L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
IKO SHASHVI MGALOBELI (C'era una volta un merlo canterino, Unione Sovietica, 1970), regia di Otar Iosseliani. Sceneggiatura: Otar Iosseliani, O. Merkhrishivili, Ilya Nusinov, K. Kakishashvili, S. Lungini, D. Eristani. Fotografia: Abesalon Majsuradze. Montaggio: Julietta Bezuashvili. Musiche: Temur Bakuradze.
Guia Agladze è un giovane che abita in una grande città e fa parte, come timpanista, dell'orchestra. Spensierato, amicone di tutti, facile a comunicare e a legare con le ragazze, disperde il suo tempo in cento inezie e giunge regolarmente a teatro all'ultimo atto di "Daissi", uno spartito che gli chiede solamente alcune battute nel finale. I suoi amici sono stanchi di attenderlo angosciati; il direttore d'orchestra non sopporta tale esempio di indisciplina; il direttore del teatro lo convoca per una severa ramanzina, ma, come tutti gli altri, non riesce ad avere un incontro serio con lui. La medesima cosa accade a Lia, la sua amichetta, a degli ospiti che ha invitato in casa propria e poi non accompagna, a vari gruppi di amici con cui dovrebbe passare delle serate. Prima di riuscire a maturare, Guia muore poiché, distratto da due ragazze, attraversa la strada senza avvedersi dell'arrivo di un camion.
“Il film, costruito sulla figura di un giovane svagato e insieme curioso e sul suo contrapporsi all'ambiente che lo circonda, richiama alla mente parentele illustri: in particolare col Truffaut delle tenere operine su Antoine Doinel e col Forman "cecoslovacco". Ma rispetto al primo, a prescindere dal contesto, risultano subito evidenti le differenze: l'ottica (piccolo-borghese) del regista francese è sostanzialmente omogenea a quella del protagonista e del suo ambito, l'ironia si stempera in una affettuosa benevolenza. Forman è più "cattivo" di Truffaut, il candore un po' imbranato dei suoi adolescenti mette in luce i tic e le miserie di una "middle class" socialista votata a ritualità cretine. Ma anche lui non riesce poi a superare il concetto di "gap generazionale", inteso come categoria universale e astratta, tanto che lo ripropone, (minime) "mutatis mutandis", nel suo primo film americano, Taking off. Cosicché forse l'unico termine di paragone praticabile rimane il simpatico contaballe di Vive questo ragazzo di Sukshin. Ma anche qui, nonostante l'ironia, il protagonista viene recuperato da un quasi casuale fatto di eroismo, anche se poi dilatato dalla sua propensione alla menzogna. In Iosseliani, invece, non c'è spazio per un consolatorio reinserimento sociale del personaggio "diverso", e la sua sconfitta, ben lungi dall'inserirsi in una prospettiva di espiazione, testimonia lucidamente la disperata coscienza dell'ineluttabilità del "sistema". Ghia, il timpanista che arriva sempre in ritardo, che non va agli appuntamenti con le ragazze, o ci va cogli amici, che frequenta la biblioteca non per studiare ma per distrarre che studia, è la rotella dell'ingranaggio che rifiuta di girare, la mela marcia del cesto. La sua irregolarità consiste nella distrazione, nella curiosità ben presto abbandonata, nel rifiuto in sostanza di essere specializzato e produttivo. Il regista non ci spiega il perché psicologico di questo atteggiamento: Ghia è così e basta, la sua natura debitamente simbolica "funziona" in rapporto ad un "mondo" precisamente connotato sia nelle strutture sociali sia nelle sovrastrutture psicologiche. Iosseliani non ne esalta, fortunatamente, le potenzialità fantastiche, non fa di lui uno stucchevole "poeta" destinato ad infrangersi contro gli scogli dell' "arido vero". Certo esiste in lui una creatività (il porta-berretto dell'orologiaio, la molla), ma è casuale, riferita