“L’amico del popolo”, 7 agosto 2017

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

LA HAINE (L'odio, Francia, 1995), scritto, diretto e montato da Mathieu Kassovitz. Fotografia: Pierre Aïm. Musica; Assassin. Con: Vincent Cassel, Hubert Koundé, Saïd Taghmaoui.

Nella periferia parigina, a causa del pestaggio che Abdel Ichah, ha subìto durante un interrogatorio in prigione, si è scatenata una guerriglia. Due amici, Vinz e Said, l'uno ebreo e l'altro arabo, raggiungono il nero Hubert. I tre gironzolano per il quartiere, scacciano una troupe televisiva che vuole intervistarli; tentano di consolare l'amico ricettatore Upim, cui nei disordini è andata distrutta l'automobile. Vinz ha trovato la pistola che un poliziotto ha perduto e minaccia di usarla contro un agente.

"L'odio del titolo è quello delle bande dei quartieri satelliti parigini contro le forze dell'ordine ed è aspramente ricambiato: almeno a giudicare dalla ribellione dei poliziotti di guardia sulla scalinata del Palais al Festival di Cannes, che all'apparire del 28enne regista Mathieu Kassovitz e del suo gruppuscolo giovanile hanno ostentatamente voltato le spalle. Con 'La haine' i critici francesi sono invece convinti di aver scoperto un capolavoro: 'Attention Kassovitz!' ha strillato in copertina 'Première' e le due più autorevoli riviste specializzate, i 'Cahiers au Cinéma' e 'Positiv' gli hanno dedicato pagine su pagine confessando 'Un coup de coeur'. Il resto della stampa è venuto al traino, il premio per la miglior regia ha rinforzato l'immagine e il film ha registrato la cifra record di due milioni di spettatori. Chissà come commenterebbe la rozza sociologia muro contro muro di L'odio il compianto poeta che ai tempi della battaglia di Valle Giulia si schierò scandalosamente dalla parte dei poliziotti contro i sessantottini."

(Tullio Kezich, 'Il Corriere della Sera', 23 settembre 1995)

"Certo, il film gronda tutto l'odio del suo titolo, la polizia vi è proclamata nemico n.1, con tutta una serie di denunce che testimoniano aspramente in suo sfavore, i personaggi giovani sembrano tutti l'emblema di tumulti destinati, almeno nelle intenzioni, a sommergere l'intera società; ma anche se cosi radicale, quel ritratto di una condizione umana di oggi ha il suo peso, documenta se non una verità certo uno spaccato abbastanza autentico di realtà metropolitana europea che, pur ripresa, anche come modi di rappresentazione, da quella americana, oltre a convincere come spettacolo può far riflettere educatori e sociologi; perfino con una certa apprensione. Concorre al sapore di autenticità una recitazione tutta in presa diretta cui partecipano molti non professionisti, intenti, quelli del terzetto a prestare addirittura ai personaggi il loro nome e cognome: per fare, probabilmente anche più vero. Il regista, invece, pur essendo ebreo, si è divertito, con scoperto sarcasmo, a nascondersi sotto la figura marginale di un naziskin; con tanto di svastica sul capo."

(Gian Luigi Rondi, "Il Tempo", 24 settembre 1995)

"Alla maniera dello Spike Lee di 'Fa la cosa giusta', Mathieu Kassovitz, 27 anni, parigino, figlio d'un cineasta e d'una produttrice, già autore di 'Métisse', premiato per la regia all'ultimo festival di Cannes, ha fatto un film brutale e disinvolto, destrutturato e costruito con rigore: tempo condensato il cui trascorrere è scandito da cartelli, una pistola perduta da un poliziotto che serve da filo conduttore passando di mano in mano, l'agonia del ragazzo arabo colpito dalla polizia che assicura suspense, due parti simmetriche svolgentisi una a Parigi e una in periferia. Alla maniera del Martin Scorsese di 'Taxi Driver', Kassovitz ha fatto un film che è insieme drammaticamente realistico e sotterraneamente surreale. 'L'odio' aggredisce un problema sociale francese in stile americano, ma si distingue da altri racconti neri della periferia, da tanti altri banlieue-film: per la sua durezza sovversiva, per la rabbia unita a svagatezza dei protagonisti, per il linguaggio gergale che imprime alla narrazione gran ritmo e una terribile energia. Il sospetto d'artificiosità, d'un eccesso di furba abilità non toglie nulla alla forza, alla potenza disperata del film; né alla bravura e alla sicurezza d'un nuovo regista."

