“L’amico del popolo”, 3 maggio 2020

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno IV. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

ON THE TOWN (Un giorno a New York, US, 1949), regia di Gene Kelly, Stanley Donen. Prodotto da Arthur Freed, Roger Edens. Sceneggiatura: Adolph Green, Betty Comden. Basato su un’idea di Jerome Robbins e sul musical On the Town (1944 ) di Adolph Green, Betty Comden e Leonard Bernstein. Musiche: Leonard Bernstein. Roger Edens, Lennie Hayton, Adolph Green (testi), Betty Comden (testi), Conrad Salinger. Fotografia: Harold Rosson. Montaggio: Ralph E. Winters. Cast: Gene Kelly nel ruolo di Gabey. Frank Sinatra nel ruolo di Chip. Betty Garrett nel ruolo di Brunhilde "Hildy" Esterhazy. Ann Miller nel ruolo di Claire Huddesen. Jules Munshin nel ruolo di Ozzie. Vera-Ellen nel ruolo di Ivy Smith. Florence Bates nel ruolo di Madame Dilyovska. Alice Pearce nel ruolo di Lucy Shmeeler. George Meader come professore. Hans Conried nel ruolo di François (capo cameriere) (non accreditato).

Carol Haney, l'assistente di Gene Kelly, si è esibita con Kelly nella sequenza di balletto del Day in New York, ma non è stata accreditata. Questo è stato il debutto sullo schermo di Haney. Mickey Miller è la ballerina di abilità che sostituisce il personaggio di Jules Munshin Ozzie nella sequenza di balletto "Day in New York", ma non è stata accreditata. Bea Benaderet ha un cameo non accreditato come una ragazza di Brooklyn in metropolitana, il suo debutto cinematografico in un ruolo da protagonista. Bern Hoffman ha un ruolo non accreditato come operaio del cantiere che canta la canzone di apertura e la riprende alla fine. Alice Pearce era l'unico membro originale del cast di Broadway a riprendere il suo ruolo.

Numeri musicali:

  • "I Feel Like I'm Not Out of Bed Yet" - Operaio di cantiere navale (Bernstein)
  • "New York, New York" - Gabey, Chip e Ozzie (Bernstein)
  • "Miss Turnstiles Ballet" (strumentale) - Ivy e ensemble (Bernstein)
  • "Prehistoric Man" - Claire, Ozzie, Gabey, Chipe Hildy
  • "Come Up to My Place" - Hildy e Chip (Bernstein)
  • "Main Street" - Gabey e Ivy
  • "You're Awful" - Chip e Hildy
  • "On the Town" - Gabey, Ivy, Chip, Hildy, Ozzie e Claire
  • "Count on Me" - Gabey, Chip, Ozzie, Hildy, Claire e Lucy
  • "A Day in New York" (strumentale) - Gabey, Ivy e dream cast (Bernstein)
  • "I Feel Like I'm Not Out of Bed Yet"/"New York, New York" (ripresa) - Operaio di cantiere navale, tre marinai e coro

ON THE TOWN (Un giorno a New York, US, 1949), regia di Gene Kelly, Stanley Donen 

“Tre amiconi marinai, Gabey, Chip ed Ozzie, in licenza per sole ventiquattro ore a Manhattan, non desiderano visitare monumenti e musei, ma inseguire le donne. In particolare Ivy Smith, una bellissima ragazza che vedono ritratta in un manifesto pubblicitario, appena eletta Miss Metropolitana (in originale, "Miss Tornello", l'entrata girevole della metropolitana). Gabey incontra casualmente la ragazza, ma la perde subito di vista e i ragazzi decidono di aiutarlo a rintracciarla.

Chip incontra invece la bionda tassista Brunhilde Esterhazy, mentre Ozzie, al Museo di Storia Naturale, fa conoscenza con la studentessa d'antropologia Claire Huddesen, che rimane affascinata dalla sua somiglianza con l'Uomo di Neanderthal.

Nel museo il gruppo si scatena in un numero di ballo e finisce per demolire lo scheletro di un dinosauro, scappando subito dopo per evitare di pagare i danni. A questo punto i ragazzi decidono di separarsi e si danno appuntamento all'Empire State Building alle 20.30. Gabey rintraccia Ivy Smith in una scuola di ballo, ma la maestra Madame Dilyovska impone a Ivy di rientrare a mezzanotte per andare al lavoro a Coney Island.

Ritrovatisi tutti al luogo dell'appuntamento, riescono a sfuggire alla polizia che sta cercando i responsabili dei danni al museo. Ma Ivy sparisce ancora una volta, e Madame Dilyovska rivela a Gabey il luogo dove può trovarla. Il gruppo parte per Coney Island con un taxi rubato e, per evitare di farsi individuare dalla polizia, i tre ragazzi si travestono da ballerine.

Alla fine le ragazze danno l'addio ai tre marinai, che rientrano a bordo proprio nel momento in cui altri marinai scendono dalla nave per un'altra giornata di licenza.

ON THE TOWN (Un giorno a New York, US, 1949), regia di Gene Kelly, Stanley Donen

Il film è una commedia musicale interpretata dallo stesso Gene Kelly, Frank Sinatra, Betty Garrett, Ann Miller, Jules Munshin, Vera-Ellen, Florence Bates, Alice Pearce e George Meader. Kelly e Donen si occupano anche di coreografare i numeri musicali.

