“L’amico del popolo”, 6 giugno 2017

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

QUEEN CHRISTINA (La regina Cristina, USA, 1933), regia di Rouben Mamoulian. Sceneggiatura: Ben Hecht, S. N. Behrman, Salka Viertel, H.M. Harwood. Fotografia: William H. Daniels. Montaggio: Blanche Sewell. Musiche: Herbert Stothart. Con: Greta Garbo, John Gilbert, Ian Keith, Lewis Stone, Elizabeth Young, C. Aubrey Smith, Reginald Owen, Georges Renavent, David Torrence.

“Per sottrarsi alle incombenze del governo, la regina Cristina di Svezia cavalca nella campagna travestita da ragazzo. Qui incontra, innamorandosene segretamente, un brioso emissario spagnolo diretto alla corte reale. Immaginate la piacevole sorpresa dell’emissario allorché dovrà dividere il letto con il giovane gentiluomo in una locanda sovraffollata. Greta Garbo offre un’interpretazione luminosa in questo sontuoso film in costume, nel quale recita insieme all’ex fidanzato John Gilbert, diretta da Rouben Mamoulian. Lei sa che il suo popolo non può accettare il matrimonio con uno straniero. Combattuta tra il dovere e l’amore, deve prendere una decisione cruciale”.

(Warner Bros.)

Cristina, succeduta a suo padre Gustavo Adolfo sul trono di Svezia, governa il Paese con sapiente fierezza. Lord Magnus, il tesoriere di corte, è l'amante di Cristina e vorrebbe farsi sposare. Essa è ben capace di tenere a distanza l'audace pretendente, come anche il Principe Carlo che i sudditi desidererebbero ella scegliesse per marito. Ma un giorno Cristina, vestita, come usava spesso, da uomo, aiuta un cocchiere a liberare dalla neve una vettura, che è quella di Don Antonio ambasciatore di Spagna. La sera l'ambasciatore e l'improvvisato giovanotto si ritrovano, in una locanda, dove per ristrettezza di spazio, si devono adattare a dormire nella medesima stanza. Don Antonio scopre che il suo compagno è una donna e i due s'innamorano; ma verrà a sapere che essa è la Regina solo quando a corte ne chiederà ufficialmente la mano per il suo Re. A corte i due continuano la relazione, che è ostacolata, anche con pretesti politici, da Magnus. Cristina risolve la situazione abdicando in favore di Carlo e se ne va con l'ambasciatore. Ma Magnus provoca quest'ultimo a duello e lo uccide. Cristina parte sola, avendo perduto con il trono anche l'amore.

«La regina Cristina è uno di quei film (molto amati dai critici) importanti non tanto dal punto di vista narrativo, quanto perché gettano luce sul protagonista e sono in fondo una loro autobiografia». Richard Corliss, attentissimo esegeta dei film, non meno che dell’accidentata avventura esistenziale di Greta Garbo, coglie perfettamente nel segno individuando nel progetto e nell’interpretazione del film che Rouben Mamoulian realizzò nel 1933 gli indizi paradigmatici attraverso cui l'ormai consacrata diva hollywoodiana volle (seppe) dare senso e corpo consistenti a ciò che scespirianamente avrebbe potuto definire «l’inverno del proprio scontento».
Aggiunge alla sua prima intuizione Corliss: «La Garbo aveva (allora) ventotto anni, proprio l’età del suo personaggio». E giusto a tale proposito sono abbastanza noti i laboriosi approcci della stessa Garbo nel dar vita sullo schermo all’eccentrica figura della giovane sovrana svedese per dieci anni sul trono, dopo l’assassinio del padre Gustavo Adolfo nel 1632. Prima di tutto, basandosi sull’originale sceneggiatura di Salka Viertel, la Garbo puntò resoluta, per la regia del film, su Victor Sjöström, allora regista in gran voga e futuro, impareggiabile interprete, poi, del capolavoro bergmaniano Il posto delle fragole (1957).
Rivelatasi impraticabile questa prima opzione, si pensò via via a Lubitsch, Von Sternberg, Clarence Brown. Finché la scelta definitiva cadde su Mamoulian «perché quel georgiano (d’origine armena) formatosi alla scuola di Stanislavski era un uomo di cultura». Analoga trafila si seguì per trovare il comprimario maschile della regina Cristina, Don Antonio e, contrariamente ai nomi degli attori in predicato - Franchot Tone, Nils Asther, Leslie Howard, Laurence Olivier - la Garbo impose il pur chiacchierato John Gilbert, incline all’alcol e ormai, dopo l'avvento del sonoro, scarsamente gradito al pubblico.
C’è nella vicenda che precedette, accompagnò e poi ebbe a mischiarsi allo stesso ordito narrativo de La regina Cristina una serie di coincidenze, analogie che, pur velate, danno la misura dell’immanente psicodramma che culminerà nel 1941 con l’improvvido «ritiro dalle scene» della Garbo. Così come, nella prima metà del 1600, la volitiva regina Cristina di Svezia abdicò dal trono, dopo aver vanamente cercato, anche al di là delle rigide costrizioni di corte, d'essere pienamente donna, per finire prima nella Francia di Richelieu e quindi nella Roma papalina come una facoltosa signora borghese piena di «vizi e capricci».
La regina Cristina racconta, in ispecie, l’autentica passione per il nobile spagnolo Don Antonio. E mal gliene incoglierà poiché sollecitata a contrarre un matrimonio sgradito, sceglierà piuttosto l’abdicazione e la solitudine. È quasi superfluo sottolineare come la stessa Garbo - privilegiata, in parallelo sintomatico con la regina Cristina, la propria «abdicazione» di ineffabile sovrana dello schermo - sarà sbalestrata per il resto del suo prolungato, inerte «autoesilio dalla vita» in un seguito interminabile di giorni vuoti, inutili.
Forse può sembrare eccessivo ogni raccordo tra la Garbo e il personaggio di Cristina, ma l’immagine finale del film di Mamoulian risulta, in questo senso, inequivocabile. «Nella scena in cui Cristina salpa dalla Svezia con il cadavere dell’amante a bordo e fissa il mare... la cinepresa compie una lenta carrellata di trenta secondi...» sublimando l’immagine fissa in un tutto che è solitudine, estraneità, assenza, nulla. Appunto, il nulla cui l’arguto Mamoulian aveva suggerito alla Garbo di improntare il proprio sguardo. Così da tramutarla, paradossalmente, in icona immutabile per l’eternità. Una sfinge, un feticcio muto”.