(Lietta Tornabuoni, 'La Stampa')

LA HAINE (L'odio, Francia, 1995), scritto, diretto e montato da Mathieu Kassovitz

 

Una poesia al giorno

“I dodici”, di Aleksandr Blok (1880-1921. A cura di Paolo Statuti)

1
Buia sera.
Neve bianca.
Che vento!
Le gambe piega.
Che bufera -
Sulla terra intera!

Di neve e vento
Un girotondo.
Ghiaccio è il fondo.
Bufera maledetta!
Ogni passante
Scivola - ah, poveretta!

Tra due case
Una fune si tende.
Sulla fune - un cartello:
“Tutto il potere alla Costituente!”
Una vecchia piange - ahimé,
Non capirà mai perché
C’è quel cartello.
Che spreco con quel telo -
Quante pezze per i piedi dei ragazzi,
Spogliati e scalzi...

La vecchia, come una gallina,
Ha saltato un mucchio di neve.
- Oh, Benedetta Madonnina!
- Coi bolscevichi la vita è breve!

Punge il vento!
Gelo maledetto!
Un borghese al crocevia
Ha il naso nel colletto.

E questo chi è? - Lunghi i capelli
Parla a voce bassa:
- Traditori!
- La Russia al Creatore! -
Forse un letterato -
Un oratore...
E là con la zimarra -
In disparte vi tenete...
Passata è l’allegria,
Compagno - prete?
Ricordi com’era?
Sulla pancia sporgente
La croce splendeva
Per la gente...
Là una dama impellicciata
Verso un’altra s’è voltata:
- Ah, quanti pianti, quanti pianti...
Ma è scivolata
E - paff - che sederata!
Ahi, ahi!
Titatemi su!
Vento allegro,
Spietato e contento.
Rivolta i lembi,
Sferza i passanti,
Strappa, sbatte
Un grande cartello:
“Tutto il potere alla Costituente”...
E le parole porta:
...Da noi c’è stata una riunione...
...In questo androne...
...Abbiam discusso -
Abbiam deciso:
Dieci – per un’ora, venticinque - per la notte...
...Di meno - non accettare...
...Andiamo a riposare...
Tarda sera.
La strada s’è svotata.
Un vagabondo
Ha la schiena piegata,
E sibila il vento...
Ehi, pezzente!
Vieni qua –
Baciamoci...
Pane!
Chi va là?
Passa!
Cielo, cielo nero.
Rabbia, triste rabbia
Bolle in petto...
Rabbia nera, rabbia santa...
Compagno, bada!
Attento!

2
Passeggia il vento, vola la bufera.
Va dei dodici la schiera.
Le nere cinghie dei fucili,
Intorno - fuochi, fuochi, fuochi...
Berretto sgualcito, tra i denti - un mozzicone,
Sembran fuggiti dalla prigione!
Libertà, libertà,
E la croce via di qua!
Tra-ta-ta!
Che freddo, compagni, che freddo fa!
- Vanja e Katja sono insieme...
- Nella calza i soldi tiene!
- Ricco Vanja è diventato...
- Era con noi, adesso è soldato!
- Vanja, figlio di puttana, suvvia,
Prova a baciare la mia!
Libertà, libertà,
E la croce via di qua!
Katja con Vanja è occupata -
Ma che fa, che fa?...
Tra-ta-ta!
Intorno - fuochi, fuochi, fuochi...
A tracolla i fucili...
Il passo sia rivoluzione!
Il nemico è pronto all’azione!
Compagno, coraggio, il fucile agguanta!
Spariamo sulla Russia Santa -
Vetusta,
Contadina,
Satolla!
E la croce via di qua!