L'idea del film partì da Fancy Free, un balletto scritto da Leonard Bernstein e coreografato da Jerome Robbins, presentato a New York nel 1944, che fu successivamente trasformato in musical e ribattezzato On the Town. Il lavoro, riscritto con un linguaggio musicale innovativo e con balletti imperniati su vari stili di danza, tenne il cartellone a Broadway per ben due anni e rappresentò una rivoluzione nel musical. I dirigenti della MGM, che avevano una visione piuttosto conservatrice dei gusti del pubblico e preferivano non rischiare, pur avendone acquistato i diritti per 250 000 dollari, preferirono archiviare il progetto.

L'idea riemerse quando George Abbott, regista del musical, recatosi a Hollywood su invito del produttore Arthur Freed, la ripropose a Gene Kelly. Questi si dimostrò entusiasta e si autocandidò alla regia insieme a Stanley Donen. Freed si convinse a far partire il progetto, a condizione che la sceneggiatura venisse riscritta eliminando molti dei numeri di danza che costituivano l'ossatura del lavoro teatrale, e che lo spartito venisse rimaneggiato introducendo delle canzoni di più facile presa per il pubblico. Bernstein non approvò la scelta dei produttori del film e boicottò il film.

Durante le prove, Kelly e Donen insistettero affinché il film fosse girato tutto a New York, ma la produzione non li autorizzò, concedendo loro una sola settimana di riprese in esterni. L'occasione fu sfruttata a fondo sia per il numero iniziale, sia per il finale.

La critica fu entusiasta e l'accoglienza del pubblico fu ottima, nonostante lo scetticismo dei dirigenti dello studio. Un giorno a New York è tuttora considerato come un punto di svolta del genere musical, che con questo film entra in una fase più matura e più brillante.”

(In wikipedia.org)

ON THE TOWN (Un giorno a New York, US, 1949), regia di Gene Kelly, Stanley Donen

“Per pura esuberanza patriottica, né Kelly né Donen fecero un film migliore di On the Town, tratto da un musical di Betty Comden e Adolphe Green con musiche di Leonard Bernstein e ispirato al balletto di Jerome Robbins, Fancy Free. Robbins aveva ideato le coreografie sia per il musical del 1944, sia per il precedente balletto. Arthur Freed lo vide, ottenne un’opzione e ne trasse una versione cinematografica, incaricando il suo prezioso assistente, Roger Edens (che produsse il film) di scrivere una nuova serie di canzoni insieme a Comden e Green.

Freed disse di Roger Edens: “Ha dato un contributo fondamentale a tutti i musical cui ha lavorato. Il suo talento nell’impostare un musical, i suoi arrangiamenti e in generale il suo senso dello spettacolo sono merce rara. È bellissimo lavorare con lui. Non vi dico quanto mi ha aiutato”. Come produttore associato, Edens poté realizzare un musical privo di balletti impegnativi e macchinosi: “Il musical intimo è l’unica strada per il vero spettacolo. La gente non si diverte più con i ballerini di fila. È anche meno costoso e più gratificante concentrarsi sugli attori principali. On the Town fu un matrimonio felicissimo tra talenti creativi. Freed ci lasciò liberi, e Kelly è un gran lavoratore: va pazzo per il lavoro. La struttura del film e i vari numeri, compreso quello favoloso in cima all’Empire State Building, furono per tutti noi un’emozione indimenticabile!”.

In On the Town, Kelly poté finalmente fare il regista, e questo si riflette splendidamente sulla sua interpretazione. La sua bravura a volte insopportabile si trasforma qui nel talento tutto americano per la spontaneità. New York, città dalle vette himalayane, con i suoi grattacieli, la sua esilarante irrequietezza (stando fermi si ha l’impressione che gli edifici si stiano muovendo), fa da perfetto sfondo per Kelly e la sua banda: Betty Garrett che insegue il timido Sinatra, Kelly che tenta di conquistare Vera-Ellen e Ann Miller che dà la caccia a Jules Munshin. La parte migliore del film si svolge nella sezione di antropologia del Museo di storia naturale di New York, dove Miller adotta le tattiche della donna delle caverne per il suo numero di danza preistorico. […] On the Town violava completamente le convenzioni dei musical hollywoodiani, e dimostrò che i numeri di danza potevano essere efficacemente ambientati in esterni. Per Kelly e Donen, poi, fu il trionfo.”

(John Kobal, Gotta Sing Gotta Dance - A Pictorial History of Film Musical, Hamlyn, London-New York-Sydney-Toronto, 1971, in: festival.ilcinemaritrovato.it)

 

  • Il film: On The Town - starring Gene Kelly, Frank Sinatra, Vera-Ellen, Ann Miller, Betty Garrett

 

Betty Comden e Adolph Green

Betty Comden (Elizabeth) fu attrice teatrale e cinematografica, autrice di testi musicali, commediografa e sceneggiatrice statunitense, nata a New York il 3 maggio 1919. Betty Comden e Adolph Green, che insieme hanno lavorato per oltre sessant'anni sia a Hollywood (per un periodo) sia a New York (per gran parte della carriera), hanno scritto i più importanti musical hollywoodiani della fine degli anni Quaranta e degli anni Cinquanta.

Inseparabili sul piano professionale (anche se le loro riunioni di lavoro sono sempre state vivacemente combattute), non si possono definire autori di testi musicali a tempo pieno, né commediografi, né sceneggiatori, ma un ibrido originale di tutte e tre le professioni che sfugge a ogni categorizzazione. Hanno infatti scritto il libretto di un musical teatrale (Applause, 1970), a volte solo testi di canzoni (The Will Rogers Follies), a volte l'intera sceneggiatura e le canzoni di un film, come nel caso di It's always fair weather (1955; È sempre bel tempo) diretto da Gene Kelly e Stanley Donen.

