“L’amico del popolo”, 3 luglio 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

ONDATA DI CALORE (Italia-Francia, 1970), regia di Nelo Risi. Sceneggiatura: Nelo Risi, Anna Gobbi, Roger Mauge. Fotografia: Giulio Albonico. Montaggio: Gian Maria Messeri. Musica: Carlo Pes, Peppino De Luca. Con: Franco Acampora, Gianni Belfiore, Paolo Modugno, Stefano Oppedisano, Liliane Ngyen, Luigi Pistilli, Jean Seberg.

Joyce è una giovane donna americana, moglie di un ingegnere tedesco, Alexander Grass, che da anni lavora alla ricostruzione di Agadir, la città del Marocco distrutta dal terremoto del 1961. La sua vita non sembra essere molto felice: l'atteggiamento paternalistico del marito, le di lui tendenze anormali hanno fatto di lei, incapace di reagire, una donna frustrata, sola nella sua casa, oppressa dal caldo afoso portato da una violenta tempesta di sabbia, ossessionata dalle improvvise apparizioni di Alì, il giovane amico del marito, e la difficoltà di comunicazione con una umanità così dissimile, portano Joyce al limite della disperazione ed essa tenta di uccidersi avvelenandosi con il gas. Ma il dottor Volterra, amico di famiglia, giunge in tempo a salvarla. Fattasi ricoverare in clinica per trovare un poco di pace, essa viene ripresa dai suoi incubi e dalle sue angosce ed ha una crisi di nervi. Fuggita con la macchina del dottore essa si precipita a casa: qui trova la polizia che ha scoperto il cadavere del marito che essa aveva ucciso il giorno precedente.

“Week-end solitario, in Africa, della moglie di un ingegnere. Fa caldo, l'atmosfera è opprimente; la donna giunge a tentare il suicidio. La verità si fa strada: la donna ha ucciso il marito, colpevole di averle preferito un giovane africano. Il regista elimina i "fatti" per raccontare sottilmente impressioni, inquietudini mentali, atmosfere claustrofobiche”.

(FilmTV.it)

“Oggi ad Agadir. Mentre sta vedendo, alla televisione, un documentario sul terremoto che, nel 1961, distrusse la prima Agadir, una moglie, americana, uccide il marito, tedesco. In un raptus, per una “ondata di calore”, frutto di una torva nevrosi, provocata in parte da insoddisfazioni sessuali, dal disinteresse del marito, da certe sue aberrazioni. Dopo quel gesto, improvviso e quasi inconscio, la donna scivola a poco a poco dalla nevrosi alla follia, fino a quando, scoperto il suo delitto, non la ricovereranno in un manicomio che presto si ridurrà a una prigione”.

(Gian Luigi Rondi, Il Tempo)

