“L’amico del popolo”, 5 giugno 2017

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

DER SIEBENTE KONTINENT (Il settimo continente, Austria, 1989), scritto e diretto da Michael Haneke. Sceneggiatura: Michael Haneke, Johanna Teicht. Fotografia: Anton Peschke. Montaggio: Marie Homolkova. Musica da Alban Berg. Con: Birgit Doll, Dieter Berner, Leni Tanzer, Udo Samel.

“Diviso in tre parti (1987, 1988 e 1989) narra le vicissitudini di una famiglia borghese: Anna (la madre), Georg (il padre) ed Eva (la figlia). Le prime due parti raffigurano giorno per giorno la loro vita e le loro attività quotidiane, concentrandosi sugli aspetti più banali. Ogni giorno il tempo viene scandito da azioni ripetitive (la sveglia, il viavai sempre uguale dei componenti della famiglia). Progressivamente si inizia a scorgere un malessere diffuso nella casa e tra i familiari, un malessere che mai viene esplicitato o spiegato: Eva finge senza alcun motivo apparente di aver perso la vista, cene silenziose cariche di angoscia e tensione, Anna che scoppia a piangere improvvisamente nell’auto mentre questa viene trasportata nel macchinario dell’autolavaggio. Nella terza parte, la famiglia, dopo essere tornata da una visita dai nonni, invia loro una lettera, informandoli della loro partenza. Il giorno dopo, chiuso il conto in banca e comunicato all’impiegato la loro partenza per l’Australia, vendono la macchina e acquistano numerosi oggetti taglienti. Riunitasi e sigillatasi in casa, dopo aver consumato un lauto pranzo, iniziano a distruggere sistematicamente ogni oggetto della casa senza esprimere alcuna emozione. Infine, “riordinata” la casa, si suicidano uno dopo l’altro”.

(Paolo Ferrario)

“Ci sono registi buoni - per non dire ottimi - che riescono a piacerci e ad assorbirci talmente tanto attraverso i loro lavori tanto da farci venir voglia di recuperarne subito l'intera filmografia. Ecco, questo recentemente a me è successo con un autore come Michael Haneke, nato a Monaco di Baviera nel 1942 da padre regista e madre attrice, vissuto a lungo a Vienna dove si è laureato in filosofia e psicologia e che ha iniziato la sua carriera prima come critico cinematografico, poi come regista televisivo. E' nel 1989 che fa il suo esordio nel mondo del cinema, anno in cui dirige "Il settimo continente", pellicola a metà fra il drammatico e il thriller che è anche il primo capitolo dell'informalmente detta trilogia della glaciazione (gli altri due film sono "Benny's video" e "71 frammenti per una cronologia del caso"). Il problema di quando un cinefilo si mette a recuperare le filmografie dei suoi beniamini è che spesso, quando si trova a dare un'occhiata ai primi lavori (magari low-budget, magari ancora poco pregni di quello che sarà successivamente lo stile che tanto si ama), si trova a sorbirsi film di dubbia qualità (vedi per esempio il primo Lars Von Trier). E' incredibile però il modo in cui questo non succede con Haneke: sin da questo iniziale "Il settimo continente" l'autore austriaco non sbaglia e rivela sin da subito la sua sensazionale capacità di ideatore, scrittore e regista. La trama è elementare, ma non la voglio riportare qui per non rovinare la visione a chi non avesse ancora recuperato questa pellicola. In compenso, fra i primi commenti che si possono fare dopo aver terminato la visione (e chi ha visto il film sa di cosa sto parlando), c'è il dubbio: quello a cui ho assistito è la semplice storia narrata da uno psicopatico della sfiga che ha voluto far incontrare e sposare due psicopatici oppure è già il primo gioiellino-provocazione di Haneke? Mi pare ovvio che la risposta in cui mi ritrovo di più è la seconda. Ciò che infatti "Il settimo continente" ci fa vivere è un thriller asciutto ma scioccante dal punto di vista narrativo, ma soprattutto una feroce critica alla borghesia dal punto di vista simbolico. E non è un caso che i simboli sono fra gli elementi più importanti di questo film, un film che sembra contenere poco o niente ma che invece rivela valutazioni e significati in ogni scena, vuoi semplicemente in determinati oggetti, vuoi nelle azioni che vediamo compiersi sullo schermo. Haneke non si riserva nessuna pietà nei confronti della famiglia protagonista del film (e dello spettatore) e sfocia in sequenze visivamente povere ma psicologicamente intense, efficaci, non di rado violente nella trattazione delle tematiche di fondo. Come possono non essere emblematiche - e qui sto parlando di nuovo a coloro che hanno visto il film - la scena dei soldi gettati nel water, la scelta del regista di far sopravvivere il televisore fra tutti i beni distrutti oppure quella di riprendere o meno i volti dei personaggi a seconda delle occasioni? E come può non essere apprezzabile anche la provocatorietà stilistica di Haneke, che si trova ad accostare una narrazione con questi contenuti ad una regia fortemente asettica e minimalista (che caratterizzerà molto la prima parte della sua filmografia)? C'è inoltre da dire che di certo "Il settimo continente" e questa sua particolare messa in scena beneficiano molto pure grazie ad una fotografia povera (probabilmente, oltre che per scelta, anche un po' per questioni di budget) ma proprio per questo efficace ed alle asciutte interpretazioni attoriali del cast (la Doll tra l'altro somiglia incredibilmente a Juliette Binoche!).”