3
Oh partirono i ragazzi,
Per servir la guardia rossa -
Per servir la guardia rossa -
E finire in una fossa!
E tu, amara sventura,
Vita gentile!
Lacero il cappotto,
Austriaco il fucile!
Per la sorte dei borghesi
Mille fuochi sono accesi,
Fuoco e sangue nel cuore -
Oh, proteggici, Signore!

4
Neve. Grida il vetturino,
Vanja con Katja vicino -
La luce del fanale
Sulle stanghe...
Ah, ah, crepa!...
Nel cappotto militare
Un balordo egli pare,
Torce e alliscia senza sosta
il baffo nero,
E scherza a cuor leggero...
Vanja è così - forte e tenace!
Vanja è così - assai loquace!
La sciocca Katja abbraccia,
E a parlare attacca...
Getta indietro la testolina,
Denti come perline...
Oh, Katja, m’è sempre piaciuta
La tua faccia paffuta...

5
Sul tuo collo, Katja,
Lo sfregio d’un coltello.
Sotto il petto, Katja,
Hai un graffio novello!
Balla un po’, amore mio!
Che gambe, santo Dio!
Biancheria di pizzo portavi -
Portala ancora!
Con gli ufficiali trescavi -
Tresca, tresca anche ora!
Eh, eh, tresca adesso!
Il cuor sobbalza in petto!
L’ufficiale, Katja, rammenti -
Non evitò una coltellata...
L’hai scordato, accidenti?
La memoria s’è offuscata?
Eh, eh, non mentire,
Con te voglio dormire!
Ghette cenere avevi,
Solo dolci raffinati,
Tra i cadetti tu sceglievi -
Ora scegli tra i soldati?
Eh, eh, pecca pure, dai!
Più leggera ti sentirai!

6
Di nuovo passa come furia
Il vetturino: vola, urla, ingiuria...
Fermo! Andrjej, da’ una mano!
Corri dietro a quel marrano!...
Tra-tarara-ta-ta-ta-ta!
Quanta neve s’è levata!...
Scappa Vanja - il bellimbusto...
Alza il cane! Mira giusto!...
Tra-tarara! Or vedrai...
Le donne altrui più non avrai!...
E’ scappato! Aspetta, carogna,
Finirai in una fogna!
E Katja dov’è? - Morta ammazzata!
Ha la testa crivellata!
Katja, sei contenta? - Taci...
Come una bestia giaci!...
Il passo sia rivoluzione!
Il nemico è pronto all’azione!

7
Va dei dodici la schiera,
Con passo deciso.
Il povero assassino
Nasconde il suo viso...
Più veloce, senza fiato
Corre come un ossesso.
Lo scialle sul collo annodato –
Mai più sarà se stesso...
- Oh, compagno, sei afflitto?
- Hai la faccia smarrita!
- Pjetja, sembri un relitto,
Vorresti Katja in vita?
- Oh, compagni, ricordate,
Quella pupa io l’amavo...
Notti buie, ubriache
Con la pupa io passavo...
- Con lo sguardo provocava,
Eran fuochi i suoi occhi,
Sulla spalla che mostrava
C’era un neo coi fiocchi!
Dietro a lei, povero me,
Mi son perso... ahimé, ahimé!
- Cane, vuoi sonare l’organetto,
Pjetja, sei forse una donnetta?
- O forse vuoi sputare
Tutto ciò che hai nel petto?
- Controllati!
- Sta’ dritto!
- Più nessuno ormai, fratello,
I tuoi mali curerà!
Oggi più grave è il fardello
Che ciascuno porterà!
E Pjetja ha rallentato,
Or più non s’affretta...
La testa ha sollevato,
Or di nuovo sembra lieto...
Eh, eh!
Goder non è peccato!
Serrate ben le porte,
Verran saccheggi e morte!
Aprite la botte -
Gli straccioni vanno a frotte!

