L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno IV. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
CHRISTUS (Italia, 1916), regia Giulio Antamoro. Soggetto: Fausto Salvatori. Sceneggiatura: Giulio Antamoro, Ignazio Lupi. Fotografia: Renato Cartoni. Scenografia: Giulio Lombardozzi. Cast: Alberto Pasquali, Gesù Cristo. Augusto Mastripietri, Giuda Iscariota. Amleto Novelli, Ponzio Pilato. Leda Gys, Madonna. Amalia Cattaneo, Maria Maddalena.
Vita di Cristo di dimensioni epiche, girato in Italia e in Egitto. Le civiltà terrene sono ridotte a poca cosa dalla nuova religione, come quando vediamo il Cristo vivente che medita sui poteri del Padre di fronte alle monumentali rovine di un tempio egiziano. Lungo il film, si possono individuare belle trasposizioni in movimento di celebri pitture religiose di Leonardo, Raffaello, Michelangelo e molti altri.
“La vita di Cristo, dall'Annunciazione alla Resurrezione finale. E' un pezzo di storia che riguarda il primo cinema italiano nel momento del suo massimo splendore. Dai costi altissimi e filmato interamente in Egitto - primo singolare evento di un film italiano non girato in patria - con almeno 2000 comparse, grandi movimenti di massa, ottime ricostruzioni sceniche (di Giulio Lombardozzi che nel 1946 curerà i set di Sciuscià di De Sica) e primordiali effetti speciali, che all'epoca entusiasmarono un pubblico abituato a ben altro. E' il primo film al mondo che racconta interamente la vita di Gesù Cristo (visibile in volto e non di spalle come ad uso del cinema successivo) e lo fa con 2.279 metri di pellicola.
Tratto dal poema iconografico di Fausto Salvatori, allievo di Gabriele D'Annunzio, appositamente scritto per questo lavoro su pressione del regista, il Conte Giulio Antamoro - tra i più famosi direttori del periodo - e diviso in tre atti (Misteri): Annunciazione e Natività, Vita e Opere, Morte e Resurrezione. Usa la tecnica dell'immagine ricavata dalla tradizione artistica rinascimentale; quindi molte inquadrature prendono spunto da quadri di Leonardo, Michelangelo, Mantenga, Raffaello e altri; tra queste, notevole espressione è dettata dalle sequenze del Cenacolo e della Pietà.
Iniziato nel 1912, occorsero ben due anni di tempo per completarlo; in fase di montaggio venne fuori che molte scene si erano rovinate e dopo interminabili discussioni, fu presa la decisione di rigirarle nuovamente, questa volta dirette da Enrico Guazzoni. Ci furono anche beghe burocratiche poiché il regista pretese dal produttore, il Barone Fassini, i diritti sul film, minacciando di citare la Cinès (nata dieci anni prima dalla "Alberini e Santoni") in giudizio; ma poi si giunse ad una transazione.
La prima, al cinema Augusteo di Roma alla presenza della regina Elena, fu un trionfo; in seguito, grande successo di pubblico, non solo in Italia, ma in tutto il mondo, in Francia il film fu proiettato per un anno di fila. Restaurato dalla Cineteca di Bologna su iniziativa del produttore e proprietario della Titanus Goffredo Lombardo, che suggellò il suo sogno; quello di poter rivedere, interamente, il film in cui sua madre, Leda Gys, nota attrice anni '10, interpretava il ruolo della Madonna. Ma le ricerche dei pezzi di pellicola, sparsi nel mondo, non furono semplici; alcuni metrati vennero rinvenuti in giro per l'Europa, altri addirittura in Sud America, ma la pazienza e il costante impegno sulla documentazione venne infine premiato. Da sottolineare, nel cast, oltre la Gys, Alberto Pasquali nel ruolo di Gesù e, soprattutto, il popolare Amleto Novelli che fa Ponzio Pilato. Il film fu presentato come documento storico al 57º Festival di Venezia e proiettato nella gremita Sala Perla con nuove musiche del Mons. Marco Frisina (compositore d'impronta rozsiana e autore delle musiche di numerosi Film TV come La Bibbia, Papa Giovanni - Ioannes XXIII, Don Bosco, Giovanni Paolo II) in sostituzione di quelle originali di Giocondo Fino, queste davvero introvabili; al termine della proiezione gli applausi del pubblico si protrassero ininterrottamente per un quarto d'ora e più. Nello stesso anno (1914) fu girato un altro Christus, diretto da Giuseppe De Liguoro, prodotto dalla Etna Film e filmato in Sicilia, ad Ognina, provincia di Catania.”