Dalla metà degli anni Sessanta non hanno più scritto nulla per il cinema, e anche se la loro produzione in questo campo risulta limitata a pochi titoli, il valore di Betty Comden è rimasto sicuramente insuperato. Appena ottenuta la laurea in scienze alla New York University, la Comden decise di dedicarsi all'attività teatrale che aveva già avviato durante gli studi universitari. Insieme a Green iniziò a recitare sketch comici in un gruppo del Greenwich Village, The Revuers, di cui faceva parte Judy Holliday e che si avvaleva a volte dell'accompagnamento musicale di Leonard Bernstein. Il numero presentato dai Revuers, riproposto poi nel film Greenwich Village (1944) di Walter Lang, divenne talmente popolare da essere messo in scena al Radio City Music Hall.

Il loro primo successo a Broadway, On the town, con musiche di Bernstein e coreografie di Jerome Robbins, consentì alla Comden e a Green di firmare nel 1945 un contratto con la Metro Goldwyn Mayer e quindi di lavorare con l'équipe di Arthur Freed, specializzata in musical creati sulla base dei repertori di canzoni di proprietà della MGM. Dopo aver scritto il brioso Good news (1947) di Charles Walters, nel 1949 la Comden e Green elaborarono per lo stesso regista la sceneggiatura di The Barkleys of Broadway (I Barkleys di Broadway), ultimo film che vide insieme Fred Astaire e Ginger Rogers.

Nello stesso anno iniziarono a lavorare a stretto contatto con due vecchie conoscenze degli anni newyorkesi, Kelly e Donen, decisi a rinnovare i contenuti del musical, e adattarono per il cinema il loro primo successo teatrale. Il film che ne derivò (On the town, 1949, Un giorno a New York) co-diretto da Kelly e Donen, rappresenta il prototipo delle opere cinematografiche firmate dalla coppia Comden-Green, ed è un ritratto allegro ed esuberante della città di New York, vista attraverso gli occhi di tre marinai (Kelly, Frank Sinatra e Jules Munshin) in permesso per ventiquattr'ore. La colonna sonora, realizzata da Bernstein e Roger Edens, include la celebre canzone New York, New York. Con Singin' in the rain (1952; Cantando sotto la pioggia) ancora firmato da Kelly e Donen, la Comden e Green, che scrissero il soggetto e la brillante sceneggiatura, perfezionarono il backstage musical, ossia il musical ambientato nel mondo dello spettacolo, in questo caso a Hollywood negli anni di transizione dal muto al sonoro. Interpretato da Kelly, Debbie Reynolds, Donald O'Connor e Jean Hagen e costruito sulla base del repertorio delle canzoni di Freed e Nacio Herb Brown, il film all'epoca fu considerato una delle tante commedie musicali della MGM, e solo in seguito è stato celebrato come il più bel musical mai realizzato.

Betty Comden e Adolph GreenIl mondo dello spettacolo è ancora il tema di un altro capolavoro, The band wagon (1953; Spettacolo di varietà) diretto da Vincente Minnelli, con la colonna sonora di Howard Dietz e Arthur Schwartz, e interpretato da Fred Astaire, nel ruolo di una ex star che tenta il ritorno sulle scene, affiancato da Cyd Charisse. La Comden e Green scrissero il soggetto e la sceneggiatura (per i quali ottennero una nomination all'Oscar) e s'ispirarono a loro stessi nel disegnare i personaggi affidati a Nanette Fabray e Oscar Levant, ossia gli amici del protagonista, non a caso autori del musical che si sta preparando e sul cui allestimento è incentrato il film. Il successivo It's always fair weather (per il quale ottennero la seconda nomination) è il più debole dei tre musical scritti dalla coppia e diretti da Kelly e Donen. Ricco comunque di idee brillanti e di splendidi numeri musicali, ha un tono sobrio e malinconico nel narrare la storia di tre ex commilitoni della Seconda guerra mondiale (Kelly, Michael Kidd e Dan Dailey), che si ritrovano dieci anni dopo e constatano con amarezza le proprie debolezze.

Quando lo studio system entrò in crisi, la Comden e Green lasciarono la MGM e rientrarono a New York. Il loro ritorno al cinema avvenne nel 1958 con l'adattamento del testo teatrale di J. Lawrence per Auntie Mame (La signora mia zia) di Morton Da Costa e della loro commedia musicale Bells are ringing per l'omonimo film (1960; Susanna agenzia squillo) di Minnelli. Infine, per l'ultimo film cui collaborarono, What a way to go (1964; La signora e i suoi mariti) di J. Lee Thompson, da un soggetto di G. Davis, oltre alla sceneggiatura, elaborarono i testi delle canzoni. Nel corso della loro carriera Comden e Green hanno scritto anche sceneggiati televisivi, molte commedie (talvolta originali, più spesso adattamenti, tra cui quello di Singin' in the rain per Broadway) che hanno continuato a essere messe in scena sempre con successo. Pur in età ormai avanzata non hanno rinunciato a fare sporadiche apparizioni nei teatri di cabaret di New York, interpretando le loro canzoni e i loro numeri. Nel 1995 la Camden ha pubblicato un libro di memorie, Off stage.”

(Patrick McGilligan - Enciclopedia del Cinema (2003) in www.treccani.it)

 

Una poesia al giorno

Fra i trucioli del giorno, di Tadeusz Peiper (tradotta da Paolo Statuti in musashop.wordpress.com)

La notte intera giravo per la città.
Dal soffitto azzurro ho tolto la luna
e l’ho portata sulla terra come lampione.
Il bastone della sua luce
mi smuoveva i trucioli del giorno
sparsi sulla strada e coperti dal buio.

La notte intera giravo per la città.
Leggevo i lastrici stampati con le impronte dei piedi,
posavo le dita sui petti delle strade,
gli echi dei vicoli inseguivo fino ai loro nidi,
e le piazze cittadine mettevo sul palmo
e le accostavo all’orecchio.

