Salita a Monte Armonia

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Ovvero i sei che compirono l’impresa in sei giorni - 28 ottobre 2013. Sono trascorsi due mesi e venti giorni dall’inizio della vacanza in Dolomiti, il trekking compiuto sul gruppo montuoso del Catinaccio, dall’8 al 13 agosto. Il ricordo di quei giorni è incastonato in un luogo speciale della memoria: quello delle salite a Monte Armonia. Cosa significa? Non uno screzio, non un’ombra hanno segnato i giorni vissuti da Tiziana, Fabrizio, Giovanni, Carlo, Fabio e Donatella, in giro per rifugi e ferrate.

Carte escursionistiche e videocamere alla mano, abbiamo ragionato, discusso, scelto in semplicità, senza grumi di malumore, profondendo ad ogni tappa interesse e cura per ciò che stavamo facendo. Eppure non ci si conosceva tutti. Giovanni ha proposto per primo il giro ad alcune persone e, dopo diverse rinunce, ha avuto la conferma da Carlo; Fabio ed io abbiamo aderito subito alla proposta ed abbiamo suggerito a Tiziana di aggregarsi; lei l’ha fatto, insieme a Fabrizio.

Il viaggio l’hanno iniziato Giovanni e Carlo, che sono partiti in auto da Frascati giovedì 8 agosto, diretti al Rifugio Fronza, in provincia di Bolzano. Mentre Giovanni e Carlo venerdì 9 agosto compivano la prima tappa del trekking, dal rifugio Fronza al rifugio Passo Principe, tramite la ferrata Santner, sul versante ovest del Catinaccio, noialtri quattro partivamo da casa.

In treno da Roma, Tiziana e Fabrizio hanno viaggiato con Italo, io su un Frecciargento e ci siamo ritrovati a Bologna tutti e tre, intorno alle 9, in tempo per salire su un treno regionale diretto a Modena, dove ad attenderci era Fabio con la sua auto, proveniente da Piacenza.

Nel diario di quei giorni ho scritto: “Saliamo tutti con lui e partiamo alla volta del Trentino! In Val di Fassa il tempo non è granché. È nuvoloso e poi attacca a piovere, ma noi per fortuna siamo al riparo sulla navetta che da Pera ci porta a Gardeccia, a 1.950 m slm, verso le ore 15. Siamo in Val de Vajolet, qui comincia il nostro cammino. Mi fa un effetto strano, dopo due campi estivi appena trascorsi con i ragazzini dell’Alpinismo Giovanile CAI Frascati, camminare in montagna dovendo preoccuparmi solo di me stessa! Niente zaini da controllare, scarponi da allacciare, vesciche da curare…”

Con i sentieri 546/584 siamo passati ai piedi del fianco est del Rosengarten (Catinaccio), che incombe su di noi per quasi tutto il tempo, e abbiamo puntato verso nord, al Catinaccio d’Antermoia. Ad ovest di questo, sul lembo di terra di Passo Principe (2.600 m), sta il rifugio omonimo, gestito dai Rosi, padre e figlio, miei amici di vecchia data. Qui abbiamo trovato Giovanni e Carlo: il gruppo è finalmente al completo! Ci siamo guardati intorno: due tavolati a castello nella casettina accanto al rifugio sarebbero stati il nostro letto. Lo stile di tutto il rifugio, ristrutturato da poco, completamente in legno, è essenziale, moderno, ingegnoso. Fuori, finita la pioggia, abbiamo guardato la parete di roccia di fronte a noi, dove inizia la ferrata che avremmo salito l’indomani.

