A Petra nel ricordo di Aronne

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Ho scelto di scrivere un racconto nato da uno dei tanti miei viaggi per il mondo che mi hanno portato a capire e a conoscere molti Paesi. In questo caso descrivo la salita sul monte della tomba di Aronne, a Petra, la famosa città nabatea in Giordania.

Sono le cinque del mattino, come sempre mi sono svegliato anticipando i miei compagni di viaggio. Dalla finestra della mia camera cerco di vedere al di là della valle la meta della nostra giornata, quel cubo bianco in cima al monte Hor: la tomba di Aronne, il fratello di Mosè, morto durante l'esodo dall'Egitto. A fatica riesco a individuarla. Gli amici del Gruppo Archeologico sono consapevoli delle difficoltà della giornata, arrivare a 1400 metri di altezza, dopo una marcia di 3 ore con un sole implacabile fin dalle prime ore del mattino, non è certamente facile. Ritorno con il pensiero all'incontro organizzativo avuto la sera precedente, ho descritto ai miei come si sarebbe sviluppata la giornata, la fatica fisica e le difficoltà del percorso. Li avevo preparati nei giorni precedenti, graduando giorno dopo giorno le difficoltà, in modo da acclimatarsi alla fatica, parallelamente a una preparazione culturale specifica.
Tutti erano pronti a iniziare il “pellegrinaggio”. Appuntamento alle ore 6 alla Colonna del Faraone, dove ci attende la guida beduina prelevata nel suo villaggio posto all'esterno di Petra, è un vecchio che fa tutt'uno in groppa al suo asinello, di età indefinibile, l'unica persona che conosce il percorso per arrivare alla tomba di Aronne. La nostra guida, archeologo con due lauree, per la prima volta potrà andare sul monte Hor. Il "vecchio" vuol sapere quanta acqua abbiamo, confabula in arabo con la nostra guida, che praticamente per questa giornata farà da interprete, poi mi chiamano e mi indicano su una vecchia mappa disegnata a mano il percorso che faremo, devo rimanere in coda per avere il gruppo compatto.

Si costeggia per circa un'ora il wadi ath Thughra, il percorso è in prevalenza sassoso, con brevi tratti di sabbia e radi cespugli spinosi, alla destra pareti verticali di arenaria dove si spalancano antri bui di antiche tombe, greggi di pecore o capre sono l'unico segno vivente intorno a noi.
Osservo ogni cosa non voglio perdermi nulla, cerco di capire il comportamento della guida che ogni tanto ferma il suo asino e scruta intorno, alfine comprendo che cerca cumuli di pietre sul terreno simili a piramidi, difficili da individuare in quanto fanno tutt'uno con i ciottoli sparsi lungo il percorso. Facciamo una breve sosta, poi si riparte.
Il nostro riferimento costante è la montagna, in cima alla quale vi è quel cubo bianco sovrastato da una cupola azzurra, sembra sempre alla stessa distanza. Avanziamo lentamente, dobbiamo fare attenzione alle vipere. Proibisco di rovesciare le pietre per timore di serpenti e scorpioni. Cerco di avvicinarmi all'entrata di una tomba. Con me c'è l'amico Pasquale, ma appena siamo a pochi metri dall'entrata ci fermiamo impietriti: sulla soglia, in posizione di attacco un cobra dondolante ci osserva, indietreggiamo e cercando di essere calmi, rientriamo "rapidamente" nel gruppo sentendoci così più sicuri. Praticamente ripercorriamo l'itinerario dell'archeologo svizzero Burchard, che nel lontano 1812 scoprì con uno stratagemma la mitica Petra, la città Nabatea, invano cercata da secoli. Avanziamo sempre entusiasti, non sentiamo la stanchezza, il miraggio di Aronne sembra più vicino. Alle nostre spalle abbiamo lasciato il castello dei crociati di El Weira, percorriamo la valle avvolti da un silenzio strano, ognuno sembra preso dal paesaggio che lo circonda. Ogni tanto ci si ferma a raccogliere frammenti di ceramica, stiamo percorrendo l'antica via carovaniera che conduceva i pellegrini mussulmani alla tomba di Aronne.
Lungo le pareti di arenaria si aprono fantastiche tombe e templi di ogni stile, dall'assiro al nabateo, all'ellenistico al romano, il tutto in perfetta simbiosi con la natura del luogo. Le stratificazioni di arenaria con i loro variegati colori disegnano arabeschi fantastici, è un mondo fuori del tempo, ci sentiamo piccoli rispetto a quello che ci circonda. Tutto sembra irreale, percorriamo il sentiero che ci condurrà alla valle di As Sabah (Valle del Cobra) altra tappa lungo il percorso.