La mattina
tornavo a casa
pallido.

 

Tadeusz Peiper (Cracovia, 3 maggio 1891 - Varsavia, 10 novembre 1969) fu un poeta polacco, critico d'arte, teorico della letteratura e uno dei precursori del movimento d'avanguardia nella poesia polacca

Tadeusz Peiper (Cracovia, 3 maggio 1891 - Varsavia, 10 novembre 1969) fu un poeta polacco, critico d'arte, teorico della letteratura e uno dei precursori del movimento d'avanguardia nella poesia polacca. Nato da una famiglia ebrea, Peiper si convertì al cattolicesimo da giovane e trascorse diversi anni in Spagna. Fu co-fondatore del gruppo di scrittori Awangarda krakowska ("Kraków Avant-garde").

Nel 1921, nella Seconda Repubblica Polacca, fondò mensilmente lo Zwrotnica ("interruttore della ferrovia"), dedicato principalmente ai movimenti d'avanguardia della poesia contemporanea. Sebbene di breve durata, la rivista (pubblicata fino al 1923 e poi riattivata brevemente tra il 1926 e il 1927), aprì la strada ai giovani poeti del gruppo Awangarda krakowska, tra cui Julian Przyboś, Jan Brzękowski e Jalu Kurek. Peiper ha anche pubblicato tre importanti raccolte di poesie, che erano tra i pezzi più notevoli della poesia polacca costruttivista. Come artista, Peiper credeva che uno scrittore dovesse assomigliare a un abile artigiano, in grado di pianificare attentamente le sue parole. Conia lo slogan "3 x M" Miasto, Masa, Maszyna ("Città, Messa, Macchina"), uno dei meme della poesia polacca degli anni '20. Poco dopo la seconda guerra mondiale scrisse per Tygodnik Powszechny su Adam Mickiewicz. Fino al suo pensionamento, Peiper ha lavorato per Jerzy Borejsza. "

(Wikipedia)

Dopo un lungo soggiorno in Spagna, fondò la rivista Zwrotnica ("Lo scambio", 1922-27) che, in opposizione al gruppo di Skamander, divenne l'organo più audace del novecentismo polacco. Più originale come teorico che come poeta, P. propugnò nel saggio Nowe usta, odczyt o poezij ("Nuove labbra, discorso sulla poesia", 1925), e in altri importanti scritti critici, una poesia elitaria per il linguaggio difficile e la concatenazione delle metafore, e al tempo stesso portavoce delle istanze progressiste che sommuovono il nuovo assetto sociale.”

(In www.treccani.it)

 

Un fatto al giorno

3 maggio 2005: dopo 35 anni, la Corte di Cassazione assolve tutti gli imputati della Strage di Piazza Fontana e condanna al pagamento delle spese processuali i parenti delle vittime e le parti civili

“3 maggio 2005 La Cassazione assolve gli ultimi indagati di Piazza Fontana La Corte di Cassazione, a Roma, assolve definitivamente gli ultimi indagati per la strage di Piazza Fontana. Si tratta di Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, militanti di Ordine Nuovo condannati in primo grado all'ergastolo. La Corte scrive però nella sentenza che con le nuove prove - emerse nelle inchieste successive al processo milanese nel 1972 e alla definitiva assoluzione nel 1987 - gli ordinovisti veneti Franco Freda e Giovanni Ventura sarebbero stati entrambi condannati. Attualmente non vi è alcun procedimento giudiziario aperto in quanto la condanna arriva tardiva, oltre al terzo grado di giudizio. Al termine il processo nel maggio 2005 ai parenti delle vittime sono state addebitate le spese processuali. La strage di piazza Fontana fu conseguenza di un grave attentato terroristico compiuto il 12 dicembre 1969 nel centro di Milano. Le vittime furono 17, tutti uomini. Viene da molti ritenuta, convenzionalmente, l'inizio del periodo passato alla storia in Italia come strategia della tensione. Le indagini si susseguiranno nel corso degli anni, con imputazioni a carico di vari esponenti anarchici e di destra; tuttavia alla fine tutti gli accusati saranno sempre assolti in sede giudiziaria.”

(In www.ilmessaggero.it)

Strage di Piazza Fontana 

“Dopo 11 processi, il 3 maggio 2005 la Corte di Cassazione chiude definitivamente l’iter giuridico relativo alla strage di Piazza Fontana confermando le assoluzioni (decise in Appello l’anno precedente) di Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, e condannando i ricorrenti (parti civili, Provincia di Milano e Lodi, Comune di Milano) al pagamento delle spese legali.

La strage di Piazza Fontana rappresenta così un buco nero emblematico anche per quanto riguarda i suoi svolgimenti processuali: Zorzi e Maggi - noti alle aule di tribunale anche per la strage di Piazza della Loggia - vengono scagionati per insufficienza di prove, Rognoni per non aver commesso il fatto.

E gli altri nomi emersi attorno ad una delle pagine più buie dello stragismo italiano?

Franco Freda e Giovanni Ventura - che alcuni magistrati avevano individuato come possibili responsabili della strage - erano stati processati e assolti in appello nel 1987, con una sentenza passata in giudicato: per questo non era più possibile sottoporli ad un nuovo processo relativo al medesimo crimine.

Carlo Digilio era stato condannato come colpevole in primo grado: le sentenze successive non hanno modificato questo esito, ma la prescrizione ha fatto il suo lavoro.

Gli indagati emersi apparterrebbero tutti a Ordine Nuovo - cellula neofascista fondata nel 1956 da fuoriusciti dal MSI e guidata da Pino Rauti - ma di nessuno sono state individuate le responsabilità specifiche, perlomeno non fino in fondo.

