“L’amico del popolo”, 8 marzo 2019

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno III. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

Per ricordare una grande attrice Louise Beavers (8 marzo 1902 - 26 ottobre 1962) abbiamo scelto il suo film d’esordio.

UNCLE TOM'S CABIN (La capanna dello zio Tom, USA, 1927) diretto da Harry A. Pollard. Prodotto da Carl Laemmle. Scritto da Harvey F. Thew, A. P. Younger, Walter Anthony. Basato su Uncle Tom's Cabin di Harriett Beecher Stowe. Musiche di Erno Rapee, Hugo Riesenfeld (riedizione del 1928 a Movietone). Fotografia di Charles Stumar. Jacob Kull. A cura di Gilmore Walker, Daniel Mandell, Byron Robinson, Ted Kent. Cast: Margarita Fischer - Eliza. James B. Lowe - Zio Tom. Arthur Edmund Carewe - George Harris. George Siegmann - Simon Legree. Eulalie Jensen - Cassie. Mona Ray - Topsy. Virginia Grey - Eva St. Clare. Lassie Lou Ahern - Little Harry. Lucien Littlefield - Avvocato Marks. Adolph Milar - Mr. Tom Haley. J. Gordon Russell - Tom Loker. Gertrude Howard - Zia Chloe, moglie dello zio Tom. Jack Mower - Mr. Shelby. Vivien Oakland - Signora Shelby. John Roche - Augustine St. Clare. Gertrude Astor - Signora St. Clare. Matthew Beard - bambino. Louise Beavers - schiava al matrimonio.

La trama del libro “La vicenda si svolge dapprima nel Kentucky, prima dell'abolizione della schiavitù, dove un proprietario di schiavi ricco di umanità, Arthur Shelby, è costretto a vendere ad Haley, un mercante di schiavi dall'animo crudele, due neri della sua servitù. Si tratta dello zio Tom, il suo fidato braccio destro, e di Harry, un bambino di soli cinque anni figlio di Eliza e George Harris, mulatti. Eliza riesce a fuggire con il figlioletto dopo aver attraversato l'Ohio gelato e, malgrado il nuovo padrone dia l'incarico a due loschi individui di catturarla, riesce a mettersi in salvo presso una colonia di Quaccheri accolta dalla famiglia Bird che aveva da poco perso il figlio e in seguito, raggiunta dal marito che era fuggito al suo padrone, andrà a vivere in Canada dove inizieranno una vita nuova e libera.
Tom invece sceglie di rimanere perché ama il suo padrone e comprende che la decisione di venderlo era stata dettata dalla necessità. Dopo aver salutato con grande dolore la moglie Chloe e i figli si lascia mettere le catene e, senza ribellarsi, essendo cristiano e convinto della non-violenza, segue il nuovo padrone.
"No, - disse, - non me ne vado. Vada Eliza è giusto, non sarò io a dire di no, ma hai sentito che ha detto? Se non vende me, dovrà vendere tutti gli altri e tutto andrà in rovina... Il padrone mi ha sempre trovato al mio posto, e sempre mi ci troverà.".
George Shelby, il figlio tredicenne gli promette che un giorno andrà a cercarlo e lo libererà. Tom viene imbarcato su un piroscafo con il mercante di schiavi e, grazie al suo carattere docile, viene liberato dalle catene. Sul piroscafo viaggia anche la piccola Eva St. Claire, che si affeziona a Tom, e suo padre, Augustine, un proprietario terriero della Louisiana. Un giorno la piccola Eva stava appoggiata al parapetto della nave con il padre, quando, a causa di un improvviso e brusco movimento, perde l'equilibrio e cade in acqua. Tom, gettatosi prontamente riesce a salvarla e così il padre, riconoscente, lo compra. Ma Eva muore e mentre Augustine si appresta a preparare i documenti per ridare la libertà a Tom, viene colpito in una rissa, mentre cerca di dividere i due litiganti, e perde la vita. Tutti i suoi schiavi vengono venduti e così Tom viene comprato da Simon Legree, un proprietario insensibile e cattivo, che possiede una piantagione di cotone sul Red River. Il nuovo padrone vuole fare di lui un aguzzino e al rifiuto di Tom, che non vuole maltrattare i suoi compagni e ha il coraggio di ribellarsi, lo farà uccidere. George Shelby, che è ormai diventato adulto, riesce a ritrovarlo dopo tante ricerche perché, come aveva promesso, lo vuole comprare per poi riscattarlo ma giunge solamente per raccogliere le parole di amore e perdono di Tom morente. Quando il giovane ritornerà nel Kentucky libererà tutti i suoi schiavi.”

