“L’amico del popolo”, 11 settembre 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

MR. BUG GOES TO TOWN (Hoppity va in città, animazione, USA, 1941), regia di Max Fleischer. Scritto da Dan Gordon, Tedd Pierce, Isadore Sparber, Graham Place, Bob Wickersham, William Turner, Carl Meyer, Cal Howard. Storia di Dave Fleischer, Dan Gordon, Tedd Pierce, Isadore Sparber. Musica di Leigh Harline, Frank Loesser, Hoagy Carmichael, Sammy Timberg, Lou Fleischer.
Doppiatori nella versione originale: Kenny Gardner: Dick, Gwen Williams: Mary. Jack Mercer: Bombo, Swat. Tedd Pierce: C. Bagley Beetle. Carl Meyer Smack. Stan Freed: Hoppity. Pauline Loth: Honey. The Four Marshals: Coro. The Royal Guards: Coro. Pinto Colvig: Mr. Creeper. Margie Hines: Mrs. Ladybug, Buzz. Guinn 'Big Boy' Williams: Narratore.

Hoppity va in città è il secondo film d'animazione di Max Fleischer. È uscito al cinema distribuito dalla Paramount il 5 dicembre 1941. È basato su La vita delle api di Maurice Maeterlinck. È conosciuto anche con i titoli Mister Bug va in città e Il grillo parlante torna in città.

MR. BUG GOES TO TOWN (Hoppity va in città, animazione, USA, 1941), regia di Max Fleischer

Il film racconta del ritorno di Hoppity in una città americana, dopo essere stato assente per lungo tempo. Nel negozio di miele gestito da Mr. Bumble, si vede arrivare improvvisamente un Bee-scout, che avverte una signora che la sua casa sta andando a fuoco, per colpa di un fiammifero gettato li dagli umani. Poco dopo arriva Hoppity, che viene accolto calorosamente da tutti, ma lui ad un certo punto va verso la sua amica d'infanzia Honey. Poco dopo si sente un urto sul negozio di miele, era un sigaro mandato di proposito sul negozio da Bagley Beetle. Hoppity prende il cappello di Bagley Beetle, riempiendolo erroneamente di benzina, lo butta sul sigaro per farlo spegnere, ma invece scoppia, fortunatamente senza che nessuno si facesse male. Fu da quel momento che Hoppity iniziò la ricerca di un nuovo posto dove andare a vivere, trovò un giardino rigoglioso, ma un innaffiatore li spazzò tutti via. Dopo quel triste evento nessuno gli voleva parlare più, allora pensò di andarsene. Si fermò davanti ad una finestra dove Mr. Dickens suonava il pianoforte, aspettava tutti i giorni che la stazione radio gli mandasse una risposta, e di diventare famoso, per poter pagare la casa. Arrivò il giorno in cui la lettera fu consegnata, ma Mr. Beetle vi chiuse dentro Hoppity, e la nascose tra le fessure di 2 pietre. Mr. Beetle tramava e bramava di sposare Honey, ma non ci riuscì, perché Hoppity, riuscì a liberarsi, e lo sconfisse, poi imbucò la lettera che dopo un po' arrivò a Mr. Dickens, che prese casa sul tetto di un grattacielo, dove c'era un giardino, e li vi si stabilirono gli insetti amici di Hoppity, creando Bugville.

“Il film uscì il 5 dicembre 1941 e due giorni dopo a causa dell'attacco giapponese a Pearl Harbour, gli Stati Uniti dovettero entrare in guerra. Il film non piacque al pubblico dell'epoca e non fu un successo, quindi non guadagnò i soldi al botteghino per saldare i debiti di I viaggi di Gulliver e di Hoppity va in città. L'anno seguente Max Fleischer fu costretto a chiudere gli Studios e a cederli alla Paramount, che li trasformò nei Famous Studios.”

(Wikipedia)

Fu uno dei primi prototipi di film in 3D.

MR. BUG GOES TO TOWN (Hoppity va in città, animazione, USA, 1941), regia di Max Fleischer

 

Una poesia al giorno

A Madonna Giulia di crudeltà, di Bernardo Accolti, Verginia (1535), Sonetti

Non presentate amador poco accorti
Ad una fera beccafichi in cena,
Chi vuol satiar questa tigre terrena
Un mazzo gli presenti d’huomin morti.
Presenti un mar di sospir duri & forti,
O una fonte di lagrime piena,
Una Hidra, una Medusa, una serena,
Un libro pien di mille stratij & torti.
Ne pregar Dio ti guardi da fatica,
Da man di traditori o da ria sorte,
Ma da costei che d’ogni huomo è nimica.
Chi vuol mandar biastemmia estrema & forte,
Al adversario suo perfido dica
Va che possa amar Giulia idest la morte.