(In www.cinekolossal.com)
Christus, capolavoro del cinema muto. Era l’8 novembre 1916, nel pieno della Prima Guerra Mondiale, quando Christus di Giulio Antamoro fu proiettato per la prima volta la pubblico al Teatro Augusteo di Roma. Fu un trionfo. Partecipò anche la regina Elena, moglie del re Vittorio Emanuele III. Inoltre rappresentanti del Governo, ambasciatori di vari paesi e personalità della cultura. Il successo non si limitò ai confini nazionali, ma si allargò al mondo intero. In Francia fu proiettato per un anno di fila. Nel 1917, tramite la Svizzera, il Vaticano riuscì a far giungere il film in Germania. Fu proiettato anche negli Stati Uniti e in Sudamerica.
Il film
Christus è la prima pellicola che ripercorre interamente la vita di Gesù, dall’annunciazione dell’angelo Gabriele all’ascensione in cielo. Dura 90 minuti; circa 2279 metri di pellicola. Tratto dal poema iconografico di Fausto Salvatori, allievo di Gabriele D’Annunzio, scritto appositamente per il film su sollecitazione del regista.
Il film è diviso in tre atti chiamati "Misteri": Annunciazione e Natività, Vita e Opere, Morte e Resurrezione. Il primo racconta la nascita e la prima infanzia di Gesù fino alla fuga in Egitto. Il secondo illustra la vita pubblica di Gesù fino all'ingresso trionfale in Gerusalemme. Il terzo è diviso in tre parti: la Passione, la Morte e la Resurrezione di Gesù. Molte inquadrature prendono spunto da opere di importanti pittori: da Leonardo a Michelangelo a Raffaello a Mantegna.
La sceneggiatura è dello stesso Antamoro e di Ignazio Lupi, le didascalie sono di Maurice V. Samuel, le musiche di Don Giocondo Fino e la fotografia di Renato Cartoni.
Il cast
Gesù Cristo è interpretato da Alberto Pasquali, attore di teatro al suo debutto cinematografico. Pasquali interpretò spesso ruoli religiosi, sia al teatro sia al cinema. Interpretò nuovamente Gesù Cristo nei film Redenzione (1919) e The Twice Born Woman (1921), quest'ultimo girato in America. Fu inoltre interprete di San Francesco d'Assisi nel film Frate Francesco del 1927.
Gli altri interpreti sono Leda Gys, attrice nota del cinema muto italiano (interpretò circa 80 film), nei panni della Madonna, il popolare Amleto Novelli (Ponzio Pilato), Augusto Mastripietri (Giuda Iscariota), Amalia Cattaneo (Maria Maddalena).
Produzione e location
La produzione di Christus rappresenta un pezzo della storia del cinema italiano. È il primo film interamente girato all’estero, in Egitto. Sono impegnate risorse cospicue per la produzione: almeno 2000 comparse, ricostruzioni sceniche di qualità, effetti speciali elementari che però rappresentavano una novità assoluta per il cinema dell’epoca. Una serie delle scene, che si erano deteriorate nel trasporto in Italia, dovettero essere girate nuovamente. Perché Antamoro impegnato in altre produzioni, oppure più probabilmente per contrasti tra lo stesso e la casa di produzione, le nuove scene furono dirette dal regista Enrico Guazzoni. Molte delle scene rifatte furono girate nel paese di Cori, in provincia di Latina.
Del film, dopo il grande successo ottenuto, si persero le tracce alla fine degli anni Venti. Fu poi restaurato nel 2000 dalla Cineteca Comunale di Bologna. Grazie alla scelta di Goffredo Lombardo, direttore della Titanus e figlio di Leda Gys, che nel film originale interpreta Maria.
Nel film è completamente nuovo l’accompagnamento musicale, composto da Monsignor Marco Frisina. L’originale, del Maestro don Giocondo Fino, è andato infatti irrimediabilmente perso.
Il film restaurato fu proiettato alla 57esima Edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia ottenendo ancora una volta una straordinaria e calorosa risposta del pubblico presente.