“Chi vuol vincere il pessimismo sulle sorti del grande schermo, e persuadersi delle conquiste che il cinema può raggiungere quando è nelle mani di autori sensibili, intelligenti, informati delle cose della cultura, soprattutto se è svincolato dalle grandi macchine della Volgarità, dell'Ovvio, degli Alti Costi, farà bene ad andare a vedere "Ondata di calore". Un film, a dispetto del titolo, che ha l'eleganza d'una prosa d'arte aggiornata agli anni '70 e il fascino di un thrilling, esempio insolito d'una civiltà dello spettacolo che saldando con grazia certi echi della letteratura contemporanea agli stimoli del giallo, la poetica dello sguardo e l'analisi fenomenologica alla suspense del poliziesco, dona al pubblico una costante tensione emotiva. Tratto da un romanzo dell'americana Dana Moseley, sceneggiato da Anna Gobbi e Nelo Risi "Ondata di calore" è una sorta di referto (anche clinico) sulla domenica trascorsa dalla signora Joyce, un'americana sposa dell'architetto tedesco Alexander che lavora alla ricostruzione di Agadir. Qualcosa è accaduto, fra marito e moglie, la notte di sabato. Sapremo alla fine che cosa: il film, seminato un dubbio, e di tanto in tanto annaffiatolo con l'immagine balenante dell'uomo accasciato sulla poltrona, si dedica tutto all'analisi del comportamento di Joyce, a un'inquietudine che all'inizio sembra motivata soltanto dalla solitudine (si può credere che il marito sia andato a caccia) e dall'insofferenza per il caldo asfissiante e alla fine sfocerà nel panico. Il malessere cresce quando Joyce, che dalla finestra coglie fissi su di lei gli sguardi di uomini immobili, scopre una bambola di gomma, a grandezza naturale, che le conferma le aberrazioni del marito, e si vede spiata da Ali, il giovane berbero geloso di Alexander. Esce per strada, e la città, spazzata da una tempesta di sabbia, le offre uno spettacolo angoscioso. Va all'aeroporto, intenzionata a scappare, ma i voli sono sospesi. Uscita da un labirinto di quinte accecanti, torna a casa, ascolta la voce del marito al registratore ed eccitata dalla vista d'una coppia vicina ospita Ali e tenta di scaldarlo. Fallita la prova, tenta di uccidersi col gas. Salvata dall'arrivo d'un medico amico, si fa ricoverare in cinica per la notte, gli confida i suoi incubi, sembra quietarsi. Invece un ossessivo programma della TV e un richiamo casuale la rendono furiosa. Sfascia l'apparecchio e, ormai fuori di sé, raggiunge il suo appartamento. Dalle scale sente la voce del marito e il suo volto si distende. Invece, l'uomo è morto. Ucciso da chi? Presi in contropiede dalla scoperta che quanto hanno visto lungo il film non era il prologo ma l'epilogo d'un fatto di cronaca nera, la maggior parte degli spettatori, come in un giallo cifrato sino in fondo, si dedica a ipotesi sull'assassino. In realtà non è detto che anche facendo più attenzione ai primi dieci minuti tutto sarebbe risultato lampante. La trappola del regista è costruita abilmente per tenerci sulla corda: orlata di ambiguità la stessa soluzione dell'enigma, tutto il film è segnato da un gusto per l'equivoco che ne moltiplica il sapore. Allora diciamo che Nelo Risi, reduce dal meritato successo del "Diario d'una schizofrenica", ha giocato, prendendo per ma lo spettatore, uno squisito "solitario" voltando le carte, una alla volta, con la lucida, entomologica voluttà di fissare con lo spillo dell'immagine i trapassi d'una nevrosi sboccata nella follia. Se il gioco riesce, è perché Risi, con una precisione di mira, una fermezza di mano e una pulizia di timbri che crescono di film in film, sa concentrare in una rigorosa struttura narrativa areata da soffi allarmanti un universo perfettamente omogeneo, un ricamo di toni magici, ora morbidi ora sinistri - sottolineato dal crudo strappo del finale, quando la città si riempie di voci e di gesti concitati - in cui ogni punto è in tensione, ogni colore insieme riverbera la realtà e le infinite ipotesi dell'immaginazione quasi ai bordi della fantascienza. Questa doppia disponibilità, alleata a una scioltezza di linguaggio visivo che quasi non abbisogna di parlato, fa di "Ondata di calore" un film per qualche verso misterioso, remoto e velato come una donna araba, sorretto da un ritmo segreto che, anche grazie all'idea fortunata di trasferire l'azione dalla provincia americana ad Agadir, corrode tutta la banalità del soggetto e ne carica le svolte di fantasia. Tocchi al regista o al produttore (il film è una co-produzione italo-francese), non sarà da sottovalutare il merito di aver scelto per interprete Jean Seberg, che regge, da cima a fondo, nel volto bellissimo, il suo mosaico di sensazioni e di stato d'animo con una sapienza di attrice sempre meno frequente fra primedonne (al suo fianco, in una breve parte, si fa onore Luigi Pistilli). Quanto poi il film debba alla fotografia luminosa di Giulio Albonico, alle sue liriche scenografie, battute dal vento del deserto, di Giuseppe Bassan, anche alle musiche di Peppino De Luca e Carlo Pes, o spettatore bene educato vede da sé”.

(Giovanni Grazzini, «Gli anni Settanta in cento film», Roma-Bari, Laterza Editori, 1976, pp. 30-32)