appunto alla dimensione che sembra essere la più congeniale al personaggio. In una società in cui l'organizzazione ha delle regole precise, tutti devono attenersi ad esse. Bisogna essere tempestivi nello svolgere le proprie mansioni, anche ridicole, bisogna rimanere fino alla fine dell'esecuzione in un'orchestra sgangherata per poter dare due colpi ai timpani (bisogna avvitare tutti i giorni lo stesso bullone, rifare meccanicamente ogni giorno gli stessi gesti, riprodurre a livello di psicologia individuale, di comportamento privato, la "filosofia del sistema". Dietro Ghia, dietro il suo "ciabattare stupidamente sulla terra", ci sono tutti gli altri, quelli che "funzionano", e la loro pochezza fa rabbrividire: sono un miserabilmente buffo direttore d'orchestra, un laido burocrate, un medico chiacchierone. Tutti cercano di riportare il "merlo canterino" sulla retta via, ma questo piccolo "uomo senza qualità" semplificato e disintellettualizzato annuisce e continua ad interessarsi a tutto e a niente. Gli unici legami duraturi sono quelli che lo uniscono alla madre e agli ubriaconi, con i quali si trova in perfetta sintonia nei cori e nelle bevute, sono cioè confinati rispettivamente nell'ambito elementare della consanguineità e in quello dell' "irregolarità" (l'ubriacone è dovunque un "dropout", ma in una società socialista è visto come un pericoloso asociale). Non esistono dunque agganci per un recupero sociale, Ghia deve morire. Fin dalle prime sequenze strani incidenti bersagliano lo svagato timpanista: botole aperte sul palcoscenico rischiano di farlo precipitare, mattoni e vasi di fiori gli cadono a pochi centimetri mentre si aggira per le vie della città. Queste minacce, comiche nella loro apparente, imprevedibile casualità, anticipano necessariamente il compiersi dell'assurdo dramma finale. Le cose stesse, investite di una funzione simbolicamente punitiva, minacciano il giovane "straniero", individuandolo come corpo non omogeneo ad una realtà sociale perfetta nella sua allucinante banalità. La pozza di sangue di Ghia arrossa ancora sull'asfalto, quando l'orologiaio, girando una vite, fa funzionare di nuovo una vecchia carcassa. Il meccanismo, riparato l'ingranaggio inceppatosi, riprende la sua corsa e invade lo schermo, iperrealisticamente ingrandito, scandendo col suo ticchettio il ritmo dei titoli di coda. Sullo sfondo delle voci parlano dell'avvicendarsi delle stagioni, della semina, delle attività agricole. L'ordine (biologico) delle cose è stato ripristinato, la vita continua. Nell'incerto bianco e nero di un finto "cinéma vèritè", con le gigantografie "pop" di un improbabile Oldenburg sovietico, Iosseliani è riuscito a farla in barba alla proverbiale sagacia dei censori. Il timpanista è diventato cattivo, ha smesso di suonare e si è trasformato in un giovane Holden che non si limita a scoprire che gli adulti mentono, sublimando in una nevrosi brontolona e un tantino Zen la propria potenziale eversività. Ghia non impreca, si pone come simpatico termine di paragone, ma la sua presenza è ugualmente esplicita. "Déraciné" sceso da una Atalante in navigazione fra il Kura e il Mar Caspio, non può essere gratificato da una liberatoria pioggia di piume anarchiche: Zéro de conduite e l'utopia non hanno diritto di cittadinanza nella Repubblica Socialista di Georgia. Salinger e Vigo sono lontani, probabilmente semisconosciuti, e l'ignoranza (peraltro giustificata) del contesto suggerisce una pericolosa arbitrarietà nei riferimenti analogici. Ma il cinema di Iosseliani esiste, e la sua importanza trascende lo specifico, costituendo uno dei più lucidi e più liberi documenti dell' "impossibilità di essere normali" nell'URSS”.