La tomba di Aronne per alcuni di noi è diventata un incubo, ogni tanto sparisce, coperta da altre cime, per poi ricomparire, la distanza sembra essere sempre la stessa. Alla tomba si veniva per fare sacrifici di ringraziamento per un voto soddisfatto o per essere andati alla Mecca; una volta arrivati, si sacrificavano animali (pecore, capre) come fece il nostro amico Burchard.
Il sole ci dardeggia, dalla coda controllo la situazione, intervengo per mantenere compatto il gruppo, controllando il dosaggio dell'acqua, un bene prezioso da non sciupare. Certamente a dorso dell'asino sarebbe stato più piacevole, ma avremmo perduto molti particolari sul terreno, frammenti di ceramica nabatea e romana ovunque. Ogni tanto, facendo rumore con i nostri bastoni, ci affacciamo sulla soglia delle tombe. Entriamo in un magnifico tempio dal timpano assiro finemente lavorato, colonne gigantesche, capitelli corinzi, sulla soglia il pozzetto sacrificale mentre nell'interno intravedo nicchie alle pareti e su tre lati dei sedili. I graffiti alle pareti testimoniano la frequentazione dell'uomo nel tempo, all'esterno è scavato nell'arenaria un foro per fissare le redini dei cavalli. Raccolgo interessanti reperti per farne argomento di relazione successivamente, dopo cena. Ogni tanto rare caprette ci indicano la presenza dell'uomo ed è così che dopo tre ore di cammino entriamo nella valle di As-Shaba, abitata da una famiglia di beduini e facciamo una breve sosta per ricambiare la loro cortesia. Incontriamo i membri della famiglia con molti bambini, ci fanno vedere le loro abitazioni ricavate nelle tombe, addirittura la stalla ha delle bellissime nicchie adornate da colonnine ancora con tracce di colore; l'acqua la prelevano da grandi cisterne ancora perfettamente funzionanti, non dimentichiamo che in questa valle vi erano le miniere nabatee, ci offrono del the, ringraziamo ma preferiamo riprendere il cammino, ci fermeremo da loro al ritorno. La temperatura sale e si fa sentire. A sinistra, uscendo dalla valle, vediamo una statua colossale rappresentata da un gigantesco cobra attorcigliato su se stesso ma con la testa protesa in posizione di attacco, è lo stesso monumento citato da Burchard nel suo diario, indica la"Valle del Cobra". Il terreno inizia a salire, ora la tomba di Aronne è più vicina, parlo con la guida e facendo dei calcoli ci vogliono ancora un paio di ore di cammino per arrivare alla meta. La salita è la parte più faticosa, la vecchia guida è rimasta nella valle, come stabilito, ci attende al ritorno presso la famiglia di beduini. Con noi abbiamo Hassam, la nostra iniziale guida, anche lui alla prima esperienza per la tomba di Aronne.

