“L’amico del popolo”, 6 gennaio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

BLOOD AND SAND (Sangue e arena, USA,1922), regia di Fred Niblo. Sceneggiatura: June Mathis dal romanzo Blood and Sand di Vicente Blasco Ibáñez. Fotografia: Alvin Wyyckoff. Montaggio: Dorothy Arzner. Con: Rudolph Valentino (Juan Gallardo), Lila Lee (Carmen), Nita Naldi (Doña Sol), George Field (El Nacional), Walter Long (Plumitas), Rosa Rosanova (señora Augustias), Leo White (Antonio), Charles Belcher (don Joselito), Jack Wynn (Potaje), Marie Marstini (El Carnacione), Gilbert Clayton (Garabato), Georges Periolat (Marchese de Guevara), Harry La Mont (El Pontelliro), Sidney De Gray (dr. Ruiz), Fred Becker (Don José), Dorcas Matthews (señora Nacional), William Lawrence (Fuentes).

Divenuto il torero più popolare di Spagna dopo una tormentata gioventù, Juan Gallardo (Rodolfo Valentino) sposa l'amata Carmen (Lila Lee). Un giorno però Juan incontra Doña Sol (Nita Naldi), vedova bella e fatale, della quale si invaghisce. Il nuovo legame, però, dura poco: la difficile situazione rende Juan inquieto, al punto che rimane ferito durante una corrida. Carmen insiste perché l'uomo abbandoni le corride, ma Juan decide di scendere un'ultima volta nell'arena per dimostrare tutto il suo valore. Quando però Gallardo vede Dona Sol con un altro uomo e il suo amico Plumitas il bandito (Walter Long) perire sotto i colpi di fucile della polizia, rimane sconvolto a tal punto che viene ucciso dal toro in combattimento.

“Alla base del film di Fred Niblo c'è ancora Blasco Ibáñez, alla sceneggiatura ritorna June Mathis, il risultato è straordinario. Valentino è uno zapaterin, giovane, proletario, immagine forte di una giusta aggressività sessuale giustamente controllata dai codici etici ed etnici, culturali e cattolici. Giusta, nel senso di straight. Blood and Sand è straordinario, e imprevedibile, anche per l'insolenza con cui rilancia quell'ambiguità che un film come Moran aveva provveduto a sfumare. Come già in Moran, anche qui Valentino è un vero corpo di carne (muscoli bene in vista attraverso camicie opportunamente lacere), carico tuttavia di altra densità drammatica. E il primo abbraccio di questo corpo vero è riservato ad un uomo, ad un compagno di corride che muore, scena lunga, recitata, che porta con sé una certa enfasi di melodramma, quasi imbarazzante: Valentino stringe l'amico, lo bacia, si dispera, tuffa il viso nel suo braccio, con un trasporto finora mai concesso ad una donna. (...) La fine è nota: abiezione, redenzione in punto di morte, sangue sulla sabbia e sabbia sul sangue. Juan Gallardo muore, come già Julio Desnoyers, per una donna (in suo nome, o per sua colpa; poco cambia che là fosse un angelo, e qui un demonio), muore dopo aver perduto una donna, o avervi rinunciato. Muore coi vestiti di scena, nella solitudine d'obbligo al vero latin lover, sempre di tutte e di nessuna. Il film sarà il più clamoroso dei suoi successi, prima del secondo Sceicco”.

(Paola Cristalli, “Rodolfo Valentino: Lo schermo della passione”, Ancona, Transeuropa, 1996)

6 gennaio 1874 nasce Fred Niblo, attore, regista e produttore americano (morto nel 1948).

BLOOD AND SAND (Sangue e arena, USA,1922), regia di Fred Niblo

 

Una poesia al giorno

Bells of Rhymney, di Idris Davies

Oh what will you give me?
Say the sad bells of Rhymney.
Is there hope for the future?
Cry the brown bells of Merthyr.
Who made the mine owner?
Say the black bells of Rhondda.
And who robbed the miner?
Cry the grim bells of Blaina.

They will plunder will-nilly,
Cry the bells of Caerphilly.
They have fangs, they have teeth,
Shout the loud bells of Neath.
Even God is uneasy,
Say the moist bells of Swansea.
And what will you give me?
Say the sad bells of Rhymney.

Throw the vandals in court,
Say the bells of Newport.
All will be well if, if, if, if, if, if
Cry the green bells of Cardiff.
Why so worried, sisters why?
Sang the silver bells of Wye.
And what will you give me?
Say the sad bells of Rhymney.

Le campane di Rhymney

Oh che cosa mi darete?
Dicono le tristi campane di Rhymney
C'è speranza per il futuro?
Dicono le scure campane di Merthyr.
Chi ha creato il proprietario della miniera?
Dicono le campane nere di Rhondda.
E chi ha derubato il minatore?
Dicono le grandi campane di Blaina.