(Paolo Vecchi, Cineforum n. 165)
“Quando François Truffaut fu "scoperto" di aver trovato ispirazione da C'era una volta un merlo canterino (realizzato nel 1971 e presenato a Cannes nel 1974) per L'uomo che amava le donne (uscito nel 1977), rispose divertito che mai avrebbe pensato a qualcuno capace di accorgersi di uno sconosciuto autore georgiano. Proprio C'era una volta un merlo canterino, se pur probabilmente non il migliore, per Iosseliani è stato il film che lo ha reso famoso anche in occidente. Un giovane di Tbilisi, timpanista nell'orchestra del conservatorio della città, vive tenendosi lontano dalle costrizioni sociali e non riesce a trovare mai il tempo per curare la sua vita professionale e privata. È sempre in ritardo al lavoro, addirittura si presenta ai concerti all'ultimo momento, proprio quando deve intervenire con il suo strumento. Con le donne non ha problemi ad avvicinarle, il problema è mostrarsi interessato ad un rapporto più serio e duraturo. L'amico dottore gli diagnostica pigrizia acuta e lentamente questa sua mancanza di disciplina porterà a compromettere tutto il suo mondo. Probabilmente per amare senza freni questo grandissimo regista, bisognerebbe vedere altri titoli come Briganti, Lunedì mattina, Addio Terraferma, ma è anche vero che già in questo piccolo gioiello si scopre l'eccentricità del regista come una sorta di grammatica generale. Il suo cinema sembra forzatamente parlato, delle volte lo è per caso, proprio perché gli uomini spesso sono costretti a parlare. Il suo sguardo, in modo insensibile e lieve, sfugge a qualunque convenzione drammaturgica delle cose da dire. In Iosseliani scintilla l'imprevidibilità del prevedibile dell'accadere attraverso una sorta di musicalità scherzosa. Filmico all'inverosimile, Iosseliani è sotterraneo, poco lirico, ma prepotentemente geniale. È proprio lo "scherzo" (quello del destino e quello musicale) tra le figure predominanti del suo cinema e ancor di più in C'era una volta un merlo canterino, in cui si maschera una certa implacabilità, una certa pesantezza lapidaria di altri titoli (vedi il bellissimo Ghisa, sempre nella stessa notte di sabato a Fuori Orario). Nel film più esplicitamente musicale, Iosseliani segna il passo dinoccolato del suo cinema e del suo "merlo canterino" (che in una scena si chiede a cosa mai potrebbero servire le linee a terra, su un set cinematografico), il passo attento e ossessivo della distrazione e della deriva. Nella stessa notte di Fuori Orario, un concentrato di levità di ossimori con la pesantezza di una condanna sugli uomini di fumo e di Ghisa”.
(Leonardo Lardieri in www.sentieriselvaggi.it)
- Guarda su youtube la versione originale con sottotitoli in inglese: www.youtube.com
Una poesia al giorno
Pinballs (Flipper), di Laurence Hutchman (poeta e professore, nato a Belfast, Irlanda del Nord, nel 1948. Traduzione in italiano a cura di Angela D’Ambra)
Sotto la dita la musica della macchina
si muove al tuo ritmo interiore;
la pallina schizza in un arco,
scivola per calle della fortuna,
prilla tra i cancelli
del paradiso
oltre piramidi
sirene tentatrici
colonne d’Ercole
il tinno della libertà
dentro un’odissea nello spazio.
Musicista, soldato, amante sei.
Destrezza la tua arte
in questo mondo di luce, azione, colore;
premi, fai guizzare, roteare
e la pallina d’argento
tocca i punti colorati
erompe in trilli.
Tra uomini d’affari brizzolati,
ragazzi esperti e ragazze schive
tu combatti la macchina
genitori
e governi
segui il corso
della tua fortuna
mentre la macchina
t’accende il sogno:
Hollywood, hockey, discoteca
t’immerge nella sua colorata
sinestesia
e sei in lotta contro i punti
finché la spia lampeggia,
“Fine del Gioco”.
Un fatto al giorno
11 maggio 1960: A Buenos Aires, in Argentina, quattro agenti israeliani di Mossad catturano il fuggitivo nazista Adolf Eichmann che vive sotto il falso nome di Ricardo Klement.