Vediamo dall'alto il percorso fatto, lo snodarsi del sentiero nella valle, distinguiamo la nostra vecchia guida intenta a parlare con i componenti la famiglia beduina. Lungo le pareti vediamo incisioni con diversi simboli, in prevalenza orme di piedi, di varie dimensioni, esse indicano la presenza della preziosa acqua, il volto di Hallat stilizzato indica la dea protettrice delle sorgenti. Siamo quasi giunti, aggiriamo un costone di roccia che ci nasconde momentaneamente la meta, ci troviamo sotto la cima del monte Hor. In un piccolo pianoro ci accoglie un presidio militare, comprendiamo di trovarci in una zona strategica. Saliamo quasi di corsa i gradini scavati nella roccia, sono gli ultimi cento metri, poi ecco apparire come un sogno la cupola bianca che sovrasta la tomba, a fianco notiamo un uomo, è il guardiano, ci accoglie venendoci incontro dandoci il benvenuto con "Sabath el keir". Come trasognati giriamo intorno alla piccola moschea eretta nel XIII secolo, poi entro da un piccolo ingresso e, girandomi per chiamare i ragazzi, dò una zuccata, sono tramortito, ma entro lo stesso, la curiosità è superiore al dolore. L'interno è appena rischiarato da decine di candele fumose, scritte coraniche fanno da ornamento. Un drappo consunto ricopre una tomba, un'apertura sul pavimento mi invita a scendere, mi trovo in un piccolo vano appena rischiarato da lucerne, c'è un sarcofago, graffiti sulle pareti ringraziano Aronne, così mi traduce la guida.

È un luogo suggestivo, qui il tempo si è fermato, siamo arrivati alla fine del nostro pellegrinaggio. Dopo una breve meditazione ritorno all'aperto. Alla luce del sole, mi si offre uno scenario magico, la piccola moschea si staglia nell'azzurro del cielo, i ragazzi sono sparsi intorno, ognuno assorto nei propri pensieri, il luogo crea un momento mistico, tutto sembra innaturale, fuori del tempo. Dopo una decina di minuti ci si ristora, si scattano foto, giro un filmato a 360 gradi, cerchiamo di individuare i luoghi di Petra, ecco il Deir, sembra quasi sparire nella roccia, due punti scuri ancora più lontani indicano i castelli crociati, alle nostre spalle verso Aqaba l'infinito deserto arabico, il Wadi Arab, cosparso da una fitta ragnatela di wadi (letti di torrente); in lontananza sembra di intravedere la striscia azzurra del mare. La stanchezza è scomparsa, siamo pronti per il ritorno, il sole picchia implacabile, un ultimo saluto al piccolo mausoleo e all'amico guardiano. Scendiamo, forse il miraggio del the dei nostri amici beduini nella valle ci fa affrettare il passo. Vi arriviamo in un'ora, rispetto alle due precedenti per salire. Ora con calma possiamo esaminare nei particolari la valle di As Sabah, si vedono i resti di quello che fu la città mineraria dei Nabatei, le testimonianze sono ancora imponenti, cisterne d'acqua di grosse dimensioni, tombe con portali decorati, templi e addirittura i resti di un teatro romano. Ci dirigiamo verso il monumento al cobra, scaliamo i tre, quattro metri della base, il Cobra è il protettore della valle. Facciamo in tempo a toccarlo e fare gustando un infuocato the alla menta.

La mia fantasia galoppa, va indietro nel tempo, uomini e animali ritornano a popolare la valle, sembra di udire le loro voci, le grida, è tutto un mondo che ritorna. Mi scuote da questo mondo immaginario la nostra guida che ci incita a riprendere la via del ritorno. A malincuore lasciamo questo angolo incontaminato e poco conosciuto della magica Petra. Dopo cena, ci ritroviamo sul terrazzo dell'albergo, stanchi ma soddisfatti, ci scambiamo le impressioni e la notte stellata completa questa indimenticabile giornata invitandoci a fantasticare. Cerchiamo di fronte a noi, in quell'anfiteatro di picchi rocciosi il nostro amico Aronne, quel cubo calcinato dal sole, è strano non riusciamo a localizzarlo, ma la luna, complice del nostro desiderio, all'improvviso lo illumina, facciamo in tempo a indicarcelo, pochi secondi, poi scompare nel buio della notte. È l'ultimo saluto di Aronne, come a ringraziarci del nostro pellegrinaggio, perché cosi è stato senza saperlo. Grazie amico Aronne per averci fatto sognare...

Dal diario di viaggio di Marino Giorgetti

Presidente Coordinatore Nazionale dei Gruppi Archeologici DLF

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