“L’amico del popolo”, 5 agosto 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

PODZEMLJE (Underground, Francia, Germania, Jugoslavia, Ungheria, 1995), regia di Emir Kusturica. Sceneggiatura: Dusan Kovacevic, dal romanzo "Bila jednom jedna zemlja" e dall'opera teatrale "Prolece u januaru" di Dusan Kovacevic e dall'opera teatrale di Emir Kusturica. Fotografia: Vilko Filac. Montaggio: Branka Ceperac. Musica: Goran Bregovic. Con: Miki Manojlovic, Lazar Ristovski, Mirjana Jokovic, Slavko Stimac, Ernst Stötzner, Srdjan Todorovic, Mirjana Karanovic, Milena Pavlovic, Danilo 'Bata' Stojkovic, Bora Todorovic, Davor Dujmovic, Branislav Lecic, Dragan Nikolic, Erol Kadic, Predrag Zagorac, Petar Kralj, Pierre Spengler, Emir Kusturica, Hark Bohm.

Nel 1941, a Belgrado, il "compagno" Marko - che insieme all'ingenuo e impetuoso Blacky si destreggia con scaltrezza contro i nazisti - accoglie alcuni rifugiati nello scantinato del nonno e li convince a fabbricare armi e altri prodotti destinati al mercato nero. Del gruppo fanno parte anche il giovane fratello di Marko, Ivan, e la moglie di Blacky, Vera, che muore dando alla luce un figlio, Jovan. Due anni dopo Blacky si esibisce nella più spettacolare delle sue azioni assaltando un teatro per rapire la giovane attrice di cui è follemente innamorato, Natalija. Arrestato da Franz, il protettore nazista della donna, Blacky sopporta orribili torture prima che Marko lo liberi per nascondere anche lui nello scantinato. Certo dell'assoluta fedeltà di Blacky, Marko non esita a tradirlo seducendo Natalija. Nel 1944 finisce la guerra: mentre nel sottosuolo si continuano a fabbricare armi, la Jugoslavia soccombe a un altro miraggio: il culto del dittatore Tito. Marko emerge come esponente del regime e Natalija diventa un idolo delle masse, mentre Blacky, che tutti credono morto, è onorato dalla nazione come eroe della Resistenza. La macchinazione viene scoperta nel 1961, durante il matrimonio di Jovan con Jelena, quando Natalija, ubriaca, rivela a Blacky il suo amore per Marko e l'inganno dell'amico. Blacky dà una pistola a Marko che inscena un simbolico suicidio, sparandosi alle gambe. Poi un'esplosione accidentale apre nello scantinato uno squarcio verso l'esterno. Emersi dal sottosuolo, Blacky e Jovan si trovano davanti un gruppo di nazisti. Blacky comincia a sparare all'impazzata, ignaro di essere capitato sul set di un film sulla sua vita, basato sui racconti fittizi di Marko. Mentre questi fugge insieme a Natalija attraverso il dedalo di tunnel che collegano le capitali d'Europa, Jovan annega nel Danubio inseguendo il miraggio della moglie. Nel 1991, dopo un lungo internamento in un ospedale psichiatrico, Ivan viene a sapere della macchinazione del fratello e del nuovo dramma della Jugoslavia. Servendosi della vecchia rete di tunnel torna in Slavenia dove Blacky dirige un commando militare. In un villaggio distrutto, Ivan si imbatte nel fratello, sempre coinvolto in discutibili traffici. Accecato dalla rabbia, Ivan lo picchia e poi, convinto di averlo ucciso, si impicca nel campanile di una chiesa. Sarà un anonimo soldato ad uccidere Marko e Natalija, mentre Blacky ne scoprirà i cadaveri illividiti. Tornato nello scantinato ormai abbandonato da trent'anni, Blacky, seguendo la voce del figlio morto, annega nel dedalo dei tunnel che sfociano sul Danubio, sulle cui rive "ritrova" con gioia tutte le persone, amate e disprezzate, che ha conosciuto in vita. Ora, nella morte, non c'è più rancore. Si beve e si balla tutti insieme, mentre un lembo di terra su cui tutti si trovano, si stacca dalla tormentata madrepatria.