(Sauro Borelli)

La regina Cristina di Svezia, durante una sortita in cui si traveste da paggio, si innamora dell’ambasciatore di Spagna: per lui rinuncia al trono, ma un malvagio pretendente si mette di mezzo e non le resta che l’esilio e la solitudine. Un personaggio insieme reticente e passionale, creato apposta per la Garbo, che si scelse di persona il regista, e rifiutò partner come Laurence Olivier, Franchot Tone e Leslie Howard prima di accettare Gilbert («uno stupendo comprimario, mai in grado di offuscare la luce dell’attrice»). Da antologia il movimento di macchina del finale, che passa dal totale al primissimo piano della Garbo (alla quale il regista aveva detto di non pensare a nulla, perché sul suo volto si potessero leggere la più vasta gamma di espressioni).

(Paolo Mereghetti in "Il Mereghetti - Dizionario dei film 2008", Baldini&Castoldi, Milano, 2008)

QUEEN CHRISTINA (La regina Cristina, USA, 1933), regia di Rouben Mamoulian

 

Una poesia al giorno

N. 06, di Nathan Shepherdson (da “Apples with human skin”, University of Queensland Press 2009)

on the ferry to Thornton Street
the engines churn their liquid raga
the rails around the hull vibrate an alien song
as if tuning forks were lightly held against spinning ice
pitch cascading between the two sides of the brain
unfortunately i know where i am going

at the hospital
death can seem patient
walking the hall in his new slippers

****

sul traghetto per Thornton Street
vedo i motori schiumare in liquidi raga
le ringhiere attorno allo scafo vibrare una canzone aliena
come diapason spinti leggermente contro ghiaccio rotante
l’altezza del suono che precipita tra i due emisferi cerebrali
sfortunatamente so dove sto andando

all’ospedale
la morte può sembrare paziente
mentre percorre i corridoi con le nuove ciabatte

 

Un fatto al giorno

6 giugno 1654: La regina Christina di Svezia abdica in favore di suo cugino Carlo X Gustavo.
Personalità complessa ed anticonformista, educata in modo virile come un Principe e non una Principessa, Cristina di Svezia era dotata di viva intelligenza e di solida cultura umanistica e filosofica. Durante il periodo del regno di Cristina, la Svezia divenne uno dei regni più raffinati ed acculturati d'Europa, al punto che Stoccolma venne soprannominata "l'Atene del Nord". Dotata inoltre di straordinario temperamento e di un forte senso del proprio ruolo, naturalmente assolutista, verso i vent'anni cominciò ad entrare in rotta di collisione con il Cancelliere e la Reggenza, che puntavano ormai a darle marito, possibilmente nel giro dei suoi nobili cugini, in modo da assicurare alla Svezia un vero re. Ma Cristina, pur essendo pronta ad innamorarsi, ebbe sempre un forte rifiuto del matrimonio, non rassegnandosi all'idea di passare in seconda linea rispetto a chi, sposandola, sarebbe diventato re del "suo" regno. Cristina ebbe una storia d'amore con Ebba Sparre, una dama di corte, di cui tutti i contemporanei elogiarono la stupefacente bellezza.

(wikipedia.org)

“Chiamò a Stoccolma i più celebri letterati, filosofi e scienziati: Voss, Grozio, Cartesio, Brochart e altri. Cominciò anche ad accentuarsi la sua crisi religiosa. Cartesio, fervido cattolico, esercitò un influsso decisivo sull'animo della regina, che si confidò allora al confessore dell'ambasciatore portoghese, Antonio Macedo. Roma fu informata della cosa. Cristina sperava che il papa potesse autorizzarla a restare luterana agli occhi del mondo e cattolica nel suo intimo: ma ebbe risposta negativa. Le faceva paura l'esasperazione dei protestanti. E allora, stanca dei doveri di sovrana, non legata da alcun vincolo sentimentale col suo popolo, sorda ai richiami della tradizione gloriosa della sua casa, desiderosa di dare al suo nome una risonanza nuova, il 6 giugno 1654 abdicava in favore del cugino Carlo Gustavo”.

(Treccani Enciclopedia Italiana)

 

Una frase al giorno

“Ci sono delle epoche nella storia dell'umanità in cui la necessità di un cataclisma che scuota la società si impone su tutti i rapporti esistenti”.

(Abel Gance, Parigi, 25 ottobre 1889 - Parigi, 10 novembre 1981)

 

Un brano al giorno

Giacomo Manzoni, “Ombre - Alla memoria di Che Guevara”, per coro e orchestra, 1968. Orchestra Sinfonica e Coro della RAI di Milano. Direttore: Bruno Martinotti. Registrazione Live: 24 Aprile 1970, Conservatorio "G. Verdi" di Milano.

 

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org