“Ci sono film estremamente travagliati e Christus è uno di questi. Iniziato dopo il 1912 sull’onda dell’entusiasmo di produzioni come From the Manger to the Cross, uno dei primissimi film girati interamente in esterna, ma soprattutto tra Siria, Giordania, Egitto ma anche a Betlemme e Gerusalemme. Per girare Christus venne diretto da Giulio Antamoro, mentre per la sceneggiatura venne scelto Ignazio Lupi, celebre nel ruolo di attore sia nei film di Antamoro che in quelli Enrico Guazzoni. Guazzoni in qualche modo c’entra con questa vicenda, perché quando il film venne montato per essere presentato al pubblico ci si accorse che alcune scene erano irrimediabilmente rovinate. Per completare il film venne quindi chiamato Guazzoni che rigirò le scene corrotte. Purtroppo Antamoro non era propriamente d’accordo tanto che pare citò la Cinès in giudizio, anche se la diatriba venne presto sanata. Come si intuisce dal titolo, il film narra l’intera vita di Gesù di Nazareth dall’annunciazione fino alla resurrezione e alla trasfigurazione. Per il ruolo di Gesù venne scelto Alberto Pasquali, la vergine Maria era interpretata invece da Leda Gys. Augusto Mastripietri era Giuda Iscariota, mentre Amleto Novelli Ponzio Pilato. Guardando il film non si possono non notare i riferimenti costanti all’iconografia pittorica. Basti vedere l’annunciazione (vedi foto), e fare una rapida ricerca per immagini con il solo termine “annunciazione”. Se non è simile alla più celebre annunciazione di Leonardo, ha comunque una lunga tradizione iconografica. Non mancano inoltre effetti visivi molto interessanti che contribuirono a rendere questo film un successo. Dato l’argomento e anche la qualità del film, ne vennero fatte diverse copie e versioni che vennero portate negli angoli più remoti della terra. Tutti i frammenti esistenti, disseminati tra Europa e Sud America, sono stati utilizzati dalla Cineteca di Bologna per creare una copia molto vicina all’originale presentata per la prima volta a Venezia nel 2000 e nel 2014 al Cinema Ritrovato di Bologna. Non esprimo un giudizio sul film, ma diciamo che lo consiglierei solo ad un grande appassionato di trasposizioni cinematografiche dei testi evangelici.”
(In emutofu.com)
- Il film di Giulio Antamoro: Christus (1916) oppure in www.youtube.com
Un’attrice: “Leda Gys, pseudonimo di Giselda Lombardi (Roma, 10 marzo 1892 - Roma, 2 ottobre 1957), attrice italiana del cinema muto. Nativa di Trastevere, nacque in una famiglia piccolo borghese, da Giulio e Teresa Ilardi.
Venne introdotta nello spettacolo appena ventenne dal poeta romanesco Trilussa, con cui ebbe una relazione sentimentale. Il suo compagno infatti la raccomandò per lavorare negli studi cinematografici della Celio Film e della Cines di Roma, e lo stesso anagrammando il suo nome di battesimo coniò anche il suo nome d'arte, Leda Gys.
Scritturata quindi come «attrice giovane», nel 1913 esordì come comparsa nel film Dopo la morte. Nello stesso ottenne il suo primo successo con il film L'Histoire d'un Pierrot nel ruolo di Louisette. In quel periodo recitò accanto alle dive del momento come Francesca Bertini ed Hesperia.
Venne notata anche con film brillanti come Leda innamorata (1915), prima pellicola che reca il suo nome già nel titolo e parodia delle dive cinematografiche dell'epoca. Fu partner cinematografica di Mario Bonnard in numerosi film girati tra il 1915 e il 1916 con la Caserini Film, prima di tornare alla Cines dove recitò fra gli altri nel film Christus nel ruolo della Madonna.
Successivamente, venne scritturata dalla napoletana Polifilms dove fu notata dal distributore-produttore Gustavo Lombardo. La Gys lasciò Trilussa e intrecciò una relazione sentimentale con Lombardo che durò tutta la vita. Nel 1920 nacque il loro figlio, e futuro patron della Titanus, Goffredo, e si sposarono nel 1932.
Fu «prima attrice» della Lombardo Film dal 1917 (poi dal 1928 Titanus) e interpretò numerosi film, fra i quali vi fu I figli di nessuno, tratto dal romanzo di Ruggero Rindi. Il maggior successo artistico della carriera della Gys arrivò con la commedia Santarellina del 1923, tratto dalla pièce teatrale Mam'zelle Nitouche di Henri Meilhac e Albert Millaud.