"La Seberg debuttò nel 1957 con Saint Joan (Santa Giovanna) di Otto Preminger e quindi lavorò regolarmente. Fra gli altri film ricordiamo Bonjour Tristesse (Idem, 1958) sempre di Preminger; The Mouse That Roared (Il ruggito del topo, 1958) di J. Arnold, con P. Sellers; A bout de souffle (Fino all'ultimo respiro, 1960) di J. L. Godard, con J.P. Belmondo; A Fine Madness (Una splendida canaglia, 1967) di I. Kershner, con S. Connery; Pendulum (Idem, 1969) di G. Schaefer, con G. Peppard. Alla fine dei Sessanta era una diva conclamata, al livello di Jane Fonda, e arrivò all'apice nel 1970, quando uscirono ben quattro film che la vedevano protagonista: il grande successo Airport (Idem) di G. Seaton, con B. Lancaster, D. Martin, V. Heflin, J. Bisset e G. Kennedy; Paint Your Wagon (La ballata della città senza nome) di J. Logan, con C. Eastwood e L. Marvin; Macho Callaghan (Idem) di B. Kowalski, con L. J. Cobb; e la produzione italiana Ondata di calore di Nelo Risi. Erano però gli anni del movimento per i diritti civili dei neri e delle Pantere Nere. L'FBI era stato incaricato dal Congresso di eliminare tali movimenti, usando i mezzi repressivi consueti per il regime statunitense: false accuse giudiziarie; persecuzioni dell'IRS (Internal Revenue Service, il fisco americano) e della DEA (Drug Enforcement Agency, l'antinarcotici); licenziamenti da parte dei datori di lavoro; diffamazioni; omicidi anonimi per strada compiuti da agenti travestiti... Il programma preparato dall'FBI in merito era stato chiamato COINTELPRO... La Seberg in privato era sempre stata simpatizzante del movimento dei neri e raggiunta la grande notorietà nel 1970 pensò di usarla per pubblicizzare la causa. L'FBI la inserì nelle liste di COINTELPRO e, poco dopo, venne da sé una occasione di diffamazione: la Seberg era incinta e al momento adatto l'FBI concertò una campagna di stampa insinuando che il padre era un leader delle Pantere Nere. Appresa la notizia la Seberg entrò nelle doglie e diede alla luce un bambino prematuro che morì tre giorni dopo, l'8 settembre 1970. La donna, sgomenta per tanta malvagità, non riuscì mai a superare il trauma; tentò subito il suicidio e di lì in poi avrebbe ripetuto il rito ad ogni anniversario della morte del piccolo. Intanto tutti in America l'avevano abbandonata; nessun produttore poteva offrirle parti, nessuno dei colleghi di ieri - Eastwood, Lancaster, Marvin, Peppard, Connery, Sellers e così via - si azzardò a offrirle sostegno, anche solo morale... L'8 settembre 1979, a Parigi, il suo decimo tentativo riusciva e moriva suicida. Da allora l'USIA ostacolò la riprogrammazione dei suoi film ovunque poté, certo in Italia, perché la gente non doveva focalizzare sulla donna e la sua vicenda. Ecco perché pochi ora ricordano Jean Seberg".

 

Una poesia al giorno

Continuare... di Nelo Risi

Che senso avrebbe
aver cura del tutto che non so
tanto da riempire un dizionario popolare
un tascabile d’enciclopedia

C’è un angolo di prato neanche poi
così lontano proprio al centro e di un ordine
dei cappuccini ora dismesso
con una panca zoppa e qualche frasca
del nespolo assecchito e lì mi siedo
sulle ginocchia ho i giornali del mattino
dicono quello che già so l’arcobaleno
sul declino di un mondo abbrunato
parole al vento così usate e sporche
che se ne vanno senza traccia

Ho vissuto con fiducia nel reale che non sento
il bisogno di portare con me niente
ho acquisito negli anni il piglio
di preservarmi dai vuoti dai richiami
del sociale dal come valutare gli incontri
lasciare al mezzo una conversazione le spalle
al banale limitare gl’inviti o a mattino inoltrato
fischiettare Mozart staccando la spina per cogliere
l’istante di vero che talvolta mi dà luce

 

Un fatto al giorno

3 luglio 1849: i Francesi entrano in Roma per ripristinare il potere di Papa Pio IX. “1849. Il generale francese Oudinot comincia l'assedio di Roma. L'assedio di Roma ebbe luogo fra il 3 giugno e il 2 luglio 1849, quando il generale Oudinot, inviato dal presidente della Seconda Repubblica francese Luigi Napoleone, tentò per la seconda volta l'assalto a Roma, capitale della neoproclamata Repubblica Romana. L'assedio si concluse con la vittoria e l'ingresso dei francesi a Roma che vi insediarono un provvisorio governo militare in attesa del ritorno di papa Pio IX”.

