Trekking di due giorni con partenza da San Giacomo di Entracque e pernottamento al rifugio Pagarì, traversata del ghiacciaio del Gelas il giorno successivo e discesa al rifugio Soria-Ellena. Questa era la proposta del DLF Genova per il week-end del 13-14 luglio 2013, ho accettato quasi di slancio, me ne sono pentita due secondi dopo ma ho tenuto duro...
Arriverò al rifugio, mi sono detta, quello deve essere il mio obiettivo, poi dormirò e me ne scenderò tranquillamente a valle il mattino dopo: e che ci vorrà mai?
Non conoscevo nessuno del gruppo, a parte Paola che mi ha introdotta, ed anche il DLF solo di fama, comunque non avevo mai affrontato una traversata sulla neve, quindi il timore (terrore?) di essere lo zimbello del gruppo o, peggio ancora, la zavorra era giustificato e ragionato.
E così il sabato mattina, da sola davanti al solito piazzale delle partenze a Genova, mentre inizia a piovere e tuonare, mi rendo conto che potrei imbarcarmi con uno qualsiasi dei molti gruppi che partono per la montagna. Vengo però subito intercettata da Marco Berti, già tonico e pimpante, come rimarrà per tutto il week end, che tenta di prelevare, oltre a me, anche un'ignota alpinista che voleva fare una scalata in Valle d'Aosta: la rilascerà solo dopo aver controllato le nostre effettive presenze (a questo punto la signora era in soprannumero).
Dopo una rapidissima suddivisione degli equipaggi, ed una sosta in autogrill, arriviamo a San Giacomo: gli altri si conoscono piuttosto bene, alcuni sono anche colleghi, ma Luigi Ottonello (Otto) si concede due parole di presentazione, che mi colpiscono molto, forse anzi sono decisive per lo sviluppo della mia gita.
Noto che anche gli altri lo ascoltano, forse il discorso non lo ripete ogni volta, forse solo quando il trekking presenta alcune difficoltà: fatto sta che è rassicurante, self confident ma per niente spocchioso, ci ricorda che non siamo lì per stabilire record, compiere imprese o gesti atletici personali. Siamo un gruppo, dice, ed insieme si sale e si scende dalla montagna, solo che dovete collaborare, raccontando le vostre paure, le insicurezze, i malesseri.
Con molta più serenità ora affronto la salita, alla traversata ci penseremo mi dico, e poi ho visto che anche le altre ragazze condividono i miei timori... Che bello sentirsi compresi! La strada ora è un pendio dolce, noi chiacchieriamo in gruppo, il cielo è sereno e neanche una grossa vipera che si mostra a lato del sentiero ci incupisce. Fotografiamo i ponti che attraversano i ruscelli in piena, i maggiociondoli fioriti che lasceranno il posto a lingue di neve sempre più ampie, i cespugli di rododendri e le viole di montagna.
Seguiti dagli immancabili sguardi interrogativi dei camosci e di qualche stambecco più diffidente raggiungiamo il rifugio, mentre la temperatura scende decisamente e la neve diventa l'elemento dominante del paesaggio. Lì, davanti alle mura amiche del Pagarì proviamo l'ebbrezza di togliere scarponi e zaino e ci concediamo un brindisi con vino e birra fatta in casa: evvai, il primo giorno è andato!
Il mattino dopo tutto sembra subito difficile: ci sono tuoni in lontananza, fa freddo e bisogna tirar fuori i guanti, Ivano e Otto hanno controllato i ramponi ma la sfiducia serpeggia negli sguardi di noi ragazze. Come se non bastasse, la cena della sera prima è stata ben diversa dalle aspettative classiche di un pranzo in rifugio: anziché selvaggina, salumi e formaggi c'erano dietetiche verdurine saltate, arrosto di tofu e crostata ultra-light. Fortuna che per Marco è comunque giornata da festeggiare, compie gli anni e questa traversata è il regalo che ha deciso di farsi: ma noi riusciremo ad onorare questa iniziativa? Non possiamo ancora saperlo ma la progressione degli eventi è inesorabile ed incalzante, sembra che più nessuno di noi possa dire "io me ne vado" o che comunque nessuno voglia farlo. Vediamo che Otto è concentrato, quando mettiamo i ramponi la prima volta passa ad aiutarci tutti, Marco ci assiste rumorosamente ed anche Ivano, finora distaccato, sereno e canticchiante ci spiega bene i movimenti da fare, si accerta che siamo effettivamente in grado di seguirlo passo dopo passo quando è sicuro, e va in avanscoperta da solo quando ha delle incertezze.
Insomma ci comunicano, stavolta senza parole, che il rispetto e l'attenzione sono giustificati, il timore in questo caso no, la rotta è tranquilla e perfettamente fattibile, anzi, sembra fatta apposta per noi! Così, dopo il primo nevaio ne passiamo un paio di altri, diventiamo bravi nel mettere e togliere i ramponi, e arriviamo alle rovine del vecchio Bivacco Moncalieri davanti al lago Bianco del Gelas, ancora tutto ghiacciato: un vero spettacolo. Ma dobbiamo salire al nuovo bivacco, e da lì superare una crestina un po' esposta, ed infine fare il pezzo più difficile, il ghiacciaio vero e proprio.
Ivano è sempre quello delle spiegazioni più tecniche, mi insegna come piantare la piccozza nella neve e mi spiega anche il perché: io speravo che non arrivasse questo momento, ma quando parto vedo che riesco a cavarmela dignitosamente, come tutti gli altri del resto. Sempre rimanendo vicini, ridendo delle nostre goffaggini o della Ester che "non vuole essere parlata" finché non uscirà dal passaggio difficile, chiacchierando per mascherare un po' di strizza, raccontando e raccontandoci ci troviamo, un po' in ritardo ma sollevati, al di fuori del ghiacciaio. Ora sarà tutta discesa, in realtà sarà ancora lunghissima la camminata, il cielo minaccia temporali ma Otto e Ivano sono finalmente rilassati e ciarlieri.
Ci sarà tempo per fare delle scivolate con il sedere nella neve, per le pose in mezzo ai rododendri e per un panino davanti al Soria Ellena. Io intanto continuo a far foto compulsivamente, Cinzia mi fotografa mentre scatto, Daniela e Paola si scambiano frutta secca e barrette, Ester è di nuovo "parlabile" e tutti siamo parecchio contenti: non c'è bisogno di dirlo, basta guardare le nostre facce stanche, nessuno è lì a chiedersi ma chi me lo ha fatto fare. Perché lo abbiamo fatto per passione, la passione per la montagna che, ci ha detto Ivano," illumina di una certa luce gli occhi di quelli che la amano". Come noi.
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Bruna Taravello
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