(Maurizio Macchi)

“Sei anni dopo “L’argent”, ultimo film di Bresson, Haneke inizia la sua opera cinematografica con una maturità impressionante, per quanto estremamente in debito verso lo stile del maestro francese. Minimalismo, frammentazione dei gesti e dei corpi, dettagli stretti su mani e parti del corpo che non siano i volti: così inizia (e in larga parte prosegue) “Il settimo continente”. E’ un film-manifesto. I capolavori di Haneke di 20 anni più tardi possiedono una sensibilità umana e una profondità di inquietudine più fine, ma sostanzialmente Haneke (che ha iniziato il suo cinema in piena maturità anche anagrafica) non si è mai mosso da qua. Turbare il pubblico (occidentale, ricco) mettendolo di fronte a gesti inspiegati e inspiegabili, che proprio per la loro assolutezza e indefinibilità si pongono immediatamente come allegorie angosciose del male di vivere, del nichilismo che ci portiamo dentro. La frammentazione della messa in scena scaturisce forse dalla frammentazione sociale: la società atomizzata, la noia se non il rifiuto dell’altro, del vicino, sono in ultima essenza schifo di noi, noia, nausea della vita per quello che è. C’è poco altro ed è pericoloso spiegare ciò cui Haneke non intende e non vuole fornire spiegazione alcuna. Perché spiegare sarebbe già rassicurare. C’è però l’insistenza sui soldi, sull’argent, motore insensato della civilizzazione, la cui distruzione è un tabù (Haneke dichiara che la scena della distruzione dei soldi è stata la più scioccante per il pubblico). Eppure la distruzione dei soldi significa proprio il rifiuto di ciò per cui viviamo e intorno a cui tutto è costruito. Rifiuto di una divinità, dunque. Poi c’è quell’acquario, claustrofobica metafora ovviamente, la cui distruzione sarà causa di dolore per la bambina: una traccia pre-postuma di spiritualità, di resistenza di qualcos’altro che non sia la materialità, ripetitività, alienazione della vita, e il disgusto che ne è conseguito. Poi c’è l’autolavaggio. All’interno dell’abitacolo durante il secondo autolavaggio della pellicola, piange la madre/moglie e da lì inizia la fine. L’abitacolo come claustrofobico rifugio da una minaccia esterna, che pure non è altro che nitore e pulizia. Puliti fuori, abissalmente oscuri dentro: in ciò Haneke denuncia la propria appartenenza alla cultura tedesca. Una civiltà per la quale si dev’essere imbiancati fuori, anche se dentro si è putridi sepolcri. La menzogna, dunque. Del nitore pubblico. La prima menzogna che ci raccontiamo è che tutto va bene, che la vita così com’è ci piace. La menzogna sorregge tutto. La bambina mente a scuola. E quella è la prima spia che si accende nel film. Il settimo continente è il continente che non c’è: è utopia di un altrove impossibile. Forse è la morte. (Un’interpretazione. Le interpretazioni Haneke non le impedisce).”

(eyeswideshining.org)

 

Una poesia al giorno

Sacrificio, di Rainer Maria Rilke (da “Poesie d’amore”, Passigli, 2007. A cura di S. M. Carmignani)

Il mio corpo fiorisce da ogni vena e più intenso
è il suo profumo da quando ti conosco;
più agile il mio passo, più diritto il mio cammino
e tu attendi soltanto – ma chi sei dunque?

Lo sento: mi allontano e lascio alle mie spalle
foglia dopo foglia stagioni ormai remote.
Sopra di te e presto su di me come stelle
all’orizzonte resta solo il tuo sorriso.

