L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno III. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
浪華悲歌 NANIWA EREJII (Osaka Elegy, Elegia di Osaka, Giappone, 1936), regia di Kenji Mizoguchi. Produzione: Masaichi Nagata. Sceneggiatura: Kenji Mizoguchi, Yoshikata Yoda. Musica: Kōichi Takagi. Fotografia: Minoru Miki. Montaggio: Tatsuko Sakane. Cast: Isuzu Yamada, Yoko Umemura, Chiyoko Okura, Shinpachiro Asaka, Benkei Shiganoya, Eitarō Shindō, Kunio Tamura, Seiichii Takekawa, Kensaku Hara, Takashi Shimura.
Ayako Murai (Isuzu Yamada) è una giovane donna che lavora come operatrice telefonica per la ditta farmaceutica Asai, nella Osaka del 1930. Per pagare i debiti di suo padre, disoccupato e minacciato di arresto per non aver restituito un prestito di 300 ¥, lei accetta di diventare l'amante del suo datore di lavoro. Dopo aver pagato i debiti di suo padre, la relazione col signor Asai viene interrotta a causa della gelosia della moglie di quest'ultimo, Sonosuke, la quale dopo aver scoperto la tresca per colpa di un errore del dr. Yoko, vieta categoricamente a suo marito di vedersi nuovamente con la sua amante.
Tuttavia Ayako, nel tentativo di contribuire a pagare le tasse universitarie del fratello Hiroshi, nel frattempo tornato a casa da Tokyo per chiedere a suo padre 200 ¥ per l'ultima rata prima di laurearsi, continua a fare l'amante mantenuta a spese di un altro ammiratore della ditta, il signor Fujino. Ma quando tenta di ingannare quest'ultimo, provando ad ottenere una cifra abbastanza alta da permettergli di sposare il suo fidanzato Nishimura, egli chiama la polizia e la coppia viene arrestata per adescamento.
Dopo essere stati portati alla stazione di polizia, Nishimura, innocente, viene rilasciato mentre le accuse a carico di Ayako vengono fatte cadere dopo le scuse di questa. Viene chiamato il padre che va a prendere Ayako in caserma, ma al ritorno a casa lei è ostracizzata dalla famiglia ed è costretta a lasciare la casa.
"Kenji Mizoguchi è partito dai suoi precedenti film sentimentali in un mondo di acuto realismo con Osaka Elegy. Criticamente, analizzando la posizione delle donne nella società giapponese contemporanea, il film esamina la discesa verso la prostituzione di una giovane donna. Insieme, la direzione di Mizoguchi e la potente performance di Isuzu Yamada creano una poesia triste e senza tempo."
(Articolo completo in en.wikipedia.org)
- Il film: Osaka Elegy / 浪華悲歌 (1936) (EN/BR/ES)
5 febbraio 1917: nasce Isuzu Yamada, attrice giapponese, morta nel 2012, una delle mie attrici cult!
(Articolo completo in en.wikipedia.org)
Il 5 febbraio 1919 Charlie Chaplin, Mary Pickford, Douglas Fairbanks, and D. W. Griffith fondano la United Artists, compagnia statunitense di produzione e distribuzione cinematografica.
Una poesia al giorno
La sorgente, di Johan Ludvig Runeberg (dalla raccolta Dikter II, 1833. Traduzione di Piero Pollesello in www.casatea.com)
O sorgente, siedo alle tue rive
e guardo come il corteo di nuvole,
guidate da mano invisibile,
si riflette nelle tue onde tremule.
Ecco, una nube appare e si infiamma rossa
come il sorriso di un bocciolo di rosa.
Ma, addio! Così presto mi dice addio
per non tornare più.
Un’altra ne vedo arrivare
ancora più rilucente e bella!
Oh, se ne va anche questa, altrettanto in fretta,
e, volubile, sparisce
E ancora una! Ma questa non vuole andarsene
e segue lenta il suo corso;
o sorgente, ora il cielo è scuro
e la sua ombra ti rabbuia
Quando ti vedo così, o sorgente
penso alla mia anima:
a quanti cieli dorati
ha dovuto dire addio,
a quanti cieli pesanti e tristi
hanno gettato su di te una notte fonda,
e sono venuti all'improvviso,
ma se ne sono andati così lentamente.