Sabato 10 agosto sveglia alle 6.20, colazione e zainetto leggero per raggiungere la cima del Catinaccio d'Antermoia, la più alta del gruppo del Catinaccio nelle Dolomiti (3.004 m slm). Cielo nuvoloso, lontano appariva scuro, ma sarebbe migliorato nel corso della giornata. La salita è iniziata dal versante nord delle pareti di roccia dall’aspetto severo, su cenge e costoni, attraverso fenditure, finché più in alto abbiamo potuto spaziare con lo sguardo e vedere intorno a noi altri bastioni, pilastri, dirupi a perdita d’occhio. La lunga cresta affilata che si percorre in direzione ovest-est per giungere alla cima è emozionante. E la visione d'insieme che abbiamo avuto dalla cima su: Torri del Vajolet, Croda di Re Laurino, Catinaccio, fino a Cima Coronelle, Mugoni, Roda di Vael e Cresta di Masarè è davvero uno spettacolo! Ancora più a est della cima, è iniziata la discesa verso il lago d’Antermoia, che dall’alto ci è apparso come una gemma verdeazzurra circondata dal grigioargento dei detriti in cui è situato. Uno specchio d’acqua e un rifugio sono l’ideale per una sosta. Ad esempio per parlare della geomorfologia del luogo in cui ci troviamo e ascoltare Fabio nella sua descrizione di scogliere ladiniche e depositi calcarei lasciati dagli organismi marini 200 milioni di anni fa… Dal rifugio d’Antermoia siamo tornati indietro in direzione est-ovest passando però sul versante sud del monte, su un tratto del sentiero 584.

Lago d'AntermoiaGiunti di buon’ora al Passo Principe, il primo imprevisto: non c’è posto per dormire per un disguido nelle prenotazioni, però il gestore ha già provveduto a prenotare 6 posti in due rifugi vicini, il Bergamo o il Vajolet, a nostra scelta. Il Vajolet ci è di strada nella successiva tappa, mentre andare a dormire al rifugio Bergamo comporterebbe dal Passo Principe, dove dovremmo comunque tornare, un’ora in più di marcia. Il Vajolet è più grande, più comodo, più frequentato del Bergamo e l’abbiamo già visto passandoci accanto. Il Bergamo è un edificio storico, ci hanno detto. Noi ci siamo guardati, abbiamo pensato un po’ ad alta voce, un po’ ognuno per sé, e poi ci siamo trovati tutti d’accordo: andiamo al rifugio Bergamo!

L’impazienza di raggiungerlo per scoprire come fosse ha poi trovato piena soddisfazione quando ci siamo arrivati. È un gioiello in una posizione felice. Il sole riscaldava il rifugio al nostro arrivo e un sacco di gente all’esterno stava seduta ai tavoli, sulle sdraio, sui prati. Buona cena, chiacchiere, racconti, risate, giochi serali tra noi. Il Rifugio Bergamo al Principe è situato nel versante nord ovest del Gruppo del Catinaccio, nel sottogruppo delle Cime del Principe, a quota 2.134 m, sopra la Valle del Ciamin. È stato costruito nel 1887 dalla sezione di Lipsia del Club Alpino tedesco-austriaco. In seguito è stato acquisito dal CAI, Sezione di Bergamo. Ora è in gestione a un privato. L’arredo, splendido, è ancora quello di inizio Novecento e il gestore indossa i Lederhosen, i tradizionali pantaloni corti di cuoio tradizionalmente diffusi in Baviera, Austria, Svizzera e Trentino Alto Adige.

Valle del VajoletPerciò domenica 11 agosto non ci è dispiaciuto affatto dover risalire i quasi 500 m di dislivello per tornare al Passo Principe: siamo contenti di ciò che abbiamo conosciuto inaspettatamente. Alle ore 9 abbiamo cominciato a scendere verso il rifugio Vajolet con un tempo bellissimo, immersi in uno scenario rasserenante. Tappa successiva: il rifugio Roda de Vaél.

Giunti in prossimità del rifugio Vajolet, all’incrocio tra il sentiero 541, che va verso il rifugio Roda de Vaél per Passo Cigolade, e il 542, che sale al rifugio Alberto I e va a Passo Santner, un nuovo cambio di programma. Tiziana, Fabrizio, Fabio ed io pensiamo quasi all’unisono: perché non facciamo anche noi la ferrata Santner e raggiungiamo Giovanni e Carlo, che l’hanno già fatta, al rifugio Roda de Vaél più tardi?