Tutto quello che attraverso la mia infanzia
senza nome e come acqua ancora splende
io te lo consacrerò recandoti parole
dove arde la tua chioma: sull’altare
dolcemente coronato dai tuoi seni.

 

Un fatto al giorno

5 giugno 1967, cinquant’anni fa iniziava la guerra di sei giorni: Israele colpisce a sorpresa campi aerei egiziani in risposta alla mobilitazione delle forze egiziane sul confine israeliano. “La situazione si fece critica nel maggio 1967, quando Nasser chiese il ritiro dei caschi blu dislocati lungo la frontiera del Sinai e decise di bloccare gli stretti di Tiran, bloccando il traffico navale nel Golfo di Aqabah e quindi anche il porto israeliano di Elat. Il 5 giugno 1967 Israele aprì le ostilità, protrattesi fino al 10 giugno successivo (guerra dei sei giorni), con un potente attacco aereo che distrusse quasi per intero l’aviazione egiziana. Le forze israeliane occuparono Gaza e il Sinai a danno dell’Egitto, la Cisgiordania e la parte araba di Gerusalemme a danno della Giordania, gli altipiani del Golan a danno della Siria. La guerra dei sei giorni fu seguita dall’importante risoluzione 242 (22 novembre 1967) del Consiglio di sicurezza dell’ONU, cui avrebbero fatto riferimento tutte le successive iniziative di pace nella regione”.

(Enciclopedia Treccani)

“Per i tre Paesi sconfitti, l’esito dei quel conflitto fu devastante: l’Egitto, le cui forze aeree furono distrutte in poche ore, perse la Penisola del Sinai e il suo presidente, simbolo del nazionalismo panarabo e del riscatto anticolonialista Abdel Gamal Nasser mai più riuscì a recuperare il suo prestigio e carisma. La Siria venne fuori dalla guerra mutilata dalle Alture del Golan, una specie di balcone che domina il Nord di Israele e da dove era facile sparare sui kibbutz sulle sottostanti rive del Lago di Tiberiade. La Giordania dovette rinunciare alla sponda occidentale del fiume Giordano, alle sue città, da Hebron a Betlemme e alla parte est di Gerusalemme, compresi i luoghi sacri per le tre religioni”.

(Wlodek Goldkorn)

Il presidente iracheno Abdel Rahman Aref dichiara: “L’esistenza di Israele è un errore che deve essere rettificato. Questa è l’occasione che abbiamo per cancellare questa ignominia che ci accompagna sin dal 1948. Il nostro obiettivo è chiaro: cancellare Israele dalla carta geografica”. Il giorno successivo in Israele viene varato un governo di unità nazionale. Moshe Dayan è ministro della difesa. Il presidente dell’Olp Ahmed Shukairy dichiara: “O noi o gli israeliani, non ci sono vie di mezzo. Chi sopravviverà dell'antica popolazione ebraica di Palestina potrà restare, ma ho l’impressione che nessuno di essi sopravviverà”.

 

Una frase al giorno

“La cosa geniale di voi americani è che non fate mosse stupide chiare, solamente mosse stupide complicate che ci fanno meravigliare per la possibilità che qualcosa potrebbe sfuggirci”.

(Gamal Abd el Nasser, n. Alessandria d'Egitto, 1918 - m. Il Cairo, 1970)

 

Un brano al giorno

Umm Kulthum in "Enta Omri", You are my Life (Olympia Théâtre in Paris, November 1967) 

“Le canzoni di Umm Kulthum non avevano una durata prefissata, tutto dipendeva da come interagiva con lei il pubblico, dal suo umore e dalla passione che in quel momento aveva voglia di esternare, come detto in precedenza, la sua musica aveva lo scopo di portare all’estasi gli ascoltatori ripetendo di volta in volta le strofe delle sue canzoni, per quante volte le venisse chiesto, creando così un connubio cantante-ascoltatore che difficilmente si presenta in altri generi musicali. Umm Kulthum, dopo una travolgente carriera, si ammala di nefrite, trasportata negli Stati Uniti per ricevere cure adeguate, cure che però non diedero i risultati sperati. Umm Kulthum morirà al Cairo il 3 febbraio del 1975, nella morte così nella vita, seppe attirare nella sua ultima apparizione milioni di persone, addirittura si formò un corteo di 10 km che paralizzò il Cairo per diverse ore, mostrando nella pratica quanto forte era ed oggi ancora è l’apprezzamento che gli arabi hanno per questa strepitosa cantante”. (Articolo completo su www.lintellettualedissidente.it)
 

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org