Nel frattempo molte vite sono state frantumate: quelle dei 17 morti nel corso della strage e quelle dei loro familiari, quelle degli oltre 80 feriti, quella di Giuseppe Pinelli.

“Io so. Ma non ho le prove” scriveva Pasolini: se le istituzioni della legalità non riescono a svolgere i loro compiti, non possiamo che ribadire la necessità di essere autenticamente e quotidianamente intellettuali, capaci “di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace”, di ristabilire “la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”.”

(In www.osservatoriorepressione.info)

L’anarchico Giuseppe Pinelli e il commissario Luigi Calabresi

"Tutti a casa: ogni tanto la Cassazione dà il rompete le righe e sentenzia che “l’è tutto da rifare”. Le motivazioni giuridiche sono ineccepibili, e ci mancherebbe altro, trattandosi di quella che è conosciuta come Suprema Corte. Il punto non è questo. Il punto è che talune sentenze soddisfano la dottrina, ma lasciano perplessa la logica. Come quella del 3 maggio 2005 che ha messo la parola fine sulla vicenda processuale della strage di Piazza Fontana (Milano, 12 dicembre 1969, una bomba alla Banca nazionale dell’agricoltura, uccide 17 persone e ne ferisce 88). Nessuno è colpevole. O meglio: è possibile - sostengono alcuni magistrati - che i responsabili siano i neofascisti Franco Freda e Giovanni Ventura, ma sono già stati processati per lo stesso reato e sono stati assolti in appello con sentenza passata in giudicato nel 1987; quindi non li si può riprocessare. Ecco qua servita su un piatto d’argento la verità giuridica che fa a pugni con la verità effettuale: gli eventuali colpevoli non possono essere puniti. Quindi tutti a casa.

Non è certo questa la sede per ripercorrere le infinite vicende giuridiche dei vari procedimenti per Piazza Fontana: 11 processi in 36 anni, e senza prendere in considerazione i “danni collaterali”: le morti dell’anarchico Giuseppe Pinelli e del commissario Luigi Calabresi, solo per citare i casi più tragici. Il punto è che anche in quel caso è la Cassazione a scrivere la Storia e la sentenza provoca polemiche infinite.

Il 30 giugno 2001 la Corte d’Assise di Milano condanna all’ergastolo per la strage tre esponenti di Ordine Nuovo, organizzazione neofascista. Si tratta di Carlo Maria Maria Maggi, Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni. Il ricorso in appello ribalta la sentenza: il 12 marzo 2004, sempre a Milano, i tre vengono assolti; in primi due per insufficienza di prove, il terzo per non aver commesso il fatto.

E siamo al ricorso in Cassazione. Il 28 aprile 2005 il procuratore generale Enrico Delehaye, sia pure «con rammarico» e parlando di «sconfitta investigativa», chiede che siano confermate le assoluzioni. «Mi dolgo di occuparmi ora, a così tanti anni di distanza dal fatto», sostiene il pg, «della strage di Piazza Fontana perché non ritengo che la Cassazione sia la sede più adatta per accertare la verità, quando la verità non è stata accertata nelle fasi precedenti di giudizio. E che la luce sulla verità dei fatti sia mancata mi pare evidente, tant’è che abbiamo avuto due verdetti di merito completamente opposti».

L’unico compito del pg è verificare se nei precedenti processi le procedure siano state corrette, quindi Delehaye è consapevole di dichiarare la sconfitta della giustizia. «La strage di Piazza Fontana dopo 36 anni non ha un colpevole dichiarato», afferma concludendo la requisitoria, «e purtroppo con i limiti del giudizio di legittimità non si poteva concludere diversamente. Ma non si può nemmeno sostenere, come ha fatto il procuratore di Milano nel ricorso, che due persone assolte con sentenza passata in giudicato - Freda e Ventura - siano i responsabili di un reato».

Naturalmente le cose non possono che andare così e la sentenza della Cassazione conferma quella dell’appello: nessun colpevole. Ma al danno di dichiarare ufficialmente impunita la strage, si aggiunge la beffa - siamo pur sempre in Italia, no? - di condannare i familiari delle vittime a pagare le spese processuali. Eh già, i colpevoli non ci saranno, ma le vittime sì, quelle sono certe e quindi, visto che nel dibattimento i loro rappresentanti hanno perso, paghino. Assieme a loro paghino tutte le altre parti civili: presidenza del Consiglio, ministero dell’Interno, Comune e Provincia di Milano, Provincia di Lodi.

Scrive Paolo Colonnello nella “Stampa” di mercoledì 4 maggio 2005: «Si erano sbagliati. Non furono i tre neofascisti a mettere la bomba che devastò un venerdì pomeriggio la sede della Banca dell’Agricoltura. Non furono loro, in combutta con i “servizi deviati” e con spezzoni della Cia a trafugare l’esplosivo e a infilare sette chili di tritolo in una borsa, piazzata sotto un tavolo della banca. Si sa tutto, ogni minimo dettaglio della strage, delle coperture, delle complicità, che diedero avvio alla cosiddetta “strategia della tensione”. Tutto tranne i colpevoli».

È il gip Guido Salvini, nel medesimo articolo del quotidiano torinese, a trarre le conclusioni della vicenda. Il magistrato, che aveva seguito come giudice istruttore le maggiori inchieste sull’eversione nera, sostiene: «La verità giudiziaria non si esaurisce sempre nella condanna dei singoli responsabili. La sentenza di secondo grado, pur assolvendo i singoli imputati, ha confermato di chi fu la firma di quegli attentati. Nel caso di Piazza Fontana resta provata la responsabilità di Carlo Digilio, che era di Ordine Nuovo e non certo anarchico, la cui dichiarazione di colpevolezza, contenuta nella sentenza di primo grado e seguita nella prescrizione per la sua collaborazione, non è stata toccata dalle sentenze successive».