E anche se lo so bene
come se ne siano venuti o andati,
so che sono solo stati cieli vuoti
che si riflettevano nella mia anima.
La luce e le ombre del tuo specchio d’acque
hanno dipeso da essi! -
o sorgente, quando finirà questo gioco?
quando le tue acque avranno pace?
Johan Ludvig Runeberg (Jakobstad, 5 febbraio 1804 - Porvoo, 6 maggio 1877) è stato un poeta e scrittore finlandese di lingua svedese, considerato il poeta nazionale della Finlandia.
Runeberg studiò prima nelle città di Vaasa e Oulu, poi alla Reale Accademia di Åbo, dove divenne amico di Johan Vilhelm Snellman e Zacharias Topelius. I suoi studi vertevano principalmente sui classici latini e greci.
Molti dei suoi poemi parlano della vita rurale in Finlandia. Il più famoso di essi è Bonden Paavo ("il contadino Paavo", Saarijärven Paavo in finlandese), che parla di un piccolo proprietario terriero del povero villaggio di Saarijärvi e della sua determinazione e fede incrollabile nella provvidenza di fronte ad un clima rigido e ad anni di pessimi raccolti. È costretto ad aggiungere due parti di corteccia nel pane per evitare di morire di fame e condivide il poco che ha con i suoi vicini.
L'opera più conosciuta di Runeberg è Fänrik Ståls sägner ("Le storie dell'alfiere Stål"), Vänrikki Stoolin tarinat in finlandese, scritta tra il 1848 e il 1860. Viene considerato il più importante poema epico finlandese dopo il Kalevala. Narra della Guerra di Finlandia del 1808-09 contro la Russia. Nella guerra la Svezia perse la Finlandia, che diventò un Granducato dell'Impero Russo. Il poema che è composto da episodi, enfatizza la comune umanità di entrambe le parti in conflitto, lodando in particolare l'eroismo dei finnici. La poesia che apre l'opera, Vårt land, ("La nostra Terra"), Maamme in finlandese, diventò l'inno nazionale finlandese. Runeberg viene celebrato il 5 febbraio di ogni anno.”
(In it.wikipedia.org)
“Il runebergintorttu (runebergstårta in svedese, letteralmente "torta di Runeberg") è un dolce tradizionale finlandese delle dimensioni di un pasticcino, insaporito con mandorle e rum e farcito con marmellata di lampone o fragola in un anello di zucchero. Pesa circa 100 grammi. Il dolce prende il nome dal poeta finlandese Johan Ludvig Runeberg al quale, secondo la leggenda, sarebbe piaciuto mangiare il pasticcino accompagnato dal liquore svedese punsch. È tipicamente mangiato in Finlandia e preparato tradizionalmente da gennaio fino al giorno in cui si festeggia il compleanno di Runeberg, il 5 febbraio.”
(In it.wikipedia.org)
5 febbraio 1804 nasce Johan Ludvig Runeberg, poeta e scrittore finlandese, morto nel 1877.
Un fatto al giorno
5 febbraio 756: An Lushan, leader di una rivolta contro la dinastia Tang, si dichiara imperatore e stabilisce lo stato di Yan.
“An Lushan (安禄山, pinyin: Ān Lùshān; Sogdiana, c. 703 - Luoyang, 29 gennaio 757) fu un generale della dinastia Tang ed è principalmente noto per aver scatenato la ribellione di An Lushan che da lui prende il nome. An Lushan era di origini sogdiane e göktürk, almeno per via adottiva. La sua importanza in ambito militare crebbe difendendo i confini nord-orientali dei Tang da minacce come i Khitan. Veniva convocato alla capitale Chang'an varie volte e riuscì a guadagnare favori col Primo Ministro Li Linfu e l'imperatore Tang Xuanzong. Ciò permise ad An Lushan di accumulare nelle proprie mani un notevole potere militare nel nord-est della Cina. Dopo la morte di Li Linfu, la sua rivalità col generale Geshu Han e col Primo Ministro Yang Guozhong fomentò tensioni militari all'interno dell'impero.
