L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
LES YEUX SANS VISAGE (Occhi senza volto, Italia-Francia, 1959), regia di Georges Franju. Sceneggiatura: Pierre Boileau, Thomas Narcejac, Jean Redon, Claude Sautet Dialoghi: Pierre Gascar. Fotografia: Eugen Schüfftan. Montaggio: Gilbert Natot. Musica: Maurice Jarre. Con: Pierre Brasseur, Alida Valli, Edith Scob, Juliette Maynel, Claude Brasseur.
“Una donna, di notte, getta un corpo senza vita nelle acque della Senna. Intanto il professor Génessier tiene una conferenza, esponendo i risultati delle sue ricerche nel campo del trapianti dei tessuti. Finito l'incontro, il professore corre all'obitorio. Al funerale di Christiane, Génessier riceve le condoglianze insieme a Louise, la sua segretaria: è lei la donna che ha buttato nella Senna il corpo senza vita. Louise alla fine della cerimonia, è preda di una crisi di nervi e Génessier la schiaffeggia, mentre mette in ordine le corone di fiori nella cappella di famiglia. Tornato a casa, il professore sale in una camera nella quale giace una ragazza: è Christiane, col volto sfigurato. La morta è Simone, che il professore ha operato per toglierle il viso, cercando di restituirlo alla figlia. Louise, che deve il suo aspetto alla chirurgia plastica di Génessier dopo un incidente che l'aveva sfigurata, è all'opera ancora una volta. Irretisce una ragazza, Edna, prospettandole l'occasione di una stanza libera e la porta nella villa di Génessier. Qui, i due la narcotizzano e la portano in una stanza segreta, dove il medico conduce i suoi esperimenti. Christiane vede e sente tutto, ma non interviene, anzi, aspetta fiduciosa questa nuova operazione che dovrebbe renderle un viso. L'operazione va a buon fine: Edna sopravvive, ed anche Christiane sembra reagire bene. L'assistente si reca nella camera dove viene tenuta prigioniera Edna per darle da mangiare. Edna ne approfitta per colpirla e scappare. Ma la sua fuga termina con una caduta dalla finestra e la ragazza muore. Génessier e Louise, non sapendo come fare per nascondere questo nuovo cadavere, lo portano al cimitero e lo nascondono nella tomba di famiglia, accanto a quello di Simone. Il viso di Christiane a poco a poco, però, va in necrosi: la ragazza è costretta a rimettersi la maschera che la copre. Disperata, chiede a Louise di lasciarla morire, magari fornendole i veleni che il padre usa negli esperimenti con i cani che tiene nelle gabbie giù in laboratorio. Poi, un giorno, telefona al fidanzato, Jacques, che la ritiene morta. Lui sente solo pronunciare il suo nome e si reca alla polizia, per cercare di chiarire la cosa. Il poliziotto lo disillude: Christiane è morta, suo padre ne aveva riconosciuto il corpo. E poi ci sono tanti mitomani, tanti si dice, tante tracce che non portano a niente. Si mette a enumerare i si dice dei suoi casi: tra questi, anche una ragazza che ha denunciato la sparizione di un'amica che si faceva vedere negli ultimi tempi con una signora di cui ricorda solo che portava un collier di perle molto alto e che le cingeva strettamente il collo. Tutte le ragazze scomparse sono bionde con gli occhi blu: i poliziotti chiedono a Paulette, una ragazza che corrisponde alla descrizione, di aiutarli facendosi ricoverare nella clinica di Génessier. La giovane viene notata dal medico ma viene dimessa in serata. Recandosi a prendere l'autobus, è prelevata da Louise e finisce pure lei nel lettino di contenzione dove dovrà subire l'operazione di prelievo. Génessier, però, viene interrotto dall'arrivo della polizia: all'accettazione l'infermiera dichiara che la ragazza se n'è andata da poco. Jacques e la polizia se ne vanno, convinti che all'ospedale non sia successo niente. Christiane, nel frattempo, aspetta l'ennesima operazione nel letto vicino alla sua vittima e quando costei si risveglia, prende un bisturi e la libera tagliandole i lacci che la legano. Arriva Louise per fermarla, ma la figlia del medico la colpisce al collo uccidendola. Paulette fugge via e Christiane libera tutti i cani rinchiusi nelle gabbie. Génessier, di ritorno dalla clinica dove ha incontrato i poliziotti, viene circondato dagli animali che straziano il loro torturatore, uccidendolo. Christiane libera delle colombe e si allontana nella notte”.