Infatti, così è andata. Avevamo lo zaino pesante, c’era un sacco di gente sul sentiero, attrezzato con cavo metallico perché ripido e molto frequentato, ma noi quattro siamo andati su spediti, divertiti all’idea dell’impresa imprevista.

Torri del VajoletIl rifugio Re Alberto I è posto a quota 2.621 metri nella conca del “Gartl” (piccolo giardino), considerata il "cuore" del Rosengarten. Una leggenda altoatesina narra che qui si trovava il giardino delle rose di Re Laurino, il re mitologico dei ladini, antichi abitanti di queste terre; deriva da questo il nome tedesco del Catinaccio: Rosengarten (giardino delle rose).

Sul lato nord di questa conca, si ergono le Torri del Vajolet (2.821 m slm), sette magnifiche guglie calcaree, paradiso degli arrampicatori, nucleo centrale delle antiche scogliere di spugne e coralli che sono diventate poi le guglie dolomitiche come le vediamo ora. Nel 2000 ho salito lo spigolo affilato di una di queste, la Torre Delago, e lo stesso anno ho arrampicato sulla via “Piaz” alla Punta Anna del Catinaccio, sotto cui siamo passati il primo giorno. E’ stato emozionante esserci tornata!

Dopo aver lasciato il rifugio Alberto I, verso le 12.30 abbiamo raggiunto il Passo Santner, a 2.734 metri, affacciato sul fondovalle, dove si poteva vedere Bolzano, mentre alcune persone stavano per salire al passo uscendo dalla ferrata Santner; noi, quindi, avremmo percorso la ferrata, lungo il fianco ovest del Catinaccio, in discesa ed in senso contrario alla maggior parte della gente…

La ferrata SantnerCi siamo imbragati e ci siamo lanciati alla scoperta della via d'accesso dalla Val di Tires al massiccio centrale del Catinaccio, tracciata nel 1878 da Johann Santner. Nell’articolato percorso, ancora innevato in alcuni punti, per molta parte abbiamo disceso i salti di roccia e le strette fessure arrampicando all’indietro, senza quasi toccare il cavo. La ferrata Santner ci è piaciuta molto! Verso le 15 ne siamo fuori, in cammino sul sentiero che passa al rifugio Fronza alle Coronelle (2339 m), dove Giovanni e Carlo hanno dormito l’8 agosto. Qui abbiamo ammirato l'omelette imperiale con frutti di bosco o marmellata, "Kaiserschmarrn", che due ragazzi mangiavano seduti ad un tavolo all’aperto, ripromettendoci di ordinarla a nostra volta quando saremmo tornati in questo rifugio l'ultimo giorno.

Il sentiero 549, imboccato dopo la breve pausa al rifugio, è molto panoramico! Prosegue sempre in quota, esposto al sole, e ci ha permesso di osservare i calcari marnosi grigio-verdastri, ben stratificati, dall'aspetto più o meno ondulato, ossidati o frantumati, risalenti a circa 250 milioni di anni fa; poi abbiamo assistito al decollo di un parapendio e alle sue evoluzioni nel cielo; infine, ci siamo imbattuti nella gigantesca aquila in bronzo, il monumento posto sul sentiero dedicato all’austriaco di origine greca Theodor Christomannos, entrato a far parte da protagonista della storia della Ladinia grazie alla sua geniale e lungimirante intuizione di costruire la strada che collega Bolzano con Cortina e Dobbiaco passando per le valli dolomitiche.

