“L’amico del popolo”, 7 gennaio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

SHEN NU (The goddess, Cina, 1934) scritto e diretto da Wu Yonggang. Fotografia: Hong Weilie. Con: Ruan Lingyu, Zhang Zhizhi, Keng Li, Tian Jian.

“Goddess è il film classico per eccellenza nella storia del muto cinese. È noto soprattutto per l'interpretazione sublime di Ruan Lingyu, stella del cinema di fulgida bellezza e dal tragico destino. Morta suicida all'età di 25 anni, Ruan ha ispirato il film Ruan Lingyu di Stanley Kwan, interpretato da Maggie Cheung. Se la prova d'attrice di Ruan è magnifica e complessa, e riesce a dare spessore drammatico e realismo anche alle sequenze più drammatiche, la trama e l'andamento del film sono di chiara classicità.

La storia: un prostituta fugge da una ronda di polizia, ma entra in casa di un grasso e viscido uomo di malaffare che la ricatta e la prende sotto la propria "protezione". La sequenza dell'incontro tra i due è entrata nella storia del cinema cinese: l'uomo chiede esplicitamente alla donna di restare la notte come ringraziamento per non averla denunciata; Ruan assume un'espressione indefinibile, ricchissima, che esprime al contempo disgusto, rassegnazione, e accettazione. Si siede allora con fare spavaldo sul tavolo, chiede una sigaretta all'uomo, la accende e inarca il corpo sinuoso per soffiare fuori il fumo. Ha un atteggiamento vittorioso e altero, ma sta subendo un'ennesima sconfitta. Una sconfitta che la porterà più lontano del previsto: l'uomo la segue, entra in casa sua, la sfrutta minacciando Ruan di rapirle il bambino. La giovane prostituta è infatti devota madre d'una piccola creatura. La donna fugge una volta, cambiando di nascosto residenza, ma l'uomo la ritrova. Divorato dai debiti di gioco, sfrutta la ragazza senza pietà: numerosi primi piani lo inquadrano mentre sogghigna, maligno; oppure la mdp dal basso riprende la sua espressione deformata dall'avarizia e dal gioco mentre getta le carte sul tavolo.

Il lavoro della prostituta è rappresentato da scene che infrangono il rigore classico che alterna primi piani a piani medi: una volta si vedono i piedi di lei battere impaziente a terra, mentre altre gambe le sfilano di fianco. Poi delle calzature maschili si fermano accanto alle scarpe col tacco di lei, ed i due cominciano a camminare fianco a fianco seguiti da un lento travelling laterale. Ancora: la mdp in alto, sopra il lampione che illumina la scena notturna. La strada, i passanti, lei; e poi un uomo, la testa coperta da un cappello, le si avvicina ed i due si allontanano insieme. La vita della donna è rischiarata solo dalla relazione col figlio, descritta con grazia e sensibilità. Il volto di Ruan Lingyu è letteralmente capace di illuminarsi di gioia quando fissa il suo bambino, e quando gioca con lui; sovente il regista gioca proprio con la straordinaria presenza scenica dell'attrice. Numerose sequenze infatti sono ambientate in casa, presenti il figlio e lo sfruttatore. Ruan passa dallo sguardo amoroso e tenero per il figlio, ad accigliarsi cupamente quando il mafioso le chiede dove trovi mai i soldi per fare studiare il piccolo (la ragazza li nasconde dietro un mattone, in un buco sul muro). Ancora: durante la recita scolastica, la donna è illuminata ascoltando il figlio cantare; ma accanto a lei le pettegole vicine parlano della sua condizione, e il volto della ragazza si rabbuia in un'espressione tragica.