(Wikipedia)

“Il giorno seguente, il 3 luglio, verso mezzogiorno grossi drappelli di fanteria francese scesero dal Gianicolo e occuparono Trastevere, Castel S. Angelo, il Pincio e porta Flaminia. Verso le 4 pomeridiane, davanti a un'immensa folla di popolo, il generale GIUSEPPE GALLETTI, presidente dell'Assemblea, dal balcone del Campidoglio lesse la nuova costituzione della Repubblica Romana. Qualche ora dopo il generale OUDINOT faceva il suo arrogante ingresso in città alla testa di dodicimila uomini, accolto dal popolo con grida di "Viva la Repubblica Romana! Viva l'Italia!" mentre una dimostrazione popolare percorreva le vie capitanata dal CERNUSCHI e qua e là non pochi reazionari erano bastonati o uccisi e moltissimi francesi, che volevano insolentir con le donne, trovavano la morte sotto i coltelli dei loro, padri, mariti, fidanzati, fratelli, popolani ma indignati. La popolazione romana, che aveva letto i bellissimi proclami del Mazzini, lesse ora un odioso manifesto del generale francese: "Abitanti di Roma! L'esercito mandato dalla Repubblica francese sul vostro territorio ha per fine di restituire l'ordine desiderato dalle popolazioni. Pochi faziosi e traviati ci hanno costretto a dare l'assalto alle vostre mura; ci siamo impadroniti della città; adempiremo al debito nostro. Fra le testimonianze di simpatia che ci hanno accolto dove erano incontestabili i sensi del vero popolo romano, si sono levati alcuni rumori ostili che ci hanno condotto nella necessità di reprimerli immediatamente. Ripiglino animo, le genti per bene, ed i veri amici della libertà; i nemici dell'ordine e della società sappiano che se mai si rinnovassero dimostrazioni aggressive provocate da una fazione straniera, essi saranno severamente puniti. Per garantire efficacemente la pubblica sicurezza io prendo le seguenti misure: ogni potestà è temporaneamente accentrata in mano dell'autorità militare, la quale immediatamente invocherà il concorso dell'autorità municipale. L'Assemblea e il governo che il regno violento ed oppressivo incominciò e finì con un'empia guerra contro una nazione amica delle popolazioni romane, hanno cessato di esistere. I Circoli e le società politiche sono chiusi; proibite temporaneamente ogni pubblicazione per le stampe e ogni affissione non permessa dall'autorità militare. I delitti contro le persone e contro le proprietà, saranno puniti dai tribunali militari. Il generale di divisione ROSTOLAN è nominato Governatore di Roma: il generale di brigata SAUVAN comandante, il colonnello SOL maggiore di piazza".

 

Una frase al giorno

“Non riesco a capire l'ossessione che alcuni hanno per dare una spiegazione razionale a immagini spesso gratuite. La gente vuole sempre la spiegazione di tutto. È la conseguenza di secoli di educazione borghese. E per tutto quello per cui non trovano spiegazioni ricorrono in ultima istanza a Dio. Però, a cosa gli serve? Dopo dovranno spiegare Dio”.

(Luis Buñuel Portolés, 1900-1983, cineasta spagnolo).

 

Un brano al giorno

Aver visto: “I dieci comandamenti - Viva Venezia” su Rai Tre ed essere sempre più convinto della follia delle grandi navi sui canali veneziani

Francesco Guccini, Venezia 

Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare,
la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia, la vende ai turisti,
che cercano in mezzo alla gente l' Europa o l' Oriente,
che guardano alzarsi alla sera il fumo - o la rabbia - di Porto Marghera...

Stefania era bella, Stefania non stava mai male,
è morta di parto gridando in un letto sudato d' un grande ospedale;
aveva vent' anni, un marito, e l' anello nel dito:
mi han detto confusi i parenti che quasi il respiro inciampava nei denti...

Venezia è un albergo, San Marco è senz' altro anche il nome di una pizzeria,
la gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra.
Stefania d' estate giocava con me nelle vuote domeniche d' ozio.
Mia madre parlava, sua madre vendeva Venezia in negozio.

Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare,
però non ti puoi risvegliare con l' acqua alla gola, e un dolore a livello del mare:
il Doge ha cambiato di casa e per mille finestre
c'è solo il vagito di un bimbo che è nato, c'è solo la sirena di Mestre...

Stefania affondando, Stefania ha lasciato qualcosa:
Novella Duemila e una rosa sul suo comodino, Stefania ha lasciato un bambino.
Non so se ai parenti gli ha fatto davvero del male
vederla morire ammazzata, morire da sola, in un grande ospedale...

Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità:
del resto del mondo non sai più una sega, Venezia è la gente che se ne frega!
Stefania è un bambino, comprare o smerciare Venezia sarà il suo destino:
può darsi che un giorno saremo contenti di esserne solo lontani parenti...

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

 

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

 

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

 

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

 

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

 

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

 

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

 

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

 

Nous serons

 

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

 

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

 

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

 

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

 

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

 

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

 

Un fatto al giorno

 

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k