"Se è nella seconda parte del film che esce più chiaro l'attacco di Kusturica alla cultura del suo stesso paese, che ostinatamente per lui resta la Jugoslavia, è nella prima che il film allinea le immagini più memorabili: lo zoo di Belgrado distrutto dalle bombe, con gli animali che si aggirano tra le rovine, la vita quotidiana nel sotterraneo, il fescennino nuziale al suono di un'orchestra tzigana che intreccia ai ricordi felliniani, un omaggio a L'Atalante (che è anche una autocitazione da Il tempo dei gitani): mentre nel mondo di sopra Lili Marleen e la Sinfonia "Dal nuovo mondo" accompagnano le immagini di repertorio - qualche volta abilmente trattate, e perché no?, visto che la realtà è manipolazione - della storia ufficiale. Ancora una volta Kusturica dice e nega insieme: l'emozione prodotta dalle sequenze del treno che porta la bara di Tito attraverso il Paese, dalla disperazione popolare, dai grandi della terra a lutto (c'è il nostro Pertini, Hussein, una solitaria Thatcher) ci comunica il rimpianto per l'uomo che era riuscito a tenere insieme il mondo balcanico - guarda caso lo stesso che ha inventato il sotterraneo jugoslavo. E' in questa dialettica che si riassumono l'ambiguità e la sincerità di Underground. E anche se dai film di Kusturica si esce stremati e coi timpani a pezzi, sarebbe una vera perdita se gli attacchi di cui è stato vittima lo convincessero a lasciare per sempre il cinema."

(Irene Bignardi, 'La Repubblica', 22 dicembre 1995)

"Sulla recitazione spericolata di Miki Manojlovic (Marko, un grande attore che è stato con Peter Brook), di Lazar Ristvski Blacky e dell'ambigua Mirjana Jokovic, l'autore sintetizza in termini di triangolo amoroso la violenza di una tragedia storica senza preoccuparsi dei tempi, degli equilibri drammaturgici, delle omissioni e delle ripetizioni. Da questo film senza tregua si esce come da una sbornia balcanica accaldati, eccitati, vulnerati, fra il pianto e il riso. E con il cuore che batte furiosamente a significare, contro ogni evidenza geopolitica, che anche per la ex Jugoslavia finché c'è vita c'è speranza."

(Tullio Kezich, 'Il Corriere della Sera', 24 dicembre 1995)

"Grazie anche la vittoria a Cannes (1995) Underground rimane, giustamente, il film più conosciuto di Kusturica, quello in cui riesce ad esprimere al massimo grado il suo mondo. Dopo, tranne qualche rara occasione, lo stile diventerà sempre più maniera. Il film cresce in modo caotico e ipertrofico a partire da una trovata semplice, da melodramma popolare: due amici che entrano in rivalità per amore di una donna. La struttura narrativa di base è tutta in questo schema a tre: lui, lei, l'altro. L'amore, il tradimento sino alla nemesi, alla giustizia della Storia che ripaga l'inganno con la morte. Ma su questo scheletro poi s'innestano una miriade di personaggi e situazioni, schegge impazzite a formare un materiale magmatico, che attraversa cinquanta anni dell'ex Jugoslavia. I protagonisti camminano (letteralmente) nella storia, si confondono visivamente nel suo flusso in quelle scene palesemente truccate in cui la fiction si mescola al documento, all'immagine di repertorio. In questo con-fondersi, per una volta lo sfondo diviene più importante della vicenda in sé e per sé. Il valore reale di Underground sta nella riflessione storico-politica, nel suo tentativo di cogliere i gangli, i punti nodali di un periodo. Allora è il sotterraneo (l'underground, appunto) ad assumere una valenza metaforica evidente. Diviene la cifra di ciò che giace sepolto sotto la superficie "ufficiale" della storia. Come sottolineato dallo stesso Kusturica, Underground, attraverso l'inganno di Marko, vuole essere la parabola delle manipolazioni del potere. E nonostante sulla superficie possa sembrare tutto pacifico e prosperoso, negli "inferi" continuano a muoversi i carri armati: la guerra è una linea che attraversa non solo gli anni successivi al conflitto mondiale, ma ogni epoca e periodo. E' una scossa tellurica che corre sotto terra, per poi manifestarsi in superficie con effetti devastanti. E' un messaggio in fondo senza speranza. Ma Kusturica ne smorza (anche troppo) la carica tragica, trasformandolo in una "fiaba", confondendolo nello sfrenato vitalismo balcanico. Il sesso, le feste, le musiche di Bregovic (che in realtà riprende motivi gitani tipici), le sbronze colossali, quel riso che si trasforma in pianto e viceversa. Alla fine c'è la speranza (più della volontà che della ragione) di un'isola felice in cui poter cancellare le macchie del passato, il dolore e il male. Ma l'impressione è che si tratti dell'ennesima sbornia. Una volta smaltita, resta il mal di testa, la coscienza di un destino ineluttabile".