Insieme alla CIA e ai servizi segreti britannici, il Mossad israeliano è una delle agenzie d’intelligence più conosciute al mondo. Questo solo in parte per alcune ricostruzioni fantasiose d’operazioni di «false flag» attribuite, come l’accusa d’«inside job» negli attentati a Charlie Hebdo, ma soprattutto per la quantità d’operazioni di successo riconosciute e per l’aura d’infallibilità guadagnata sul campo. Basta frequentare i notiziari cartacei e telematici per rendersi conto della presenza del Mossad. Notizia recente è stata l’infiltrazione di una spia ai massimi livelli del gruppo terroristico Hezbollah. Oppure il report sulle centinaia d’affiliati europei dell’ISIS pronti a preparare attacchi in simultanea in almeno dieci nazioni del vecchio continente. Infine, sempre di recente, è tornata a far parlar di sé l’operazione congiunta CIA–Mossad che eliminò Imad Mughniyah, capo delle operazioni internazionali di Hezbollah con un lungo curricolo d’attentati contro obiettivi israeliani e americani. Il Mossad - nome completo, «Istituto per l’intelligence e servizi speciali» - è il servizio d’intelligence nonché agenzia segreta di spionaggio d’Israele che ha come obiettivo lo studio e la prevenzione d’attività che possano pregiudicare la sicurezza nazionale. Istituito nel 1949 come «Istituto centrale di coordinamento» dei servizi d’intelligence dell’esercito (Aman), della sicurezza interna dello Stato (Shin Bet) e del «dipartimento politico» del ministero degli esteri, nel 1951 il Mossad fu inserito nella struttura burocratica del primo ministro, cui risponde direttamente. Il Mossad non è un agenzia militare. Ciò nonostante, poiché in Israele il servizio militare è un obbligo di legge, una larga componente dei suoi 1.200 dipendenti sono riservisti e quindi «militari» soggetti alla chiamata alle armi. Attualmente il Mossad lavora prevalentemente nel contrasto al terrorismo islamico e nella gestione d’operazioni finalizzate alla raccolta d’informazioni segrete su specifici dossier che rappresentano una minaccia alla sicurezza nazionale. Un esempio su tutti, le operazioni coperte israeliane con le quali è stato rallentato il processo d’arricchimento dell’uranio nelle centrali nucleari iraniane.
Il Mossad ha una lunga storia d’operazioni audaci e di successo, sebbene le informazioni sulle sue attività che raggiungono il pubblico siano solo una punta dell’iceberg. E questo è uno dei motivi per cui è considerato uno dei migliori servizi d’intelligence in tutto il mondo. Detto questo, il modo migliore per raccontare il Mossad è elencarne le gesta. In più di mezzo secolo di vita, ha portato a termine alcune delle più incredibili operazioni d’intelligence nella storia dei servizi segreti. Impossibile non iniziare con la «caccia ai nazisti». Su tutti spicca l’individuazione e cattura in Argentina di Adolf Eichmann, paramilitare e funzionario tedesco, considerato uno dei maggiori responsabili operativi della soluzione finale nella Germania nazista. Simile è stata l’operazione che ha portato all’eliminazione del criminale di guerra lettone Herberts Cukurs, soprannominato «il macellaio di Riga», autore di crimini contro l’umanità ai danni del popolo ebraico. (In: thefielder.net)
Adolf Eichmann, considerato il principale responsabile e organizzatore delle deportazioni degli ebrei nei campi di concentramento nazisti, al termine della guerra si rifugia sotto falso nome in Argentina così come altri ufficiali delle SS.
Da provare a vedere il video: www.youtube.com
Una frase al giorno
“Ha più valore, un milione di volte, la vita di un solo essere umano che tutte le proprietà dell'uomo più ricco della terra”
(Che Guevara)
Un brano al giorno
“Nathalie”, scritta da Pierre Delanoë, composta da Gilbert Bécaud nel 1964.
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org