Il film denuncia senza appello la condizione femminile desolante, denuncia la tragedia di chi, debole come la protagonista, deve sottostare alle umiliazioni più dure; così come è critico nei confronti della società subito pronta a giudicare anche i più infelici, nascondendosi dietro un moralismo posticcio. La prostituzione è poi uno dei grandi temi portanti del cinema cinese di sempre, in parte per il ruolo importante che il mestiere ebbe nella società poligama cinese, ma dall'inizio del secolo anche per rappresentare la debolezza della Cina e le umiliazioni che deve sopportare: essendo un paese occupato dalle potenze straniere e dal Giappone, esso può essere paragonato ad un corpo violato, in vendita. La prostituzione è dunque simbolo dell'umiliazione nazionale, e al contempo serve per illustrare il funzionamento perverso di una società che annienta le persone di buon cuore come la protagonista di questo film. Altro film su prostitute, tema classico della cinematografia cinese: Dawn. La conclusione è tragica, ma con un barlume di speranza. Il film si fa più "parlato", ricco di didascalie, a riprova di come il cinema cinese, soprattutto la corrente di film "progressisti" che si vuole pedagogico e socialmente utile, necessiti delle parole per esprimere concetti, formulare teorie, tenere sermoni e lezioni. Il direttore della scuola si reca a casa della giovane prostituta per indagare sulle voci che circolano sul suo conto. La ragazza ammette la sua condizione, ma difende strenuamente il diritto del figlio a ricevere un'educazione. Il direttore commosso le promette che il bambino potrà continuare a frequentare la scuola, ma nel corso di una lunga riunione incontra l'opposizione decisa dei suoi colleghi, che si preoccupano del buon nome della scuola. Il direttore rassegna le dimissioni, e non può impedire che il bambino sia espulso. Il direttore (così come in Plunder of Peach and Blossom) rappresenta l'impotenza e la buona volontà degli intellettuali dell'epoca. La madre riceve la notizia, e decide di partire lontano dalle maldicenze, in un luogo dove nessuno la conosce (con un brivido, si rammenta il biglietto d'addio dell'attrice, che lamentava l'impossibilità di sottrarsi dalle chiacchiere della gente). Fa per cercare il suo tesoro, i soldi risparmiati in anni e anni di sacrifici, ma il suo malvagio sfruttatore li ha già trovati e portati via. La donna è disperata, si reca alla sala da gioco, domanda spiegazioni, "i soldi li ho già spesi", dice lui. Al che la donna, stretta in un angolo, a tentoni trova una bottiglia che afferra stretta e poi viene verso la telecamera e frantuma la bottiglia sulla testa del meschino giocatore (una sorta di soggettiva della nuca della vittima). La divina finisce in prigione, dove riceve una visita dal direttore. (una scena simile è l'incipit di Plunder of Peach and Blossom, a riprova del fatto che il tema della società che schiaccia gli individui più nobili portandoli al crimine è frequente e sintomatico della situazione di grande incertezza sociale del periodo). L'uomo, dispiaciuto di non essere riuscito ad aiutare il piccolo, promette alla madre di accudirlo al posto suo per i dodici anni della pena. La madre, in un gesto estremo di sacrificio, chiede al direttore di dire al figlio che lei è morta, in modo da metterlo per sempre al riparo dalle maldicenze e dai pregiudizi della società. L'ultima didascalia dice che gli anni che la donna passa in prigione sono gli anni più sereni della sua vita, rischiarati dalla speranza del futuro brillante del figlio.

L'ultima immagine: la donna di profilo sulla sinistra fissa il muro spoglio della cella, sul quale appare l'immagine del figlio, sorridente. Poi questa immagine onirica scompare, Ruan Lingyu si volta e grazia gli ultimi secondi della pellicola del suo sorriso misterioso, pieno di grazia, che dice tanta sofferenza ma anche un accenno di speranza, in un'espressione dolcissima e toccante. Si riforma così la famiglia tradizionale, in una conclusione tutto sommato conservatrice. Se il film ha l'indubbio merito di ritrarre in maniera agiografica una figura sociale condannata e disprezzata, pur tuttavia la conclusione denota un sogno maschile di ordine e continuità della famiglia e della società. La madre virtuosa resta infatti segregata, mentre il figlio può godere della figura di un padre, la più importante nella famiglia tradizionale e nella morale confuciana. E ancora, si ribadisce come il compito di una madre sia il benessere del figlio innanzi tutto, e, ancor più confucianamente, la sua educazione. La toccante prova d'attrice di Ruan Lingyu fa però, ora come all'epoca, sfumare le analisi sociologiche poiché sul suo volto stesso si possono leggere una varietà estrema di emozioni, di desideri, di passioni che ne fanno un personaggio a tutto tondo che si divincola da ogni interpretazione costrittiva per restare nella memoria come una forza tragica della natura.”