Saccheggeranno senza neanche pensarci
Dicono le campane di Caerphilly
Hanno zanne ed hanno denti
Dicono le rumorose campane di Neath
Persino Dio è inquieto
Dicono le umide campane di Swansea
E che cosa mi darete?
Dicono le tristi campane di Rhymney

Gettate i vandali in tribunale
Dicono le campane di Newport
Andrà tutto bene, se, se, se, se, se
Dicono le verdi campane di Cardiff.
Perché sei così preoccupata, sorella, perché?
Dicono le campane d'argento di Wye
E che cosa mi darete?
Dicono le tristi campane di Rhymney

Idris Davies (6 gennaio 1905 - 6 aprile 1953) fu un poeta gallese. Nato a Rhymney, vicino a Merthyr Tydfil, nel Galles del Sud, Davies era il figlio del capo della miniera di carbone Winderman, Evan Davies, e di sua moglie Elizabeth Ann. Davies divenne un poeta, dapprima scrivendo in gallese, ma in seguito scrivendo esclusivamente in inglese. Fu l'unico poeta a occuparsi di eventi significativi del 20esimo secolo nel Galles del Sud".

(Wikipedia)

“Idris Davies scrisse “Bells of Rhymney” sul modello della canzone infantile settecentesca "Oranges and Lemons" ma il tema trattatovi non era per nulla leggero. Nel 1926 i minatori inglesi entrarono in sciopero contro le riduzioni salariali preannunciate dalla compagnie come risposta alla crisi che aveva investito il settore, causata dai contraccolpi e dagli assestamenti del mercato successivi alla iperproduzione del periodo bellico. Il governo conservatore guidato da Stanley Baldwin sembrò in un primo momento voler intervenire in favore dei lavoratori ma in realtà i temporanei sussidi erogati servirono soltanto a far prendere tempo alle compagnie. Sebbene alcuni anni prima una commissione governativa avesse addirittura consigliato la nazionalizzazione de settore minerario, il governo Baldwin, dopo aver illuso i lavoratori, decretò che per salvare profitti ed investimenti i salari dovevano essere ridotti in media del 13,5%. I padroni non se lo fecero dire due volte e tagliarono le retribuzioni dal 10 fino al 25%, minacciando serrate se i sindacati si fossero opposti...Il 3 maggio 1926 iniziò lo sciopero generale. Vi furono coinvolti più di 1 milione e mezzo di lavoratori, insieme ai minatori quelli dei trasporti, della stampa, i portuali e i metallurgici. In tutta risposta il governo formò una milizia, una polizia speciale per il mantenimento dell’ordine dalla quale furono tuttavia tenuti fuori elementi dell’estrema destra, per evitare scontri. I fascisti però organizzarono una propria milizia anti-sciopero agli ordini di Rotha Lintorn-Orman, pioniere del fascismo britannico. La milizia governativa e l’esercito cominciarono a proteggere quelli che volevano riprendere il lavoro ed i crumiri. Poi il governo convinse alcune sigle sindacali dell’illiceità dello sciopero e minacciò azioni legali ed il sequestro dei beni delle organizzazioni, così il fronte sindacale si spaccò ed il 12 maggio decise la fine dello sciopero, la resa senza condizioni a patto che non vi fossero ritorsioni di alcun genere contro chi aveva aderito allo sciopero. Molti minatori continuarono a resistere per diversi mesi e molti furono licenziati. Quelli che rientrarono dovettero piegarsi a turni più lunghi, ad una produttività maggiore e ad un salario sensibilmente più basso. Intanto il governo varò una disciplina dello sciopero più restrittiva che vietava gli scioperi di solidarietà e che impediva l’affiliazione sindacale ai lavoratori dei servizi essenziali...”

(In www.antiwarsongs.org)

Idris Davies (6 gennaio 1905 - 6 aprile 1953) fu un poeta gallese

 

Un fatto al giorno

6 gennaio 1907: Maria Montessori apre la sua prima scuola e centro di cura per la classe operaia a Roma. A San Lorenzo, apre la prima Casa dei Bambini, in cui applica una nuova concezione di scuola d'infanzia: Il metodo della pedagogia scientifica, volume scritto e pubblicato a Città di Castello (Perugia) durante il primo corso di specializzazione (1909). Il testo viene tradotto e accolto in tutto il mondo con grande entusiasmo.