Il film con cui concluse la carriera, peraltro l'ultimo muto della Titanus, fu La signorina Chicchiricchì, e si ritirò dalle scene per occuparsi del figlio.
Interpretò oltre 80 film, specializzandosi nel filone partenopeo, che ebbe grande fortuna non solo nel meridione d'Italia ma anche tra gli emigrati negli Stati Uniti d'America. La sua recitazione, spigliata e spontanea, si stacca dai cliché del cinema muto italiano di quegli anni.”
(In wikipedia.org)
Una poesia al giorno
Eternità d'Amore, di Lorenzo Da Ponte (1749 - 1838)
Stanco e vinto dal sonno al manco lato
inerme entro il mio petto Amor giacea,
e il mio cor, che senz'armi il Dio vedea
l'ali gli tolse ond'avea il tergo ornato.
Sé stesso impenna, e lieve spirto alato
fuor dal natio soggiorno il volo ergea,
e per l'usato calle alla mia Dea
giunse e librossi in sul bel crine aurato.
Indi, quasi farfalla, intorno il foco
degli occhi mosse, ma l'intenso ardore
sciolse gli incauti vanni a poco a poco.
Così dentro il bel sen cadde il mio core;
ed ord sperano in van di cangiar loco
il cor senz'ali, e lo spennato Amore.
“DA PONTE, Lorenzo - Avventuriero e poeta di teatro. Nato a Ceneda, oggi Vittorio Veneto, nel 1749, da ebreo divenne senza vocazione prete cattolico (1773), visse vita misera e dissipata a Venezia, insegnò nel seminario di Treviso. Perduta la cattedra per certe idee ardite sullo stato di natura esposte in un'accademia poetica del seminario, tornò a Venezia, ove si diede a improvvisare e a fare il precettore in nobili case, e fu amico del Casanova. Nel 1779, denunciato per gravi scostumatezze e furfanterie, che gli procurarono una severa condanna, si rifugiò a Gorizia. Di là andò a Dresda e poi a Vienna, raccomandato al maestro Salieri. Ottenuta la protezione di Giuseppe II, ebbe l'ufficio, contesogli dal Casti, di poeta dei teatri imperiali. Raffazzonò vecchi libretti; alcuni ne scrisse per il maestro spagnolo Martini (Martin y Soler), altri per Mozart. Morto Giuseppe II (1790), non godendo il favore di Leopoldo, fu soppiantato dal Casti, eletto poeta cesareo, e dal Bertati, eletto poeta dei teatri imperiali. Nel 1792, dopo aver soggiornato alquanto a Trieste, partì per Londra, dove sposò col rito anglicano un'Inglese e dove visse undici anni, esercitando i mestieri di libraio, stampatore, agente e poeta teatrale, sempre alle prese con usurai, sbirri, avvocati. Partì nel 1805 per gli Stati Uniti e andò successivamente a Philadelpia e a New York, a Sundbury, di nuovo a Philadelphia e a New York, dove fece il droghiere, il libraio, con l'intento di diffondere i libri italiani, ivi allora ignoti, il professore d'italiano, il dantologo: sempre povero, sempre disgraziato, sempre affetto da mania di persecuzione. Morì nel 1838.
Ben 36 libretti compose il Da Ponte e molte liriche: ma egli vive nelle interessanti e, qua e là, vivaci ma poco veridiche Memorie, pubblicate nel 1829-30, e specialmente nelle Nozze di Figaro (1786), nel Don Giovanni (1787) e in Così fan tutte (1790), coi quali libretti diede i migliori esempî, oltre quelli del Casti, di opera buffa italiana, e fu poeta degno del Mozart. La commedia del Beaumarchais diventa più briosa, più snella, più densa nella riduzione del Da Ponte. Quanto al vecchio tema Don Giovanni egli era disposto dalla stessa sua natura di avventuriero a rivivere e a ricreare quel personaggio: il conquistatore delle donne "pel piacer di porle in lista", il gaudente spavaldo, incurante del giudizio divino.”
(Giulio Natali - Enciclopedia Italiana, 1931, in www.treccani.it)
Immagini: The Life of Lorenzo Da Ponte
10 marzo 1749 nasce Lorenzo Da Ponte, sacerdote e poeta italo-americano (morto nel 1838)
Un fatto al giorno
10 marzo 1865: Amy Spain, schiava americana, viene giustiziata per aver rubato dal suo proprietario; si ritiene che sia stata l'ultima esecuzione legale di una schiava in America.