8
Oh tu, amara sventura!
Noia mesta,
Funesta!
Il tempo
Passerò, passerò...
La testa
Gratterò, gratterò...
I semi
Sguscerò, sguscerò...
Il coltello
Userò, userò!...
Vola, passerotto borghese!
Il sangue voglio bere
Per la mia bella,
Per le ciglia nere...
Pace, Signore, per l’anima della tua schiava...
Noia!

9
Tace la voce della città,
Il gendarme più non cammina,
Tace la torre sulla Nevà -
Non c’è più vino in cantina!

Un borghese sta al bivio,
Cela il naso nel colletto.
Un pelo irsuto lo strofina –
E’ un mite cane reietto.
Come quel cane è affamato,
Tace, non fa domande.
Come quel cane, il vecchio mondo
Ha la coda tra le gambe.

10
E’ scoppiata la tempesta,
Ovunque sconquasso!
Non distingui più una testa
A distanza d’un passo!
Di neve un grande anello,
Di neve un mulinello...
- Gesù mio, che bufera!
- Pjetja, parla seriamente!
Da cosa t’ha salvato
Quel santume dorato?
Svegliati!
Libera la tua mente -
Di sangue sei macchiato,
Katja t’ha rovinato!
- Il passo sia rivoluzione!
Il nemico è pronto all’azione!
Avanti, avanti ancora,
Chi lavora!

11
...E vanno senza nome di santo
Dodici fanti.
Decisi sono a tutto,
Senza rimpianti...
D’acciaio l’armamento
Pel nemico nell’ombra...
I vicoli di pianto
La bufera inonda...
Nel soffice manto -
Lo stivale affonda...
Negli occhi ondeggia
Una bandiera.
S’odon passi
Nella sera.
Si desterà
Il feroce nemico...
La tormenta li inghiotte
Giorno e notte
Senza tregua...
Avanti ancora,
Chi lavora!

12
...Vanno con passo gagliardo...
- Esci dalla tua tana! -
Davanti - un rosso stendardo,
Infuria la tramontana...
Davanti - un cumulo gelato,
- Chi va là? Fuori, carogna!...
E’ solo un cane affamato
Che si gratta la rogna...
- Passa via, cane immondo,
O il mio ferro proverai!
Ti somiglia il vecchio mondo,
Passa via o perirai!
...Mostri i denti per la fame,
La tua coda nascondi,
Solo al mondo, senza pane...
- Chi va là? Ehi, rispondi!
- Chi è che regge lo stendardo?
- Oh, il cielo com’è scuro!
- S’ode un passo codardo,
Si cela dietro un muro.
- Fuggire ora che vale?
Meglio vivo restare!
- Ehi, compagno, finirai male,
Mi costringi a sparare!
Tra-ta-ta! – L’eco soltanto
Dalle case risponde...
La bufera ride intanto
Tra le candide sponde...
Tra-ta-ta!
Tra-ta-ta...
...E vanno con passo gagliardo,
Dietro - un cane affamato,
Davanti - con lo stendardo
Di sangue imbrattato,
Dai proietti risparmiato,
Con passo dolce e lieve
Tra mille perle di neve,
Il capo ornato di cisto -
Chi li guida? - Gesù Cristo.