(In it.wikipedia.org)

UNCLE TOM'S CABIN (La capanna dello zio Tom, USA, 1927) diretto da Harry A. Pollard

“Tratto dal romanzo del 1852 di Harriet Beecher Stowe, La capanna dello zio Tom, e dalla pièce del 1853 di George L. Aiken e prodotto dalla World prima che gli Shubert ricapitalizzassero la società trasformandola in una casa di distribuzione di film a cinque rulli sul modello della Paramount Pictures di Hodkinson, è questo il primo lungometraggio tratto dal classico della letteratura e del teatro (in precedenza c'erano state almeno altre sei versioni da 1 a 3 rulli di durata). Il film si distingue in particolare per l'interpretazione di Sam Lucas nei panni dello zio Tom - probabilmente la prima parte da protagonista affidata a un afroamericano nella storia del cinema statunitense. Sam Lucas (1848-1921) - in origine autore di canzoni, compositore e cantante - viene spesso considerato come un precursore di Scott Joplin nel campo della musica afroamericana. La sua carriera teatrale inizia negli anni '70 dell'Ottocento, quando i minstrel show, ormai non più appannaggio esclusivo di attori bianchi con la faccia tinta di nero, cominciarono ad essere interpretati anche dagli artisti afroamericani. Lucas, che in seguito passò a ruoli di attore drammatico e di cantante, aveva già rivestito i panni dello zio Tom sulle scene teatrali agli inizi degli anni '80 (era, presumibilmente, la prima volta che un attore nero recitava in quel ruolo). Il film si avvale della splendida fotografia del giovane Irvin Willat, il quale vi fa anche una breve apparizione, nel ruolo di George Shelby Jr. da adulto. Gran parte di Uncle Tom's Cabin venne girato in esterni, e la scena in cui Eliza Harris fugge attraversando il fiume Ohio mezzo ghiacciato sembra anticipare il climax di Way Down East (Agonia sui ghiacci, 1920) di Griffith. È interessante notare come nel film, discostandosi in ciò sia dal romanzo che dalla tradizione teatrale, Simon Legree rimanga ucciso dai colpi d'arma da fuoco di uno dei suoi schiavi (ma già in alcune precedenti versioni per il palcoscenico, Legree moriva avvelenato da Cassy). Nel 1927, approfittando della campagna pubblicitaria promossa dalla Paramount per lanciare una nuova versione di Uncle Tom's Cabin diretta da Harry Pollard, il film venne ridistribuito con un montaggio diverso. La copia presentata alle Giornate combina i migliori materiali del BFI con quelli della Library of Congress - si tratta di copie ricavate dall'edizione del 1914 (contrariamente alla versione video che ha ampiamente circolato negli USA). Del film esistono anche altre varianti con alcune scene in più, che non è però possibile proporre quest'anno. Due delle suddette scene includono la morte di St. Clare e l'asta pubblica in cui Tom e Emmeline sono venduti a Simon Legree (l'unica copia da me visionata che includa questa seconda scena e al contempo più di un frammento della prima è un 16mm ricavato dalla riedizione del 1927 e conservato presso la Cinémathèque française). Il restauro di questo film dovrebbe essere d'obbligo visto l'ormai prossimo 150° anniversario dalla data di pubblicazione del romanzo.”

(In www.cinetecadelfriuli.org)

UNCLE TOM'S CABIN (La capanna dello zio Tom, USA, 1927) diretto da Harry A. Pollard

 

Una poesia al giorno

Respiro, di Antonia Pozzi

Abbandono notturno
sul masso
al limite della pineta
e il tuo strumento fanciullesco
lentamente
a dire
che una stella
due stelle
sono nate
dal grembo del nevaio
ed un’altra sprofonda
dove la roccia è nera -

ed un lume va solo
sul ciglio del ghiacciaio
più grande di una stella
più fioco -
forse la lampada di un pastore -
la lampada di un uomo vivo
sul monte -
colloquio intraducibile
del tuo strumento
col lume dell’uomo vivo -

ascesa inesorabile dell’anima
di là dal sonno -
di là dal nero informe
stupore delle cose -

abbandono notturno
sul masso
al limite della pineta -

Breil (Pasturo), 13 agosto 1933

Antonia Pozzi (Milano, 13 febbraio 1912 - Milano, 3 dicembre 1938)

Antonia Pozzi (Milano, 13 febbraio 1912 - Milano, 3 dicembre 1938) è stata una poetessa italiana.
Dopo il suo suicidio fu pubblicato il diario poetico Parole (1939), composto a partire dai diciassette anni, che riflette un'amara e inquieta sensibilità e in cui si avverte l'influsso della lirica di Rilke. Tra le altre pubblicazioni postume: La vita sognata e altre poesie inedite (1986); L'età delle parole è finita. Lettere 1927-38 (1989); Canto segreto (1992).”