(Corrado Neri in Goddess - Ca' Foscari)

Ruan Lingyu (阮玲玉S, Shanghai, 26 aprile 1910 - Shanghai, 8 marzo 1935) è stata un'attrice cinese del cinema muto. Considerata una delle più importanti star del cinema cinese negli anni '30, viene talvolta soprannominata la "Greta Garbo cinese".

  • Il film: Shen Nu (1934) Complete Silent Movie

SHEN NU (The goddess, Cina, 1934) scritto e diretto da Wu Yonggang

 

Una poesia al giorno

Sono nella stanza accanto, di Charles Péguy (che il 7 gennaio 1873 nasceva a Orléans, poeta e giornalista morirà a Villeroy, il 5 settembre 1914 in combattimento, all'inizio della prima battaglia della Marna, era Tenente della riserva, durante la Prima guerra mondiale e si arruolò nella fanteria. Traduzione della poesia: Lio Site)

L’amore non svanisce mai.
La morte non è niente, io sono solo andato nella stanza accanto.
Io sono io.
Voi siete voi.
Ciò che ero per voi lo sono sempre.
Datemi il nome che mi avete sempre dato.
parlatemi come mi avete sempre parlato.
Non usate un tono diverso.
Non abbiate un’aria solenne o triste.
Continuate a ridere di ciò che ci faceva ridere insieme.
Sorridete, pensate a me, pregate per me.
Che il mio nome sia pronunciato in casa come lo è sempre stato,
senza alcuna enfasi, senza alcuna ombra di tristezza.
La vita ha il significato di sempre.
Il filo non si è spezzato.
Perché dovrei essere fuori dai vostri pensieri?
Semplicemente perchè sono fuori dalla vostra vista?
Io non sono lontano,
sono solo dall’altro lato del cammino.

Charles Péguy (Orléans, 7 gennaio 1873 - Villeroy, il 5 settembre 1914)

 

Un fatto al giorno

7 gennaio 1610: Galileo Galilei osserva per la prima volta i satelliti galileiani di Giove.

Sono comunemente definiti satelliti medicei (o galileiani) i quattro satelliti maggiori di Giove, scoperti da Galileo Galilei e Simon Marius e chiaramente visibili dalla Terra anche tramite piccoli telescopi. Si tratta di Io, Europa, Ganimede e Callisto; Ganimede, in particolare, è così luminoso che se non si trovasse vicino a Giove sarebbe visibile anche ad occhio nudo, di notte, nel cielo terrestre. La prima osservazione di questi satelliti da parte di Galileo risale al 7 gennaio 1610.

