di Stanley Kubrick.”
(Alessio Scarlato - Enciclopedia del Cinema, 2004, in www.treccani.it)
- Un film con le sue musiche: Златые горы (1931) фильм смотреть онлайн
Direttore: Sergei Yutkevich
Anno 1914. Dopo aver ricevuto un grande ordine militare, l'amministrazione dello stabilimento metallurgico di San Pietroburgo "Krutilov and Son" sta attirando nuovi lavoratori. Tuttavia, sotto l'influenza del potente movimento di sciopero dei lavoratori petroliferi di Baku, si sta preparando uno sciopero alla raffineria. L'ingegnere, figlio del proprietario dell'impianto, sta cercando di corrompere l'ex contadino Peter e di nominarlo capo degli operai appena arrivati. L'ingegnere è attivamente assistito in questo dal maestro. Peter prende parte al tentativo di assassinio dell'attivista operaio Vasily. A causa delle circostanze, l'eroe è costretto a portare a casa il bolscevico ferito. Una volta in mezzo agli operai in sciopero, Peter si unisce ai loro ranghi e viene trascinato nella lotta di classe.
29 settembre 1969: prima esecuzione di Sinfonia n. 14 di Dmitrij Šostakovič.
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
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