Treccani tutto qui! Per la più grande poetessa italiana, colpevole di essere stata lontana dal potere mediatico di Roma...

 

Un fatto al giorno

8 marzo 1702: Anna Stuart (Londra, 6 febbraio 1665 - Londra, 1 agosto 1714) divenne regina di Inghilterra, Scozia e Irlanda l'8 marzo 1702.

Anna Stuart (Londra, 6 febbraio 1665 - Londra, 1 agosto 1714) divenne regina di Inghilterra, Scozia e Irlanda l'8 marzo 1702“ANNA Stuart, regina d'Inghilterra, secondogenita di Giacomo, duca di York (poi Giacomo II) e di Anna Hyde, nacque il 16 febbraio 1665. La madre morì quando ella era ancora bambina; e nel 1673 Giacomo sposò Maria di Modena, per la quale Anna concepì un'avversione che influì grandemente sulla sua condotta nella crisi del 1688. Dopo aver peregrinato con la famiglia fra l'Olanda e la Scozia, negli anni 1678-1681, A. sposò, nel 1683, Giorgio di Danimarca: matrimonio impopolare, perché si sospettò dovuto ad influenze francesi, ma felice per A., la quale poté finalmente trovare libero sfogo alla sua affettività. Costituiva questa insieme con l'ostinazione, il tratto fondamentale e caratteristico di A., simile in ciò al nonno Carlo I. Le sue simpatie e antipatie, mantenute con tenacia e basate più sull'istinto che sul ragionamento, ebbero importanti conseguenze, poiché ella se ne lasciò dominare anche nel campo politico, sacrificando loro e la convenienza politica e il suo stesso benessere...
...L'8 marzo 1702 moriva Guglielmo III ed Anna gli succedeva. Rimase sul trono dodici anni, che segnarono un momento glorioso nella storia d'Inghilterra: non tanto per le qualità personali della regina, quanto per gli eventi politici che in quel periodo diedero inizio al predominio inglese sull'Europa e, nell'interno del regno, aprirono la via a nuovi svolgimenti costituzionali e politici; e inoltre, per la intensa vita culturale che fiorì allora in Inghilterra e che permise a questa nazione di esercitare una così profonda influenza sullo sviluppo spirituale dell'Europa, nella prima metà del '700. In quegli anni, da una parte, l'Inghilterra combatteva contro la Francia nella guerra di successione di Spagna, ricevendone, infine, grandissimi vantaggi, materiali e morali. Dall'altra, si sistemò la questione dei rapporti con la Scozia...
...La parte della vita inglese di quel tempo più direttamente collegata con l'azione personale di A. è però quella dei rapporti politici e costituzionali interni...
...Anna morì il 1° agosto, di domenica, la mattina presto, finalmente salva dagli intrighi politici: semplice e scialba donna, il cui solo fascino consisteva nella voce dolce e nelle mani adorabili, ella restò fuori dalla meravigliosa vita scientifica e letteraria del suo tempo, ma fu, più che alcun altro Stuart, all'unisono con la massa della nazione inglese.”

(Articolo completo di Florence M. G. Higham - Enciclopedia Italiana, 1929, in www.treccani.it)

Immagini:

Anna Stuart è la protagonista del film "La Favorita", del regista greco Yorgos Lanthimos, che racconta la vita dell'ultima monarca della casata scozzese, interpretata da Olivia Colman, che per questo ruolo ha vinto l'Oscar 2019 come miglior attrice protagonista e la Coppa Volpi alla Mostra del cinema di Venezia.

La favorita. Regia di Yorgos Lanthimos. Grecia, 2018

 

Una frase al giorno

“Le donne devono fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini per essere giudicate brave la metà. Per fortuna non è difficile”

(Charlotte Elizabeth Whitton, 8 marzo 1896 - 25 gennaio 1975, fu una femminista canadese e sindaco di Ottawa. Fu la prima donna sindaco di una grande città in Canada, dal 1951 al 1956 e ancora dal 1960 al 1964).