“Quando Maria Montessori fondò la prima "Casa dei Bambini" nel 1907 a San Lorenzo in Roma, era già nota in Italia per essere stata una delle prime donne laureate in medicina in Italia, per le sue lotte femministe (grande clamore suscitò in Europa il suo intervento al Congresso femminile di Berlino: 1896, lo stesso anno in cui si laurea) e per il suo impegno sociale e scientifico a favore dei bambini handicappati. Il metodo della pedagogia scientifica, volume scritto e pubblicato a Città di Castello (Perugia) durante il primo Corso di specializzazione (1909), fu tradotto e accolto in tutto il mondo con grande entusiasmo: per la prima volta veniva presentata una immagine diversa e positiva del bambino, indicato il metodo più adatto al suo sviluppo spontaneo e dimostrata la sua ricca disponibilità all'apprendimento culturale, i cui possibili risultati non erano stati mai prima immaginati e verificati. Un altro fenomeno che interessò l'opinione pubblica di tutto il mondo fu quello di poter osservare un gruppo di bambini dedito al lavoro liberamente scelto da ciascuno di essi in un clima di tranquilla collaborazione. Questo insospettato successo determinò un profondo cambiamento nella vita di Maria Montessori che iniziò il suo pellegrinaggio scientifico in ogni parte del mondo, ove nascevano e si sviluppavano le sue scuole e dove altrettanto grande era l'esigenza di una nuova preparazione degli insegnanti. A partire dal 1913, anno del 1° Corso Internazionale svoltosi a Roma, Maria Montessori visitò ripetutamente gli Stati Uniti, la Spagna, l'Olanda e tanti altri paesi per approdare in India ove restò molti anni anche a causa del secondo conflitto mondiale. In Italia tornò nel 1947, dopo averla lasciata nel 1934, costretta insieme a suo figlio Mario a dimettersi dall'Opera Nazionale Montessori che ella aveva fondato nel 1924. Ciò avvenne a causa del tentativo del regime fascista di orientare l'Opera e il pensiero della sua Autrice in una direzione incompatibile con i principi ideali ed educativi di Maria Montessori, la cui immagine e i cui libri vennero dati alle fiamme prima a Berlino e poi a Vienna negli anni del dominio nazista...”

(Articolo completo in: www.operanazionalemontessori.it)

Il metodo della Montessori, che ha trovato applicazione in apposite scuole istituite in molti paesi, anche extraeuropei (USA, Canada, India e Giappone), è considerato uno dei principali esperimenti di "scuola nuova". Esso mira a fare della scuola non la casa per bambini, ma la casa dei bambini, ossia un ambiente adatto alla libera esplicazione della loro attività, onde la maestra non insegna propriamente, ma assiste individualmente i bambini, mentre spontaneamente si esercitano col materiale didattico, cui è data un'estrema importanza. I critici del metodo tuttavia sostengono che esso offre al bambino un materiale obbligato e predispone rigidamente, in nome della scienza, i procedimenti cui debbono attenersi maestri e bambini, riuscendo così in certo modo frustrata l'originaria sua ispirazione alla spontaneità e libertà.”

(Treccani)

“La Casa dei Bambini" di Maria Montessori:

Maria Montessori

 

Una frase al giorno

“Ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita. Non essere ballerino, ma danzare”.

(Rudolf Chametovič Nuriev, nato a Irkutsk, 17 marzo 1938, morto a Levallois-Perret, 6 gennaio 1993. È stato un ballerino e coreografo russo naturalizzato austriaco, internazionalmente noto come Rudolf Nureyev, ritenuto da numerosi critici (tra cui Clement Crisp, Sylvie de Naussac ed altri) uno tra i più grandi danzatori del XX secolo.

Immagini:

Rudolf Nureyev (Irkutsk, 17 marzo 1938 - Levallois-Perret, 6 gennaio 1993)

 

Un brano musicale al giorno

Max Bruch, Scottish Fantasy. Nicola Benedetti, violino. Symphony Orchestra diretta da Rory Macdonald.

«Max Bruch (Colonia, 6 gennaio 1838 - Friedenau, 2 ottobre 1920) è stato un compositore e direttore d'orchestra tedesco. Studiò con Carl Reinecke, Ferdinand Breuning e Ferdinand Hiller. Fu un celebre direttore d'orchestra e compì numerose tournée negli Stati Uniti e in Russia. Fu direttore stabile a Coblenza dal 1865 al 1867, a Berlino dal 1878 al 1880, a Liverpool dal 1880 al 1883, a Breslavia dal 1883 al 1890. Dal 1890 al 1911 ottenne la cattedra di composizione presso l'Accademia di Berlino ed ebbe tra i suoi allievi Ottorino Respighi. Mentre la sua produzione strumentale ebbe un successo grandissimo, non altrettanta fortuna ebbero i suoi lavori teatrali».

(Wikipedia)


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k