Insomma, i colpevoli ci sono, sono ben individuati, sono quelli di Ordine Nuovo, solo che non si possono condannare. Giustizia è fatta.”

(In www.linkiesta.it)

Freda e Ventura

“L’attentato del 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, con il suo bilancio di 17 morti e 105 feriti, non solo interviene, con la più estrema e subdola delle violenze, quella contro civili ignari e inermi, nel pieno dell’autunno caldo, ma rappresenta un autentico atto di guerra in tempo di pace. Nella stessa giornata vengono collocati altri quattro ordigni: uno, inesploso, sempre a Milano, presso la Banca Commerciale; altri tre a Roma, con il ferimento di 17 persone. Piazza Fontana segna uno scarto nella tipologia della violenza, che pure costituisce una presenza costante nel panorama del dopoguerra italiano: una violenza anonima e apparentemente impersonale, una violenza che annichilisce.

Terrore, insomma, terrore assoluto e integrale. Terrore fascista. Gli attentati milanesi sono compiuti dall’organizzazione neofascista di Ordine Nuovo, quelli romani dall’altra organizzazione neofascista di Avanguardia Nazionale. Per Piazza Fontana la Corte di Cassazione, con la sentenza del 3 maggio 2005, riconosce la “responsabilità materiale” di Franco Freda e Giovanni Ventura, che tuttavia non vengono condannati perché precedentemente assolti in via definitiva per lo stesso reato. Quindi è sbagliato parlare di una strage senza colpevoli. Una giornata di guerra, si è detto. Ma voluta da chi? Da un vasto schieramento di forze, unite dall’anticomunismo e dall’avversione nei confronti della democrazia: neofascisti, alte gerarchie militari (già implicate, con il generale dei carabinieri De Lorenzo, nel “Piano Solo” del 1964), settori dell’oltranzismo atlantico internazionale (agenzia Aginter Press), strutture dello spionaggio statunitense e dell’amministrazione Nixon, che sperano di replicare in Italia il successo del golpe del 1967 in Grecia. Il tutto con l’avallo, o con il complice silenzio, dei settori più conservatori della DC, saldamente insediati soprattutto nei ministeri dell’Interno e della Difesa.

L’obiettivo è quello di chiudere definitivamente con la stagione del centro-sinistra, di impedire l’avanzata del PCI e di bloccare il processo di trasformazione sociale in atto. E’ la strategia della tensione, teorizzata apertamente fin dal ’65 (convegno dell’Istituto “Pollio”). Immediatamente scatta dopo la strage il depistaggio, in cui si distinguono l’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, il SID e le Questure di Roma e Milano. Il depistaggio è parte integrante di Piazza Fontana. Senza di esso Piazza Fontana non ci sarebbe stata. In realtà i colpevoli erano stati designati da tempo. “Dovevano” essere anarchici.

La sequenza di attentati, fortunatamente senza vittime, che colpisce la Penisola nella primavera - estate del 1969 (diretti per lo più contro banche, stazioni ferroviarie e tribunali) costituisce la prova generale di Piazza Fontana non solo dal punto di vista tecnico - organizzativo, ma anche politico - giudiziario. Vengono posti sotto accusa alcuni gruppi anarchici, la cui evanescenza ideologica ed inconsistenza organizzativa che li renderebbero al di sotto di ogni sospetto - finiscono in realtà per farne dei capri espiatori perfetti agli occhi di chi conduce le indagini con un pesante velo di pregiudizio o, peggio, con esiti già scritti in partenza. Valpreda in carcere e Pinelli “suicidato” negli uffici della Questura di Milano diretta dal fascista Guida. Questo il risultato di quelle che Deaglio ha definito “72 ore di golpe politico-giudiziario”. Una tremenda stretta repressiva, auspicata dallo stesso Presidente della Repubblica, Saragat, si abbatte all’indomani della strage sul movimento studentesco e sindacale. Non solo nelle metropoli, ma anche in provincia. Un piccolo esempio: ad Avellino i lavoratori della Società Filoviaria, in lotta da mesi per il proprio posto di lavoro, vengono pedinati dalla squadra politica della polizia fino a casa. Una manifestazione del MSI, convocata per il 14 dicembre a Roma con lo scopo di sollecitare un sollevamento militare, viene vietata all’ultimo momento dal ministro degli Interni. E tuttavia, dopo una fase di legittimo smarrimento, comincia a prendere corpo la controffensiva democratica.

Nasce la controinformazione (che sfocerà nella realizzazione del fortunato pamphlet “La strage di Stato”), sorgono i collettivi dei giornalisti democratici, la cui attività di ricerca della verità sarà fondamentale nel sostenere le nuove indagini dei giudici Stiz, Calogero, Alessandrini e D’Ambrosio, che scoperchieranno la pista nera. L’eversione non vincerà grazie agli operai che continueranno a lottare dentro e fuori le fabbriche, agli studenti che continueranno a promuovere il conflitto sociale, ai sindacati e ai partiti di sinistra che continueranno a presidiare le istituzioni e a promuovere riforme dal forte impatto sociale. Di lì a poco sarebbe cominciato un nuovo decennio, ingiustamente identificato con “gli anni di piombo”, segnato dal coesistere della strategia della tensione e di una nuova stagione di conquiste sociali. Si sarebbe accentuata la particolarità del caso italiano. La bomba, dimostrazione della barbarie a cui possono giungere l’anticomunismo e l’odio per il movimento operaio, comunque, non aveva vinto.”