Aleksandr Blok (1880-1921)

 

Un fatto al giorno

7 agosto 1427: battaglia navale di Polesine. La flotta viscontea è distrutta dai veneziani sul Po. Questa fiera battaglia sul Po durò dalle tredici ore fino alle ventidue. La battaglia navale di Francesco Bembo fu rappresentata da Palma il Giovine nel palazzo Ducale di Venezia, nella Sala del Maggior Consiglio. Nell’articolo “Navigazione e battaglie navali sul Po” che il mensile “Cremona” aveva pubblicato nell’edizione dell’aprile 1929, si precisa: “(...) Nel 1427 i Veneziani gelosi della potenza del Duca di Milano, Filippo Maria Visconti, con 46 galere sul Po e milizia di terra minacciano Cremona e i viscontei. Francesco Bembo, ammiraglio della Repubblica Veneta giunto sul Po avanti Cremona, rompe la flotta ducale, incendia il ponte e passa oltre; risalendo il fiume s’impadronisce di Castelnuovo e per la foce dell’Adda prosegue giungendo a Pizzighettone che prende d’assalto e di cui si impossessa. Ridiscendendo poi il fiume, giunge sotto Pavia, ne incendia i mulini sul Ticino, costringendo il Duca alla pace”.

 

Una frase al giorno

“Se, come quasi sempre accade, la musica sembra esprimere qualcosa, questa è soltanto un'illusione”.

(Igor' Fëdorovič Stravinskij, 1882-1971, compositore russo. Da "Cronache della mia vita")

 

Un brano al giorno

Mina e Fabrizio De Andrè: “La canzone di Marinella” 

Mina

"La canzone di Marinella" (1964) ha una storia che merita di esser narrata. L'ispirazione pare sia scaturita da una notizia di cronaca: una prostituta sedicenne gettata nella Bormida da un criminale. La crudezza della vicenda è trasfigurata dall'artista in una favola delicata e struggente: nasce, così, il primo brano suo maturo, dove musica e testo delineano i tratti di una malinconica ballata popolare. Incisa dapprima nel '64 da De André, la canzone passa inosservata. Deluso da questa e da altri insuccessi professionali, Fabrizio medita di far ritorno ai propri studi di giurisprudenza, ma ecco che Mina lancia nel 1968 la sua versione del pezzo, che ottiene grande successo.

"La canzone di Marinella" viene ripresa da De André, con varie cose del passato ("La ballata dell'eroe", "Amore che vieni, amore che vai", "La ballata del Michè") e varie nuove ("Il testamento, "Il gorilla"; quest'ultima, da Brassens) in "Volume III" (1968). Tra le tante interpretazioni ultime spicca quella che, proprio in duetto con Mina, De André proporrà nel 1997 e che si trova nella raccolta "M'innamoravo di tutto".

A proposito del suo duetto con Mina, Fabrizio De André dichiarò in un'intervista a Vincenzo Mollica: "Ci vuole proprio un bel coraggio a cantare con Mina "La canzone di Marinella", perché la sua voce è un miracolo. Credo che lei sia nata con la musica nel dna, è come se avesse avuto una memoria prenatale della musica. Questo è un fenomeno tipico della genialità: quello di sapere prima di conoscere. Te ne accorgi quando la senti cantare perché le sue evoluzioni vocali, le picchiate, i glissati, i grappoli di note in brevissimi intervalli di tempo, le svisature della melodia sono assolutamente spontanee".

La canzone di Marinella

Questa di Marinella è la storia vera
che scivolò nel fiume a primavera
ma il vento che la vide così bella
dal fiume la portò sopra a una stella

Sola senza il ricordo di un dolore
vivevi senza il sogno di un amore
ma un re senza corona e senza scorta
bussò tre volte un giorno alla tua porta

Bianco come la luna il suo cappello
come l'amore rosso il suo mantello
tu lo seguisti senza una ragione
come un ragazzo segue un aquilone

E c'era il sole e avevi gli occhi belli
lui ti baciò le labbra ed i capelli
c'era la luna e avevi gli occhi stanchi
lui pose la mano sui tuoi fianchi

Furono baci furono sorrisi
poi furono soltanto i fiordalisi
che videro con gli occhi delle stelle
fremere al vento e ai baci la tua pelle

Dicono poi che mentre ritornavi
nel fiume chissà come scivolavi
e lui che non ti volle creder morta
bussò cent'anni ancora alla tua porta

Questa è la tua canzone, Marinella,
che sei volata in cielo su una stella
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno , come le rose

e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno come le rose.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k