(Wikipedia)
“Occhi senza volto giunse nelle sale nel 1959, anno di consacrazione definitiva della Nouvelle Vague. Franju considerava questa una mera coincidenza dato che egli ha più volte espressamente ribadito la sua estraneità al movimento e alle sue regole estetiche (improvvisazione sul set, rifiuto dell’utilizzo di teatri di posa), anche se quasi tutti gli studi sulla Nouvelle Vague annoverano il regista tra i suoi esponenti più illustri. E’ in realtà all’Espressionismo tedesco, Murnau e Lang in particolar modo, che Franju guarda al momento di girare Les yeux sans visage; quando il film fu presentato a Edimburgo ben sette persone in sala persero i sensi e la critica rimase scandalizzata. L’unico giornalista che osò parlarne bene perse il lavoro. Franju beffardo dichiarò che aveva capito perché gli scozzesi indossassero il gonnellino. A rivederlo oggi a distanza di più di mezzo secolo la reazione del pubblico di allora potrebbe sembrarci quantomeno esagerata, e in effetti la storia non contiene elementi particolarmente innovativi. C’è tutto: dallo scienziato pazzo alla villa isolata in campagna con tanto di laboratorio nei sotterranei, ma la maestria di Franju sta nel plasmare gli elementi a sua disposizione riuscendo a creare qualcosa di unico partendo da archetipi ben consolidati. Se il dottor Genessier (Genesi?) è spinto dall’ambizione sfrenata e da un opprimente senso di colpa ad agire come il Creatore, disponendo del destino altrui pur di restituire a sua figlia Christiane la bellezza perduta dopo essere rimasta sfigurata in un incidente automobilistico, a Louise (Alida Valli) spetta il ruolo di angelo della morte che seleziona le vittime sacrificali in base alle caratteristiche fisiche: bionde e con gli occhi azzurri, come Christiane appunto. Tuttavia non è intenzione del regista stigmatizzare l’arroganza della scienza di fronte ad un ordine divino o naturale; in molti infatti hanno voluto piuttosto vedere nel film un preciso sottotesto politico: l’egoismo familiare del dottor Genessier, che distorce l’amore paterno per la figlia riducendo a mere astrazioni tutte le altre ragazze, sarebbe ben radicato nel culto della famiglia che fu una bandiera della politica pétainista - in opposizione alla resistenza - a lungo presente nei programmi conservatori per la Rinascita Morale. Il gesto finale di Christiane si presenterebbe quindi come una presa di posizione politicamente di sinistra. Reiterando l’alternarsi di morte e vita e calcando la mano sulla sinistra ambiguità dei personaggi, Franju fa precipitare lo spettatore in una lugubre spirale orrorifica che gioca costantemente sul filo del non detto, fino al cruento finale che sublima la tensione accumulata in una liberatoria sequenza di puro splatter ante-litteram”.