“Puntando il suo cannocchiale su Giove per varie sere consecutive, egli notò che 4 “stelline”, molto vicine al pianeta, cambiavano posizione ogni sera ed ogni sera egli faceva un disegno di ciò che vedeva e nei suoi appunti leggiamo: “l’esperienza ci mostra quattro stelle erranti attorno a Giove”. Fu una di quelle scoperte che rivoluzionarono la storia della Scienza: Galilei aveva capito che i 4 corpi celesti ruotavano attorno al pianeta, che cioè erano 4 Lune. Da quel momento iniziarono i suoi guai perchè la Chiesa non poteva ammettere che esistesse qualcosa che non ruotasse attorno alla Terra, ritenuta centro dell’Universo. Attualmente si conoscono ben 67 satelliti del pianeta Giove, per cui si parla di un vero e proprio “Sistema Gioviano”, tanto più che questo pianeta è un vero gigante: il suo volume è 1320 volte quello della Terra e la sua massa corrisponde a due volte e mezzo la somma di tutti gli altri pianeti del Sistema Solare messi insieme. Giove impiega 11,86 anni terrestri per compiere un giro completo attorno al Sole e, anche se si ritiene che possa avere un piccolo nucleo roccioso, è praticamente un “gigante gassoso”, formato essenzialmente da Idrogeno ed Elio, con tracce di Metano ed Ammoniaca. Tra i satelliti galileiani, il più vicino al pianeta è Io. La principale caratteristica di questa luna è un’intensa attività vulcanica: le sonde spaziali hanno individuato ben 150 vulcani attivi sulla sua superficie, ma si pensa che possano essere molti di più. Questi vulcani emettono zolfo liquido e biossido di zolfo che danno le caratteristiche colorazioni gialle e rossastre alla superficie di questo satellite. Io è caratterizzato anche da numerose montagne, alcune delle quali più alte del monte Everest terrestre, e da estese pianure ricoperte da zolfo e biossido di zolfo solidificato. Su questo satellite è presente una tenue atmosfera costituita essenzialmente da biossido di zolfo (SO2) e, a differenza degli tre altri satelliti galileiani, su Io non è presente acqua. Io compie una rotazione completa attorno a Giove in 42 ore e mezza. Allontanandoci da Giove, troviamo Europa. Questa luna, al contrario di Io, è caratterizzata da una superficie ghiacciata molto liscia ed è ormai quasi certo che al di sotto di questa superficie vi è un oceano di acqua liquida. In questo oceano potrebbero esservi condizioni adatte allo sviluppo di qualche forma di vita. La superficie di Europa presenta delle caratteristiche striature, vere e proprie crepe, probabilmente causate da eruzioni di acqua (geyser) dallo strato sottostante. Questo satellite possiede una tenue atmosfera formata probabilmente da Ossigeno. Europa compie una rotazione completa attorno a Giove in 3 giorni e mezzo. Più lontano troviamo Ganimede, il più grande satellite di tutto il Sistema Solare. Anche questa luna è caratterizzata da una superficie ghiacciata composta da ghiaccio di acqua e da silicati. Questa superficie è più irregolare di quella di Europa e sono presenti numerosi crateri da impatto meteoritico e cometario. Al suo interno sembra esservi un nucleo di ferro fuso, separato dalla crosta superficiale da un mantello roccioso composto da silicati. Anche questo satellite è caratterizzato da una tenue atmosfera di Ossigeno. Ganimede compie una rotazione completa attorno a Giove in poco più di 7 giorni. Infine, sempre allontanandoci da Giove, incontriamo Callisto. La sua superficie, anch’essa ghiacciata, è caratterizzata da numerosi crateri da impatto, alcuni molto grandi. Anche qui è quasi certa la presenza di un oceano di acqua liquida al di sotto della crosta superficiale. Callisto presenta una atmosfera molto tenue costituita da Anidride Carbonica. Questo satellite compie una rotazione completa attorno a Giove in poco più di 16 giorni e mezzo”.

(Articolo completo con bellissime foto in giuseppemerlino.wordpress.com)

Film:

 

Una frase al giorno

“Money does not represent such a value as men have placed upon it. All my money has been invested into experiments with which I have made new discoveries enabling mankind to have a little easier life” (Il denaro non ha tutto quel valore che gli uomini gli hanno attribuito. Tutto il mio denaro è stato investito in esperimenti, permettendomi di giungere a scoperte che hanno contribuito a migliorare la vita dell'uomo).

Nikola Tesla (Smiljan, 10 luglio 1856 - New York, 7 gennaio 1943) è stato un inventore, fisico e ingegnere elettrico serbo con cittadinanza austro-ungarica naturalizzato statunitense.

Nikola Tesla (Smiljan, 10 luglio 1856 - New York, 7 gennaio 1943)

“Fu uno dei più grandi inventori di tutti i tempi. Nikola Tesla, scienziato serbo-croato immigrato negli Stati Uniti nel 1884, registrò tanti brevetti quanti il suo rivale Thomas Alva Edison. Ma non riuscì altrettanto bene a beneficiare delle sue idee: ogni volta fu privato dei meritati guadagni”.

(Focus)

  • Immagini: Tajna Nikole Tesle (Il Segreto di Nikola Tesla) di Krsto Papić (Jugoslavia, 1980) con Orson Welles

 

Un brano musicale al giorno

Marian Anderson canta "Re dell'abisso, affrettati" da "Un ballo in maschera" di Giuseppe Verdi. Dirige Dimitri Mitropoulos.

Marian Anderson (Filadelfia, 27 febbraio 1897 - Portland, 8 aprile 1993)

7 gennaio 1955: Marian Anderson, Contralto, diventa la prima persona di colore a cantare al Metropolitan Opera in Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi.

Personalmente la trovo incantevole anche ne La Forza del destino, basta sentirla in Pace Pace mio Dio


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k