Amy Spain era un'adolescente schiava americana che fu giustiziata da un tribunale militare confederato negli ultimi giorni della guerra civile americana. È stata condannata per tradimento per aver rubato dal suo proprietario e impiccata a un sicomoro a Darlington, nella Carolina del Sud.
(Articolo completo in en.wikipedia.org)
Una frase al giorno
“Non c'è cosa che sia nella sua origine più triste e nella sua conseguenza più orribile della paura di essere ridicolo. Di qui, per esempio, la schiavitù delle donne e parecchi cancri dell'umanità”.
(Karl Wilhelm Friedrich Schlegel, Hannover, 10 marzo 1772 - Dresda, 12 gennaio 1829, da “Frammenti Critici e Scritti di Estetica”).
“Karl Wilhelm Friedrich von Schlegel è stato un filosofo, critico e traduttore tedesco, come suo fratello Wilhelm August von Schlegel. È considerato uno dei fondatori del Romanticismo.
Figlio del pastore luterano Johann Adolf Schlegel (1721–1793), trascorse gran parte della sua infanzia presso uno zio e presso il fratello maggiore Wilhelm. Amico di Novalis, Tieck e degli altri romantici, fiero avversario letterario di Johann Wolfgang von Goethe e Friedrich von Schiller, nonostante dotato di tradizione classicista di stampo winckelmanniano, con il fratello August Wilhelm pubblicò dal 1798 al 1800 la rivista Athenäum.
Visse a Jena, Berlino, Parigi, poi stabilitosi a Vienna nel 1808 e convertitosi al cattolicesimo, divenne stretto collaboratore del cancelliere Metternich (partecipò ai lavori del Congresso di Vienna e venne con lui in Italia nel 1819) e uno dei massimi teorici della Restaurazione.
Tra le sue opere letterarie ricordiamo il dramma classicistico Alarcos (1802) e Lucinde (1799), romanzo a sfondo autobiografico che suscitò scalpore per il suo intento di conciliare amore spirituale e amore sensuale. Ben più importanti i suoi scritti critici e filosofici, fra cui Sul valore dello studio dei greci e dei romani, Storia della poesia dei greci e dei romani, e soprattutto i Frammenti, tentativo di fondere la lingua concentrata, pregnante, ricca di paradossi, elementi poetici, filosofici e religiosi.
Schlegel diede l'avvio alla poetica romantica, sostenendo la necessità di svincolare la letteratura dai modelli classici. Nelle sue ultime opere Storia della letteratura antica e moderna, 1815, lavorò a una storia letteraria di taglio sistematico. Dopo aver interrotto un apprendistato nel commercio a Lipsia, studiò da solo per ottenere accesso all'università dove studiò diritto, matematica, filologia classica, medicina e filosofia dapprima a Gottinga e in seguito a Lipsia.”
(In wikipedia.org)
- Ascoltarlo: Schubert: Die Sterne, D.684 (testi di F. von Schlegel) - Du staunest, o Mensch
10 marzo 1772 nasce Karl Wilhelm Friedrich Schlegel, poeta e critico tedesco (morto nel 1829)
Un brano musicale al giorno
Arthur Honegger, Giovanna d'Arco sul rogo (Jeanne d'Arc au bûcher) Oratorio drammatico.