(Andrea Cardosi)
"Il mio volto mi fa paura, la maschera mi fa ancora più terrore". Paura della morte e finzione del peccato nel racconto di Jean Redon sceneggiato, fra gli altri, da Claude Sautet. L'orrore di Franju inquieta nel suo incedere surreale, nel disegno d'una favola nera sinistra e stregata, nel pedinamento delle danze macabre degli attori (Franju indugia con Brasseur per le scale e con sua figlia che corteggia il telefono), nella lettura degli sguardi (senza più volto, vita) del trio assassino (av)vinto dal senso di colpa e, al contempo, indifferente all'oscenità. Dominano i chiaroscuri dell'espressionismo tedesco (i giochi di luce durante l'encefalogramma!) e delle categorie di Bene e Male (quanto mistero e repulsione/attrazione negli occhi sognanti della sfigurata, insensibile alla morte altrui!), mentre si nutre l'orrore inconscio senza esaurire certe pulsioni nella conscia messinscena dell'orrore. Gli unici tersi occhi per vedere sono quelli della Coscienza: bendati quelli dell'uomo superbo che si sostituisce a Dio, accecati dalla gratitudine quelli del suo servitore, ottenebrati dal dolore e dalla rabbia (anche verso il padre) quelli del beneficiario che ha le fattezze di un Angelo... della Morte. Dove inizia il peccato e dove finisce la pretesa d'amore? Quali limiti e alibi può porsi l'orrore? Una serie di "cappuccetti rossi" sperduti nel bosco finisce fra le mani di un compassato macellaio, caricatura minacciosa del professionista imperturbabile. Il mito dell'eterna giovinezza e il ritratto di Dorian Gray seguono con (insostenibile) occhio "documentaristico" i tagli chirurgici dei volti da asportare e la documentazione scientifica del Rigetto. Gli scheletri vengono seppelliti nella tomba di famiglia, Freud sghignazza da sotto la lapide, De Sade s'eccita nella sala operatoria, Clouzot aleggia, Franju carica con sprazzi lirici il contrasto angosciante di un'allegra aria da organetto di strada suonata da un orribile storpio. Si bestemmia Dio parlando di miracoli ma l'idolo/vittima libera le colombe, si monda, toglie il volto al padre e lo dà in pasto alle belve vivisezionate, per poi perdersi nel bosco della dolce follia. Se non fosse stato per lei, un altro omicidio sarebbe avvenuto; se era per i poliziotti, l'assassinio era certo: perché se ne vanno dall'ospedale certi che non ci sia più nulla su cui indagare?
(Niccolò Rangoni Machiavelli)
Il film online: www.youtube.com
Una poesia al giorno
Gioia, di Ko Un (nato il 1° agosto 1933, a Gunsan, Corea del Sud), in “L’isola che canta. Antologia poetica 1992-2002”, LietoColle, 2015, traduzione italiana di V. D’Urso.
Ciò che ora io penso,
chissà dove nel mondo,
qualcuno l’avrà già pensato.
Non piangere.
Ciò che ora io penso,
chissà dove nel mondo,
qualcuno lo starà pensando.
Non piangere.
Ciò che ora io penso,
chissà dove nel mondo,
qualcuno lo vorrà pensare.
Non piangere.
Che gioia!
In questo mondo,
chissà dove in questo mondo,
io sono composto di molti Io.
Che gioia!
Io sono composto
di molti Altri.
Non piangere.
Un fatto al giorno
4 luglio 1862: Lewis Carroll racconta a Alice Liddell una storia che si sarebbe sviluppata nelle avventure di Alice nel paese delle meraviglie ei suoi sequel. Nel 1865 viene pubblicato “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”, con le illustrazioni di John Tenniel. Il racconto è pieno di allusioni a personaggi, poemetti, proverbi e avvenimenti propri dell'epoca in cui Dodgson opera e il "Paese delle Meraviglie" descritto nel racconto gioca con regole logiche, linguistiche, fisiche e matematiche che gli hanno fatto ben guadagnare la fama che ha. Il libro ha un seguito chiamato Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò. Nella maggior parte dei casi gli adattamenti teatrali e cinematografici preferiscono fondere insieme elementi dell'uno e dell'altro.
Lo statunitense Martin Gardner ha pubblicato un'opera intitolata The Annotated Alice che riproponeva il testo di entrambi i libri arricchito da numerosissime note esplicative che spiegavano tra l'altro i riferimenti più o meno conosciuti ai vari poemetti vittoriani di cui Dodgson propone parodie nei suoi libri.
Capitoli
- Capitolo 1 - Nella tana del coniglio
- Capitolo 2 - Un lago di Lacrime
- Capitolo 3 - Una corsa elettorale e una lunga storia
- Capitolo 4 - Il coniglio presenta un conticino
- Capitolo 5 - I Consigli di un Bruco
- Capitolo 6 - Porco e pepe
- Capitolo 7 - Un tè di matti
- Capitolo 8 - La partita a croquet della Regina
- Capitolo 9 - La Storia della Finta Tartaruga
- Capitolo 10 - La Quadriglia delle Aragoste
- Capitolo 11 - Chi ha rubato le paste?
- Capitolo 12 - La deposizione di Alice
Da vedere: www.youtube.com
Una frase al giorno
“È una ben povera memoria quella che funziona solo all'indietro”.
(Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson, 1832-1898, scrittore matematico e scrittore inglese reverendo)
Un brano al giorno
"Alice" di Francesco De Gregori
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
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web www.brusaporco.org