(Luigi Caputo - Comitato Politico Provinciale PRC Avellino, in: www.rifondazione.it)

 

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Una frase al giorno

“Perché li popoli in privato sieno ricchi, la ragione è questa, che vivono come poveri; non edificano, non vestono, e non hanno masserizie in casa. Basta loro lo abbondare di pane, di carne, ed avere una stufa, dove rifuggire il freddo: e chi non ha dell'altre cose fa senza esse, e non le cerca. Spendonsi in dosso duoi forini in dieci anni, ed ognuno vive secondo il grado suo a questa proporzione, e nissuno fa conto di quello gli manca, ma di quello che ha di necessità, e le loro necessitadi sono assai minori che le nostre”

(Niccolò Machiavelli, da Ritratto delle cose della Magna. Firenze, 3 maggio 1469 - Firenze, 21 giugno 1527)

Niccolò Machiavelli (Firenze, 3 maggio 1469 - Firenze, 21 giugno 1527)

Un importante saggio sull’autore

“Niccolò di Bernardo dei Machiavelli, noto semplicemente come Niccolò Machiavelli, di media statura, magro, "bianco come la neve", ma col capo "che pare veluto nero"; "savio et prudente" nell'estimazione dei colleghi d'ufficio, commendato dai superiori per la diligenza apportata nell'espletare le sue missioni: tale ci appare verso il 1500, quando cioè la sua vita è uscita dalla penombra ond'era stata avvolta per tutto il periodo della infanzia e della giovinezza, messer Niccolò Machiavelli. Era nato il 3 maggio 1469 in Firenze, da Bernardo e da Bartolomea Nelli, vedova di Niccolò Benizzi: di buona schiatta, ché se i suoi pretendevano di discendere dal medesimo stipite degli antichi signori di Montespertoli, fra la Val d'Elsa e la Val di Pesa, dei quali nel 1393 avevano ereditato i superstiti diritti, certo sino dal secolo XIII la Maclavellorum familia era nominata in Firenze, fra le aderenti di parte guelfa; certo nel corso dei due secoli seguenti aveva dato alla repubblica parecchi gonfalonieri e priori. Tuttavia, al decoro del nome non si può dire corrispondesse pienamente la condizione economica, non precisamente angusta, ma nemmeno tale da consentire una esistenza libera da preoccupazioni materiali; tanto più che, oltre a Niccolò, secondogenito, c'erano un fratello, Totto, e due sorelle, Primerana e Ginevra. Così avvenne che Niccolò, forse dopo avere già prestato servizio, dal 1494 o 1495, in qualità di coadiutore presso la cancelleria, entrasse ufficialmente nel giugno 1498 nell'amministrazione della repubblica, come segretario della Signoria, incaricato di presiedere alla seconda cancelleria e poi anche, dal 14 luglio, di servire i Dieci di Balìa: con attribuzioni, dunque, piuttosto late, non fissate con estremo rigore, che gli dovevano permettere, volta per volta, di occuparsi di questioni amministrative e militari, all'interno del dominio, e di andare in missione presso i potentati esteri.

Statua di Machiavelli, Galleria degli Uffizi a FirenzeQuali fossero state le sue vicende sino a quel momento, quale la sua educazione, è difficile precisare. La figura del M. viene fuori quasi d'un tratto, senza che si possa seguirla negli anni della preparazione; la terza lettera che di lui ci rimane è quella, famosa, del 9 marzo 1498, concernente il Savonarola e la sua predicazione, ed è già documento di una mente matura. E pure ascrivendo a questa prima parte della sua vita alcuni dei Canti Carnascialeschi, quello ad es. De' Ciurmadori e quello Di Uomini che vendon le pine, non ne deriva altra luce per rischiarare l'educazione di Niccolò, tranne per quel ch'è di un generico influsso dell'ambiente di Lorenzo il Magnifico. Ch'egli avesse una certa cultura classica, è ovvio; e consta chiaramente che conosceva assai bene alcuni de' grandi classici latini, soprattutto Livio, e i padri della letteratura italiana, Dante, Petrarca, Boccaccio, così come è certo che s'intendeva di musica. Ma è poi impossibile specificare maggiormente i limiti e il carattere di questa cultura e decidere, p. es., fino a che punto il M. sapesse di greco. Molto dovette invece giovargli, quand'era già in ufficio, la consuetudine e familiarità con Marcello di Virgilio Adriani, fino al 1512 suo collega, se pure superiore in dignità come segretario della prima cancelleria, discepolo di Cristoforo Landino e del Poliziano ed egli stesso umanista consumato; sì che la cultura fu per il M. un acquisto continuo e progressivo non meno dell'età matura che della prima giovinezza, acquisto voluto già con piena coscienza e secondo certe profonde esigenze spirituali: non quindi una cultura esteriormente e inutilmente varia, bensì tutta accentrata e serrata su alcuni problemi fondamentali, non semplice e superficiale condimento erudito, bensì linfa vitale che faceva tutt'uno con il pensiero stesso del M.
(...)”

(Leggi tutto l’articolo di Federico CHABOD - Enciclopedia Italiana, 1934, in: www.treccani.it)

3 maggio 1469 nasce Niccolò Machiavelli, storico italiano e filosofo (morto nel 1527)

 

Un brano musicale al giorno

Marcel Dupré, Sinfonia in Sol minore per organo e orchestra Op. 25 (1928)

1. Modérément lent - Allegro
2. Vivace
3. Lent
4. Animé (Finale)

Michael Murray, organo. Royal Philharmonic Orchestra, direttore: Jahja LingMarcel Dupré (Rouen, 3 maggio 1886 - Meudon, 30 maggio 1971) organista, pianista, compositore e didatta francese

Marcel Dupré (Rouen, 3 maggio 1886 - Meudon, 30 maggio 1971) fu organista, pianista, compositore e didatta francese.