17 novembre 2012, Barcellona e National of Catalonia Symphony Orchestra (OBC). Direzione: Marc Soustrot
Musica: Arthur Honegger (1892 - 1955)
Testo: Paul Claudel
Coro Vivaldi
Lieder Choir Camera
Coro madrigale
Regista: Jean-Pierre Loisil
Luogo: Sala Pau Casals, L'Auditori (Barcellona, Spagna)
Marion Cotillard (Joana d'Arc)
Xavier Gallais (Hermano Dominique)
Yann Beuron (Una voz, Porcus, Herald I, Chaplain)
Maria Hinojosa (La Virgen)
Marta Almajano (Marguerite)
Aude Extrémo (Catherine)
Anna Moreno-Lasalle (Mère aux Tonneaux)
Eric Martin-Bonnet (Una voz, Herald II, Peasant)
Carles Romero Vidal (Herald, the ass, Bedford, J. de Luxembourg, Grinder Trusty, Peasant)
Pep Planas (The Usher, R. de Chartres, G. de Flavy, Perrot, Priest)
Jeanne d'Arc au bûcher
Oratorio drammatico
Prologo:
Les Voix du ciel
Le livre
Les Voix de la terre
Jeanne livrée aux bêtes
Jeanne au poteau
Les rois, ou l’invention du jeu de cartes
Catherine et Marguerite
Le Roi qui vat à Rheims
L’Epée de Jeanne
Trimazo
Jeanne d’Arc en flammes
Ruoli recitati:
Jeanne d'Arc
Frère Dominique
I e II Recitante
Il messo del tribunale
Araldo III
L'Asino
Il Duca di Bedford
Giovanni di Lussemburgo
Heurtebise
Regnault de Chartres
Guillaume di Flavy
Perrot
Un prete
Un contadino
La madre delle botti
Ruoli cantati:
La Vergine (soprano)
Margherita (soprano)
Caterina (contralto)
Una voce (tenore)
Il porco (tenore)
Araldo I (tenore)
Il chierico (tenore)
Un'altra voce (basso)
Araldo II (basso)
Un altro contadino (basso)
Una voce di fanciullo (voce bianca)
Mimi
Organico: voci recitanti, 2 soprani, contralto, tenore, coro misto, 2 flauti (2 anche ottavino), 2 oboi, 3 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 3 sassofoni, tromba piccola, 3 trombe, 3 tromboni, trombone basso, timpani, tam-tam, tamburo, tamburo piccolo, grancassa, piatti, celesta, 2 pianoforti, onde Martenot, archi.
Composizione: 3 gennaio - 28 novembre 1935 (Prologo 28 novembre 1944)
Prima esecuzione: Basilea, Kunstmuseum, 12 maggio 1938
Edizione: Maurice Senart, Parigi, 1939
Dedica: Ida Rubinstein
Guida all’ascolto, di Elisabetta Fava (testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia, Roma, Auditorium Parco della Musica, 12 ottobre 2008)
"Non si può dorare l'oro", aveva detto Paul Claudel ad Arthur Honegger nel rifiutare la collaborazione per un'ipotetica Jeanne d'Arc au bûcher da destinarsi a Ida Rubinstein: da francese, e da cattolico, non se la sentiva di metter mano alle parole di un'icona nazionale, consegnate già alla storia dagli atti del processo. Poi, quando già il treno lo riportava ai suoi doveri di ambasciatore a Bruxelles, lontano da quel simpatico musicista che era rimasto male per il rifiuto, ebbe d'un tratto un'intuizione che lo fece ricredere: non era certo il caso di ripercorrere tutte le tappe della vicenda di Giovanna, ma sarebbe stato molto interessante e nuovo concentrarsi sulle ultime ore della condannata, sui suoi dubbi, su una sorta di perdita dell'identità che solo di fronte al martirio ritrova la propria luminosa certezza.
(Leggi tutto in www.flaminioonline.it)
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.
È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.
Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.
“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”
(Wikipedia)
“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”
(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)
“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.
(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)
“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”
(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)
“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”
(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)
“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.
(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)
Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/
Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0
https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs
https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4
https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk
Una poesia al giorno
Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].
Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi
che certo guarderanno male la nostra gioia,
talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?
Andremo allegri e lenti sulla strada modesta
che la speranza addita, senza badare affatto
che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?
Nell'amore isolati come in un bosco nero,
i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,
saranno due usignoli che cantan nella sera.
Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,
non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene
accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.
Uniti dal più forte, dal più caro legame,
e inoltre ricoperti di una dura corazza,
sorrideremo a tutti senza paura alcuna.
Noi ci preoccuperemo di quello che il destino
per noi ha stabilito, cammineremo insieme
la mano nella mano, con l'anima infantile
di quelli che si amano in modo puro, vero?
Nous serons
N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants
Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,
Nous serons fiers parfois et toujours indulgents
N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie
Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,
Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.
Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,
Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,
Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.
Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible
Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,
S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.
Unis par le plus fort et le plus cher lien,
Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,
Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.
Sans nous préoccuper de ce que nous destine
Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,
Et la main dans la main, avec l'âme enfantine
De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?
Un fatto al giorno
17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.
(da Focus)
Una frase al giorno
“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”
(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)
Un brano al giorno
Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k