Nel 755, An Lushan, dopo 8 o 9 anni di preparazione, insorse proclamandosi il sovrano di una nuova dinastia, gli Yan. Temendo per il suo potere e la sua vita, il condottiero rifiutò l'invito e agì per primo: proclamando pubblicamente di voler agire in base ad un falso editto segreto dell'imperatore che deponeva Yang Guozhong, il 16 dicembre del 755 marciò con il suo esercito sulla capitale. Era iniziata la ribellione, passata alla storia in Cina come Ribellione di Tianbao, per essere cominciata nel quattordicesimo anno dell'Era Tianbao della Dinastia Tang. La sua armata era composta da 150.000 uomini, in gran parte di etnia turca e mongola, che marciava 30 km al giorno, avanzando di notte e riposando di giorno. An Lushan con il tempo era diventato talmente obeso da dover essere trasportato su una portantina di ferro, era quasi cieco, tanto da dover essere accompagnato da due consiglieri quando camminava, e soffriva di una malattia cutanea. Malgrado questo riuscì a giungere al Fiume Giallo l'8 gennaio del 756. Dopo aver attraversato il fiume, i ribelli passarono nel cuore dell'Impero, sgominando un'armata imperiale di 60.000 uomini presso il passo di Hulao, che presidiava la strada per la capitale orientale Luoyang, conquistata senza colpo ferire, perché la guarnigione, appena visto l'esercito ribelle, evacuò la città.
Così, preso possesso della capitale il 19 gennaio, An Lushan decise di proclamarsi direttamente imperatore il 5 febbraio. Commise però un errore, decidendo di indugiare il città, dando così il tempo alla corte imperiale di preparare una linea difensiva lungo il passo di Tungguan, tra le montagne e il Fiume Giallo. Quando finalmente l'usurpatore si rimise in marcia, le difese imperiali del passo erano troppo ben fortificate per poter essere attaccate, quindi dovette rinviare le operazioni a inizio estate, proprio mentre nei territori di An Lushan si verificavano defezioni e ribellioni. Ciò diede al primo ministro cinese Yang Guozhong il coraggio di allestire una controffensiva, con un esercito di 200.000 uomini al comando del generale Genshu Han.
L'avanzata iniziò il 5 luglio, ma fu bloccata due gironi dopo a Ling - Pao dalla cavalleria barbara ribelle, che sorprese l'avanguardia cinese in una stretta gola, dove era impossibile manovrare. Il comandante cinese immise nello scontro la guardia imperiale, ma i ribelli tennero testa e misero in fuga gli avversari. La ritirata dell'avanguardia gettò nel panico l'intera armata cinese, che si diede alla fuga, mentre molti soldati imperiali morirono annegando nel Fiume Giallo. Lo stesso comandante fu catturato e gli insorti poterono così impadronirsi del passo, rimasto sguarnito.
La sconfitta provocò un colpo di Stato a Chang'an, dove l'imperatore fu deposto dal figlio ed erede Su Zong, che fece assassinare il primo ministro e trovò rifugio nel Sichuan, abbandonando la capitale nelle mani di An Lushan. Questi, dopo aver respinto due controffensive imperiali, tentò di attaccare le linee difensive a protezione del fiume Yang-tze, ma senza successo. Questo rappresentò l'inizio della fine: screditato dagli ultimi insuccessi e minato dai suoi mali fisici, che lo avevano reso oltremondo insofferente e feroce, tanto da far mettere a morte ufficiali e soldati per ogni lieve manchevolezza, il 29 gennaio del 757 cadde vittima di una congiura, organizzata dai suoi comandanti con l'aiuto del suo stesso figlio An Quingxu, che lo fece uccidere dal suo eunuco personale a Luoyang, mentre fu fatta circolare la voce che fosse morto per le sue malattie.