(Aldo Spiniello)

 

Una poesia al giorno

Da “YO SOY tuya”, di Myra Jara.

(Myra Jara è nata a Lima nel 1987, e vive a Roma. Ha studiato letteratura in Perú, in Germania e in Italia, e ha praticato Danza Contemporanea a Lima e a New York; ha fatto parte per due anni, 2012 e 2013, dello staff del Festival Internazionale di Poesia di Lima. Sue poesie sono state pubblicate su riviste di poesia in Messico, Argentina, Perù, Italia e Finlandia. Traduzione di Carlo Bordini.)

Qui vengono solo le donne delle pulizie due volte al mese
sono due donne vecchie,
mi piace la loro presenza
non le conosco: vengono a casa mia e puliscono
la cosa più importante che una persona può fare per me è [pulire
quando vengono mi piace guardarle lavorare
sono entrambe basse e magre, molto bianche
usano delle calze che coprono le loro vecchie ginocchia
quattro ginocchia secche e rotonde
le ginocchia di queste donne sono i miei amuleti.

in clinica entravo in rapporto timidamente coi ragazzi [delle pulizie
li guardavo raccogliere i rifiuti
pulire i gradini e i pavimenti,
i pulitori erano pieni di istinto

Aquí solo llegan las mujeres de limpieza dos veces al mes
son dos mujeres ancianas,
me gusta su presencia
no las conozco: vienen a mi casa y limpian
lo más importante que una persona puede hacer por mí es [limpiar
cuando vienen me gusta mirarlas trabajar
ambas son bajas y delgadas, muy blancas
utilizan unas pantimedias que cubren sus viejas rodillas
cuatro rodillas secas y redondas
las rodillas de esas mujeres son mis amuletos

en la clínica me relacionaba tímidamente con los muchachos de limpieza
los miraba recoger los desechos
limpiar las gradas y los suelos,
los limpiadores estaban llenos de instinto.

 

Un fatto al giorno

5 agosto 1862: guerra di secessione americana, battaglia di Baton Rouge; lungo il fiume Mississippi, nei pressi di Baton Rouge (Louisiana), le truppe confederate respingono quelle unioniste all'interno della città.
Il 4 agosto 1862 il general maggiore sudista John C. Breckinridge arrivò al fiume Comite (circa 16 km a est di Baton Rouge) con l'intenzione di attaccare di sorpresa la città di notte ma venne scoperto da alcune sentinelle nordiste. Nonostante ciò all'alba del 5 agosto Breckinridge lanciò l'attacco durante il quale il comandante nordista Thomas Williams venne ucciso. Il colonnello Thomas W. Cahill prese dunque il comando delle forze nordiste e organizzò una linea difensiva nei pressi del penitenziario, protetto dalle navi da guerra ancorate lì vicino. Breckenridge sperava di poter contare sull'arrivo della nave da combattimento Arkansas che però a pochi chilometri da Baton Rouge ebbe un'avaria al motore e dovette essere abbandonata e distrutta per evitare che cadesse in mano ai nordisti. Senza supporto navale Breckenridge fu costretto a ritirarsi.

 

Una frase al giorno

“La scienza ha promesso la felicità? Non credo. Ha promesso la verità, e la questione è sapere se con la verità si farà mai la felicità”

(Émile Zola, 1840-1902, giornalista, scrittore e saggista francese)

 

Un brano al giorno

Marta Argerich suona Debussy (1069): Estampes

Estampes è un lavoro per pianoforte composto da Claude Debussy nel 1903. La sua prima esecuzione ha avuto luogo il 9 gennaio 1904 dal pianista Ricardo Viñes a Salle Érard della Société nationale demusique. È un trittico di tre corti pezzi chiamati Pagodas, La sera di Granada e Giardini in pioggia.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org