Volo libero in parapendioL’incontro più bello sul sentiero, però, è stato quello con Giovanni e Carlo, che ci sono venuti incontro! Abbiamo ultimato insieme a loro il tratto che restava prima di arrivare al rifugio Roda de Vaél, che raggiungiamo alle 18, mezz’ora prima dell’inizio della cena. Così è stato tutti i giorni: a cena e a letto ancora con la luce del giorno! Qui siamo riusciti finalmente a fare la doccia e, grazie alla prenotazione fatta da Giovanni per tempo, abbiamo guadagnato un tavolo (quasi) tutto per noi in un angolino davanti al bar: il rifugio SAT (Società Alpinisti Tridentini) Roda di Vaél, sulla Sella del Ciampàz, nella zona meridionale del Gruppo del Catinaccio, a quota 2.283 metri slm, era pieno. È molto frequentato anche da villeggianti che salgono facilmente dalle valli sottostanti, collegate dagli impianti che arrivano al rifugio Paolina, appena 100 metri più sotto. Noi abbiamo un bel programma per l’indomani e molti altri lo stesso: concatenare la ferrata che sale sulla cresta e poi alla cima del Roda de Vaél (2.806 m) con quella che segue la Cresta di Masarè (il cui punto più alto arriva a 2.585 m) e tornare al rifugio, chiudendo così l’anello e chiudendo pure la serie delle nostre ascensioni, per questa vacanza.

Lunedì 12 agosto alla prima cima siamo arrivati alle 9.30, sotto un cielo di nuvole che viaggiavano e sopra gli stambecchi in corsa sui ghiaioni; dopo un’ora era già il momento di attaccare la salita verso la seconda parte dell’itinerario, nei pressi della Torre Finestra, una formazione rocciosa in cui è presente un caratteristico buco. Qui parte un sentiero per tornare giù e Fabio, che non si sentiva di continuare, è sceso al rifugio, con tranquillità, senza condizionare nessuno. A noialtri cinque, invece, si è parata dinanzi da superare una parete, di 20-30 metri, niente male! Attrezzata, sì, con cavi e pioli metallici conficcati nella roccia, ma del tutto verticale.

Ferrata Roda di Vael-Cresta di MasarèPassata anche quella, ci siamo ritrovati in fila sulla Cresta di Masarè, dietro a numerosi escursionisti che ci precedevano e davanti ad altri che seguivano, che sembrava di essere alla Posta! Stranieri e italiani, adulti e ragazzi, perfino bambini! C’è una particolare qualità che accomuna chi va in montagna: è l’attenzione. Pure se scalando si compie un gesto che è individuale, concentrati su se stessi, quando altre persone salgono accanto a noi non possiamo fare a meno di “badare” anche a loro, così che il movimento si fa “corale” e tanti scalatori diventano uno. Si sta attenti a tutto ed è l’unico modo per scongiurare incidenti.

Siamo tornati al rifugio Roda de Vaél e abbiamo trovato ad aspettarci Fabio, che ha seguito gli escursionisti con un binocolo. Ci siamo preparati in fretta e alle 14.30 eravamo già sul sentiero 549, quello del giorno prima, diretti al rifugio Fronza, nostra ultima tappa, prima di tornare a casa. Qui ci siamo proprio dati alla pazza gioia, addirittura un’altra doccia prima della consueta cena/merenda alle 18.30, in cui ci siamo rimpinzati di portate superbe, innaffiate da vino a volontà.

Il rifugio Aleardo Fronza “alle Coronelle”, ampio e molto frequentato, si trova in posizione panoramica sul versante ovest del gruppo del Catinaccio; costituisce la stazione a monte della Seggiovia Laurin, impianto di risalita che parte da Malga Frommer di Nova Levante (BZ), su cui il Catinaccio e il Latemar dominano maestosi. Martedì 13 agosto ancora un’opzione: al mattino scendiamo presto in valle a piedi oppure con calma in seggiovia? Giovanni e Carlo hanno preferito la seggiovia, mentre Tiziana, Fabio, Fabrizio ed io già dalla sera prima avevamo dichiarato di voler scendere a piedi in valle. Giovanni e Carlo sono andati a recuperare l’auto parcheggiata a Malga Frommer e sono venuti poi a caricarci in un punto non ben precisato della strada provinciale 85, dove eravamo sbucati con il sentiero.

Belle emozioni nel condividere gli ultimi minuti prima di separarci, al parcheggio di Pera di Fassa, dopo giorni vissuti intensamente. Un album foto su google e un video su youtube restano a testimoniarli!

Parcheggio a Pera di Fassa

 

INFORMAZIONI

Donatella Olivieri

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