Charlotte Elizabeth Whitton, 8 marzo 1896 - 25 gennaio 1975, fu una femminista canadese e sindaco di Ottawa

“Oggi festa internazionale della donna, diventa quasi d’obbligo ricordare Charlotte Whitton che proprio l’8 marzo del 1896 nasceva ad Ottawa in Canada. La sua figura di donna decisa e di temperamento, campionessa di Hockey ai tempi dell’università è indissolubilmente legata ad un primato con i fiocchi: la Whitton infatti fu la prima donna della storia ad essere eletta sindaco di una città grande ed importante come Ottawa. Nota anche per le sue battute fulminanti con cui invariabilmente stendeva i suoi avversari politici, Charlotte Whitton visse buona parte della sua vita accanto alla compagna, Margaret Grier. Una relazione di cui sopravvive una toccantissimo carteggio, reso pubblico per la prima volta solo alcuni anni fa.”

(In www.queerblog.it)

Charlotte Elizabeth Whitton, 8 marzo 1896 - 25 gennaio 1975, sindaco di Ottawa“Nella nostra contemporaneità si è soliti assistere a un dibattito che oscilla tra 'qualche diritto ottenuto' e ostentato con orgoglio, e una quotidianità che ci racconta di stalking, gelosie omicide, dimissioni in bianco e utilizzo del corpo come merce di scambio. Da figli di una cultura patriarcale, ci stiamo via via abituando a sentir "più nostri" concetti come "pari opportunità" e "differenze di genere". Il linguaggio acquisisce così, nella sua dimensione più ampia, un ruolo fondamentale nella costruzione del progresso: la donna, pur spesso inserita a pieno titolo nel mondo del lavoro, è relegata, poiché madre e moglie, a un ambito “di cura”, di tutela dell’altro e, pertanto, allontanata da molti ruoli apicali. Alla copiosa fruizione di parole nei "discorsi al maschile", si contrappone l'esiguità di testimonianze dirette. Charlotte Whitton, con l'aforisma “Le donne devono fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini per essere giudicate brave la metà. Per fortuna non è difficile.”, ci restituisce il senso di una realtà più che mai attuale. La (auto)rappresentazione stessa della donna, difatti, l'ha costretta a spendersi oltre misura per conquistare ciò che, riscoprendo un barlume di buon senso, le sarebbe dovuto spettare di diritto: uguali condizioni di partenza e medesime prospettive di arrivo del "maschio".
(In www.florianamastandrea.it)

 

Un brano musicale al giorno

Sofia Gubaidulina - String Quartet No. 1

Quatuor Molinari Membri: Frédéric Bednarz, Olga Ranzenhofer, Frédéric Lambert, Pierre-alain bouvrette

Sofija Asgatovna Gubajdulina (Čistopol', 24 ottobre 1931)

Sofija Asgatovna Gubajdulina (in russo: София Асгатовна Губайдулина?; Čistopol', 24 ottobre 1931) è una musicista e compositrice russa. Compone musica stocastica. Gubajdulina nacque a Čistopol', nella repubblica russa del Tatarstan, all'epoca in Unione Sovietica. Studiò pianoforte e composizione al Conservatorio di Kazan', diplomandosi nel 1954. A Mosca intraprese ulteriori studi al Conservatorio con Nikolaj Pejko fino 1959, e poi con Šebalin fino al 1963. Durante i suoi studi nell'URSS la sua musica fu etichettata come "irresponsabile" per le sue esplorazioni alternative. Fu sostenuta da Dmitrij Šostakovič il quale, valutando il suo esame finale la incoraggiò a continuare per la sua "cattiva strada".

«La generazione precedente, se scriveva cose che non piacevano al regime, poteva finire in prigione; è stata una generazione molto infelice quella di Shostakovich. Io, insieme ad altri sei, ero nella black list, ma la cosa non mi preoccupava, componevo liberamente, senza commissioni. Non si era eseguiti, ma non era pericoloso; per esprimersi bastava ricorrere al cinema, come ho fatto io. Oppure si poteva andare in America. La censura era su di noi, non sui pezzi: i servizi segreti non sapevano leggere le partiture, quindi non potevano valutare come facevano coi libri.»

Allora, nonostante tutto, le fu permesso di esprimere il suo modernismo in numerose partiture composte per documentari, includenti la produzione del 1968, On Submarine Scooters, un film a 70 mm.

A metà degli anni Settanta Gubajdulina fondò Astreja, un gruppo di improvvisazione strumentale folcloristico, assieme ai compositori Viktor Suslin e Vjačeslav Artëmov. Nel 1979 fu messa nella lista nera perché appartenente al gruppo di musicisti "I sette di Khrennikov" al VI Congresso dei compositori dell'Unione delle Repubbliche sovietiche a causa della partecipazione in alcuni festival disapprovati dal regime.