La rivolta da lui cominciata ebbe termine sei anni dopo, quando le forze imperiali, debolmente contrastata dal figlio del condottiero cinese (poi messo a morte in quanto istigatore dell'omicidio del padre), ebbero ragione delle forze ribelli, ora guidate da Shi Siming, nel 763. La sua ribellione pose fine alla secolare unità dell'Impero cinese, dando l'avvio ad una parcellizzazione dei poteri e alle forze centrifughe che avrebbero limitato l'estensione imperiale della Cina.”
(Articolo completo in it.wikipedia.org)
“...Le morti a causa della ribellione, e delle carestie conseguenti, vengono stimate in circa 36 milioni di persone quasi quanto le vittime della seconda guerra mondiale, in percentuale molto più alta rispetto alla situazione demografica dell'epoca.”
(Articolo completo in it.wikipedia.org)
Una frase al giorno
«E’ il tuo sindaco che ti parla»
(Ugo Vetere, Reggio Calabria, 23 aprile 1924 - San Martino al Cimino, 2 aprile 2013)
“Un miracolo, dissero. E il megafono non c’entrava affatto. Una mattina di primavera del 1984, uno squilibrato entrò in una scuola media di periferia, freddò il bidello - si chiamava Ernesto Chiovini - e prese in ostaggio una classe.
Roma era impreparata. Erano gli anni di Piombo, certo. Ma una cosa così non s’era mai vista. Pattuglie dei carabinieri attorno all’istituto. La città paralizzata. I notiziari accesi nei negozi e negli uffici. D’un tratto alla scuola si presenta il primo cittadino Ugo Vetere: «Sindaco che ci fa lei qua, è pericoloso...», gli dice qualcuno. Ma lui entra, afferra un megafono e cerca il punto da cui dialogare. Si rivolge allo squilibrato. Quello risponde con grida sconnesse, schegge della sua fragilità, intanto ha l’arma in pugno e i bambini terrorizzati. Silenzio. Poi, all’improvviso: «E’ il tuo sindaco che ti parla, arrenditi!», tuona Vetere.
Non ha l’affettuosa raucedine di Luigi Petroselli, quintessenza di romanità. E neppure il lessico autorevole del piemontese Giulio Carlo Argan. Ma pronuncia una frase magica quanto gli imperativi fiabeschi. «E’ il tuo sindaco che ti parla». Mi riconosci? Ti riconosci? Che ci fai con un’arma in pugno? Roma non lo merita. Arrenditi. E parliamone».
Apriti Sesamo. Poco dopo lo squilibrato uscì con le mani alzate. Come gli aveva chiesto il suo sindaco.”
“Il sindaco galantuomo. Ritratto di Ugo Vetere, di Paolo Boccacci.
Amato e rimpianto, successe a Petroselli, nell'epoca delle prime giunte rosse dopo l'esperienza di Argan. Lavorò con Nicolini, percorse la strada dell'edilizia convenzionata, partecipò alla creazione della seconda università di Roma e venne poi sconfitto alle urne dal democristiano Signorello.
Non era stato facile succedere a quel sindaco mito, Luigi Petroselli, che un giorno aveva preso la vanga e aveva dato il primo colpo per chiudere la zona dei Fori Imperiali alle auto e fare trionfare lì l'archeologia, o che era di casa nelle assemblee dei comitati delle borgate. No, non era stato facile per Ugo Vetere, assessore al Bilancio, una vita da militante del Pci, prenderne il posto.
Ma alla fine lui, i capelli sale e pepe, con la sua normalità appassionata, ce l'aveva fatta. Era l'epoca delle prime giunte rosse, dopo l'esperienza di Argan e di Petroselli, ma nel 1981 Roma ancora soffriva, ancora c'erano da dare i servizi alle vecchie borgate abusive, ancora si combatteva con il caos del traffico, ancora c'era una grande fame di case e c'erano da abbattere le baracche degli ultimi borghetti. E' stata questa la grande sfida di Vetere. Continuare il lavoro, riuscire a fare uscire Roma dall'emergenza continua, dovuta alla crescita informe, a macchia d'olio si diceva, durante le giunte democristiane.