Marcel Dupré nacque a Rouen, in Normandia. Cresciuto in una famiglia di musicisti, fu bambino prodigio. Suo padre Albert Dupré fu un organista a Rouen. Marcel entrò nel Conservatorio di Parigi nel 1904, per vincere nel 1914 il Grand Prix de Rome con la sua cantata, Psyché; nel 1926 fu nominato professore di organo, esecuzione e improvvisazione al Conservatorio di Parigi, posizione che tenne fino al 1954.

Dupré divenne famoso per l'esecuzione di più di 2000 concerti d'organo in tutta l'Australia, gli Stati Uniti, il Canada e l'Europa, e va menzionata una serie di 10 concerti nei quali eseguì l'opera omnia organistica di Johann Sebastian Bach, nel 1920 al Conservatorio di Parigi e nel 1921 al Palazzo del Trocadéro, suonando interamente a memoria. La sponsorizzazione di un tour transcontinentale per l'America ed i concerti sul monumentale organo del grande magazzino di John Wanamaker, sul quale improvvisò quella che sarebbe diventata la Symphonie-Passion, inserirono il suo nome sulla scena mondiale.

Nel 1934 succedette a Charles-Marie Widor come organista titolare alla Chiesa di Saint-Sulpice a Parigi, una posizione che tenne fino alla morte nel 1971.

Tra il 1947 e il 1954, fu direttore del Conservatorio Americano (Fontainebleau Schools), che occupa l'ala Luigi XV del Castello di Fontainebleau vicino a Parigi. Nel 1954, Dupré succedette a Claude Delvincourt come direttore del Conservatorio di Parigi, dove rimase fino al 1956. Morì nel 1971 all'età di 85 anni a Meudon (vicino a Parigi) nel pomeriggio del 30 maggio (Pentecoste) dopo aver suonato la messa al mattino a Saint-Sulpice dove era titolare.

Come compositore produsse opere a largo raggio arrivando a 65 numeri d'opus, e fu insegnante di 2 generazioni di famosi organisti come Jehan Alain, Marie-Claire Alain, Pierre Cochereau, Jeanne Demessieux, Rolande Falcinelli, Jean Guillou, Jean Langlais, Olivier Messiaen, Luigi Ferdinando Tagliavini e Leopoldo La Rosa per nominarne solo alcuni. A parte alcune opere di carattere didattico per aspiranti organisti (come i 79 chorales op. 28, con i quali il compositore intese riprendere la filosofia che Johann Sebastian Bach volle dare al suo Orgelbüchlein) il grado delle musiche di Dupré per organo va dal moderatamente all'estremamente difficoltoso, e alcune di esse richiedono tecniche pressappoco impossibili all'esecutore (ad es. Évocation op. 37, Suite, op. 39, Deux esquisses op. 41, Vision op. 44).

Le sue composizioni più sentite e registrate provengono dai primi anni della sua carriera. Durante questo tempo egli scrisse i Trois préludes et fugues, Op. 7 (1914); il primo e il terzo preludio (in particolare quello in sol minore con i suoi velocissimi accordi coi pedali e le armonie) sono stati ritenuti ineseguibili. Infatti, Dupré fu l'unico organista capace di eseguirli fino a tempi recenti, a causa della loro estrema complessità.

In molti modi Dupré può essere visto come un Paganini dell'organo - essendo un virtuoso di massimo ordine - egli contribuì estensivamente allo sviluppo della tecnica (sia nella sua musica per organo che nei suoi lavori pedagogici) sebbene, come Paganini, la sua musica sia praticamente sconosciuta ai musicisti che non praticano gli strumenti per i quali le partiture sono scritte. Una giusta e obiettiva critica della sua musica deve tener conto del fatto che, occasionalmente, l'enfasi sulla virtuosità e tecnica può essere dannosa al contenuto musicale e alla sostanza. Comunque, il suo lavoro di più successo combina la virtuosità con un alto grado di integrità musicale, qualità trovate in lavori come Symphonie-Passion, Chemin de la Croix, Préludes et fugues, Esquisses, Variations sur un Noël, Évocation, e Cortège et litanie.

Dupré preparò le edizioni per lo studio di opere di Bach, Händel, Mozart, Liszt, Mendelssohn, Schumann, César Franck, e Alexander Glazunov. Scrisse anche un metodo per organo (1927), 2 trattati sull'improvvisazione all'organo (1926 e 1937), e libri sull'analisi armonica (1936), contrappunto (1938), fuga (1938), e accompagnamento del canto gregoriano (1937), in aggiunta saggistica sulla costruzione di organi, acustica, e filosofia della musica. Come improvvisatore, Dupré eccelse come forse nessun altro fece durante il XX secolo, e fu capace di prendere un dato tema e spontaneamente tessere una intera sinfonia attorno ad esso, spesso con elaborati contrappunti inclusa la fuga. Il successo di queste imprese fu parzialmente dovuto al suo insuperato genio e parzialmente al suo duro lavoro facendo esercizi scritti quando non era occupato nella pratica e nella composizione.

Anche se come compositore l'enfasi va sull'organo, il catalogo di composizioni musicali include anche lavori per pianoforte, orchestra e coro; ha composto anche musica da camera. Alcuni lavori inizialmente pubblicati da H.W. Gray e oggi fuori stampa hanno iniziato a essere ripubblicati da Crescendo Music Publications.”

(In: wikipedia.org)

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

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Ugo Brusaporco

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