All'inizio del 1980 Gubajdulina acquisì notorietà all'estero grazie al violinista Gidon Kremer che eseguì il suo concerto per violino e orchestra Offertorium. In seguito compose un Omaggio a T. S. Eliot, usando il testo del capolavoro spirituale del poeta Four Quartets.

Nel 2000 Sofija Gubajdulina, ottenne con Tan Dun, Osvaldo Golijov, e Wolfgang Rihm, la commissione da parte dell'Internationale Bachakademie Stuttgart di una Passione - ogni compositore ha usato testi tratti da uno dei 4 vangeli - per la commemorazione di Johann Sebastian Bach.

La sua musica è caratterizzata dall'uso di inusuali combinazioni strumentistiche. Nel brano In Erwartung, usa una combinazione formata da strumenti a percussione con un quartetto di saxofoni; ha inoltre scritto pezzi per koto e orchestra e tre raccolte per domra e pianoforte su temi popolari tatari.

Sofija Asgatovna Gubajdulina (Čistopol', 24 ottobre 1931)

Importante, nella concezione musicale di Gubaidulina, l'aspetto simbolico: secondo la compositrice «Il simbolo di per se stesso è un fenomeno vivo [...]. Cosa vuol dire simbolo? Secondo me la massima concentrazione di significati, la rappresentazione di tante idee che esistono anche fuori della nostra coscienza e il momento in cui questa apparizione si produce nel mondo: questo è il momento di fuoco della sua esistenza, perché le molteplici radici che si trovano al di là della coscienza umana si manifestano anche attraverso un solo gesto.»
Questa componente simbolica si riscontra in numerosi lavori a diversi livelli: nel "gesto" - il primo movimento della sonata per violino e violoncello Gioisci è basata sul passaggio tra suono reale e suono armonico relativo eseguito riducendo la pressione del dito sinistro sulla corda, in un movimento ascendente di trasmutazione del timbro che simboleggia la gioia -, nella "personificazione" degli strumenti - nell'opera Sette parole il violoncello rappresenta la vittima, il Dio-figlio, la fisarmonica è il Dio-padre e gli archi rappresentano lo Spirito Santo - o altri parametri, quali tessitura, modo d'esecuzione o scale adottate - nel brano In croce per violoncello e organo il simbolo della croce è rappresentato dallo scambio reciproco dei parametri (registro alto/registro basso, legato/staccato, diatonismo/microcromatismo) nelle parti degli strumenti; nel concerto per violino Offertorium il tema regio, utilizzato nell'Offerta Musicale da Bach, viene esposto completamente nell'incipit, per poi ritornare regolarmente sempre più ridotto, offrendo simbolicamente via via sempre più note fino a sparire.

All'inizio degli anni Ottanta Gubaidulina cominciò ad usare la successione di Fibonacci per strutturare la forma delle sue opere - ad esempio nella Sinfonia "Stimmen... Verstummen...", in Perception, nel pezzo per percussioni All'inizio era il ritmo, nel coro Omaggio a Marina Cvetaeva, nel trio Quasi hoquetus, nella sonata Et exspecto ed altre. La compositrice ha fatto ricorso alla serie di Fibonacci quale regola per organizzare unicamente il ritmo, generale e particolare, delle sue opere:
«La Sezione Aurea è stata impiegata [...] in due sensi: nella struttura intervallare e in quella ritmica. Delle due a me interessa particolarmente la seconda. Se si interpreta la struttura intervallare con le cifre occorre prendere il semitono come unità di misura. Nell'intervallo da Do a Mi bemolle, per esempio, abbiamo tre semitoni, dal Sol al Do ne abbiamo invece cinque, [...] e se consideriamo l'intervallo Sol-Mi bemolle abbiamo otto semitoni. Certamente i numeri 3-5-8, e quindi anche gli intervalli che essi rappresentano, sono disposti in una sequenza che è quella della serie di Fibonacci. Ma su questo tipo di applicazione io ho alcuni dubbi, perché gli intervalli in questione sono considerati all'interno del sistema temperato, [...] un sistema artificiale. La serie di Fibonacci si applica invece al sistema del mondo, in una parola a quella natura che viene violata dall'artificio del sistema temperato. L'uso della serie di Fibonacci nel sistema ritmico mi sembra invece giusto e naturale perché il ritmo è legato alla naturalità del nostro respiro.»

(Articolo completo in it.wikipedia.org)

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k