E con passione quel timone lo prese e continuò a portare la nave fuori dalle secche. Erano anche gli anni gloriosi delle Estati Romane, e colpiva il rapporto stretto tra il "normale" Vetere e quel Nicolini, eterno ragazzo, dalle scelte geniali, combattute dall'opposizione che colpiva duro contro l'"effimero". Vetere lo difendeva, come si difende un figlio ribelle e geniale, ma forse magari qualche rabbuffo gli scappava in privato.
Ex partigiano, ex sindacalista, deputato nel '72, senatore nel 1987. E in mezzo l'avventura in Campidoglio. Si occupa dell'ampliamento della metropolitana, dell'edilizia scolastica e degli asili nido, della costruzione dei primi centri per gli anziani. Con Don Luigi Di Liegro si impegna a favore degli ultimi. Diceva sempre: "Sono il sindaco di chi mi ha votato, di chi non mi ha votato e di chi mi ha votato contro". Poi: "Qualcuno semina, altri raccolgono. Ciascuno deve affidarsi alle proprie forze, al proprio cuore, alla propria intelligenza. Poi il raccolto può venire, senza farsi il problema di chi raccoglierà". Irruente, coraggioso, una volta si precipitò in una scuola dove uno squilibrato teneva i ragazzi sotto la minaccia di un fucile. Entrò solo e gli disse: "Sono il tuo sindaco, dammi quell'arma". E quello si arrese. In quegli anni andava così. ...
Con Vetere l'urbanistica trovò la strada dell'edilizia convenzionata, con mega consorzi miscelati accuratamente tra i costruttori romani, le coop rosse e quelle bianche. Qualche polemica ci fu, ma alla fine la casa non era più un'emergenza. Poi ci fu l'avventura difficile della costruzione della seconda università, Tor Vergata, e la giunta incappò anche nel tentativo di Nicoletti, boss della banda della Magliana, di inserirsi nell'affare. Però Vetere superò l'ostacolo.
In ultimo arrivò la sfida, persa, con il dc Signorello, che giocò tutte le sue carte sul degrado della città. Ma dopo Signorello vennero gli scandali della giunta Giubilo, dominata dalla figura dell'allora capo della Dc romana Vittorio Sbardella, e quindi la squadra del sindaco socialista Carraro che fu decimata dagli arresti di Tangentopoli. E tanti a Roma rimpiansero quel sindaco rosso, normale e appassionato. Un sindaco galantuomo.”
(Articolo completo del 3 aprile 2013 in roma.repubblica.it)
5 febbraio 1985: Ugo Vetere, allora sindaco di Roma, e Chedli Klibi, poi il sindaco di Cartagine si incontrano a Tunisi per firmare un trattato di amicizia che pone ufficialmente fine alla Terza guerra punica, durata 2.131 anni!
Un brano musicale al giorno
Jussi Björling - Ah, Si, Ben Mio (1939), dal Trovatore di Giuseppe Verdi.
“Jussi Björling (Borlänge, 5 febbraio 1911 - Siarö, 9 settembre 1960) tenore svedese, considerato uno dei più rappresentativi del ventesimo secolo.
Johan Jonatan Björling, detto Jussi, era figlio di una pianista professionista e di un tenore di buona levatura (cantò al Metropolitan), che era anche un bravo maestro di canto e che scrisse un libro di tecnica vocale. Il padre, Jussi e due fratelli formarono il Björling Male Quartet, che dal 1916 al 1926 compì parecchie tournée in Svezia e negli Stati Uniti d'America.
Dopo la morte del genitore nel 1926, Bjorling studiò all'Accademia Reale di Musica di Stoccolma col baritono John Forsell, debuttando quattro anni dopo all'Opera reale svedese nel ruolo del Lampionaio in Manon Lescaut. In pochissimo tempo aggiunse al repertorio Don Ottavio in Don Giovanni, il conte di Almaviva ne Il barbiere di Siviglia e Arnoldo in Guglielmo Tell, oltre ad affrontare poi progressivamente tutti i più importanti ruoli di genere lirico e lirico-spinto dell'operistica italiana e francese, nonché il repertorio liederistico.
Ci vollero pochi anni per conquistare l'Europa: da ricordare in particolare le apparizioni all'Opera di Vienna (esordio in Aida con la direzione di Victor De Sabata nel 1936), Lucerna (Messa di requiem di Verdi con la direzione di Arturo Toscanini nel 1939), Royal Opera House di Londra (Il trovatore nel 1939), oltre a presenze a Praga, Berlino, Copenaghen.
Nel 1937 approdò negli Stati Uniti debuttando in un concerto alla Carnegie Hall, seguito da Rigoletto all'Opera di Chicago e, l'anno successivo, dal debutto al Metropolitan ne La bohème, accanto alla pure debuttante Mafalda Favero. Aveva solo 26 anni e un ampio repertorio: dei 55 ruoli che avrebbe ricoperto, 53 erano stati già cantati sul palcoscenico. Per venti stagioni (con la sola interruzione della guerra e degli anni 1955 e 58), fino al 1959, fu una delle stelle più amate del Metropolitan, calcandone le scene in 123 rappresentazioni. Si citano, fra i tanti, alcuni spettacoli inaugurali: Un ballo in maschera nel 1940, Don Carlo (primo spettacolo dell'era Bing) nel 1950, Faust nel 1953. Fu presente anche in altri primari teatri statunitensi, come San Francisco, Chicago (tra cui Il trovatore nel 1955, unica occasione in cui cantò con Maria Callas), Los Angeles.
Con l'eccezione, pressoché ogni anno, della Svezia, ritornò solo sporadicamente nei paesi europei, tra cui l'Italia: nel 1943 fu a Firenze ne Il trovatore, nel 1946 e 51 a Milano (Rigoletto al Palazzo dello sport e Un ballo in maschera alla Scala, rispettivamente) e nel 1960, dopo oltre vent'anni, ne La bohème alla Royal Opera House di Londra, dove cantò nonostante una crisi cardiaca l'avesse costretto a interrompere la prova generale. Apparve per l'ultima volta in un concerto a Stoccolma nell'agosto 1960.
La sua carriera e vita vennero guastate dall'alcolismo, che peggiorò un quadro clinico già gravato da problemi cardiaci e depressione. Morì all'improvviso per attacco cardiaco all'età di 49 anni.”
(Articolo in wikipedia.org)
5 febbraio 1911 nasce Jussi Björling, tenore svedese, morto nel 1960).
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.
È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.
Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.
“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”
(Wikipedia)
“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”
(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)
“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.
(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)
“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”
(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)
“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”
(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)
“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.
(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)
Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/
Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0
https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs
https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4
https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk
Una poesia al giorno
Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].
Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi
che certo guarderanno male la nostra gioia,
talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?
Andremo allegri e lenti sulla strada modesta
che la speranza addita, senza badare affatto
che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?
Nell'amore isolati come in un bosco nero,
i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,
saranno due usignoli che cantan nella sera.
Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,
non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene
accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.
Uniti dal più forte, dal più caro legame,
e inoltre ricoperti di una dura corazza,
sorrideremo a tutti senza paura alcuna.
Noi ci preoccuperemo di quello che il destino
per noi ha stabilito, cammineremo insieme
la mano nella mano, con l'anima infantile
di quelli che si amano in modo puro, vero?
Nous serons
N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants
Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,
Nous serons fiers parfois et toujours indulgents
N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie
Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,
Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.
Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,
Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,
Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.
Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible
Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,
S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.
Unis par le plus fort et le plus cher lien,
Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,
Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.
Sans nous préoccuper de ce que nous destine
Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,
Et la main dans la main, avec l'âme enfantine
De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?
Un fatto al giorno
17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.
(da Focus)
Una frase al giorno
“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”
(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)
Un brano al giorno
Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k