Bernardo Accolti (Arezzo, 11 settembre 1458 - Roma, febbraio 1535) è stato un poeta e drammaturgo italiano, soprannominato l'Unico Aretino, autore della commedia La Virginia (1493) e degli Strambotti.

Nacque l'11 settembre 1458, da Benedetto e da Lauta Federighi, forse in Arezzo (donde erano originari gli Accolti, ma trasferitisi già in parte a Firenze fin dal sec. XIII). Passò la giovinezza in Firenze, per recarsi poi a Roma, dove nel 1489 si fece notare, come dice un documento mediceo, per atti molesti compiuti ai danni di un fiorentino. Forse è di questo periodo, e suo, un carme latino che va sotto il nome di "Bernardus Maria Aretinus". Sicura è invece la data della commedia intitolata Virginia dal nome della figlia e dedicata ad Antonio Spannocchi in occasione delle sue nozze avvenute a Siena il 17 gennaio 1494. È una commedia in ottave ripartita in cinque atti, la cui trama è tolta di peso da una novella del Decameron (giorn. IX, nov. 3) e la cui costruzione formale è del tipo delle sacre rappresentazioni.

Documenti del 1494 ci attestano che l'A. era già stato nominato scrittore ed abbreviatore apostolico e, per colpe non bene spiegate, era esiliato da Firenze. Perdonato, perdette di nuovo il favore della Signoria nell'estate 1497, prestando a Piero de' Medici 200 fiorini per aiutarlo nel tentativo di rientrare in Firenze. I congiurati più in vista, tra cui Lorenzo Tornabuoni, da lui pianto in versi, furono decapitati. Egli fu solamente esiliato e rimase in Roma. Di lì si recò spesso alle corti di Milano, Urbino, Mantova e forse Napoli, improvvisatore desiderato ed acclamato, spasimante di principesse, gradito come spirito eccentrico ai signori ed agli altri poeti. Ebbe una nutrita corrispondenza epistolare con la marchesa Isabella di Mantova, che, con la cognata Emilia Pio, si divertiva del suo pazzo amore per l'altra cognata Elisabetta, duchessa di Urbino.

Nel Cortegiano del Castiglione campeggia un breve e scherzoso episodio dell'amore dell'A, per la bella "traditrice". Forse però, contrariamente a quel che si è creduto e detto, non fu tutto e solo spasimo di giullare il suo, perché troppo a lungo gliene durò la fantasia tanto nelle rime, cortigiane sì, ma qualche volta indispettite, che le dedicò chiamandola Julia, quanto in diverse circostanze della sua vita, in cui veramente si illuse e ambì di ottenere quell'amore.
Cantò anche altre donne. Gli fu attribuito un amore non platonico con Lucrezia Borgia, ma due sonetti a lei dedicati non ce ne danno indizio. Altri due sonetti dedicò a una Lidia, di certo fiorentina. Le rime a Julia sono sessantasei. Uno strambotto a Isabella d'Aragona, un sonetto a Dorotea Spannocchi, un sonetto e uno strambotto a Giovanna Spannocchi, tre sonetti alla contessa Costanza Vittoria d'Avalos non sono di argomento amoroso. Rime cortigiane dedicò al pontefice Alessandro VI, al duca Valentino, a Ludovico Sforza, al cardinale Farnese, futuro Paolo III, e ad altri personaggi. Scrisse anche un Ternale a Maria Vergine. Alla morte di Giulio II (1513) agognò per il fratello Pietro, ormai cardinale di Ancona, la tiara papale sperando forse di elevarsi così all'altezza della duchessa d'Urbino, rimasta intanto vedova. Ma fu eletto Leone X, che del resto protesse sempre gli Accolti, facendo loro larghi donativi e dando incarichi onorifici a Bernardo.

Varie testimonianze del tempo lo accusano di stoltezza e di stravaganza e il silenzio dei documenti per alcuni anni intorno alla sua persona, unito alle parole "malattia e grave parossismo" di un contemporaneo, fa pensare ad una sua crisi di follia e ad un suo probabilissimo allontanamento dalla società. Ma, superati questi periodi di eclissi, egli si ripresentò nelle sale vaticane a declamare e a farsi applaudire.

Importante nella sua vita fu l'intricata e dolorosa vicenda del ducato di Nepi, presso Roma, da lui acquistato per 5000 ducati nel 1520 o '21, poi perduto a causa di alcune sue violenze (1522-23 e 1528-29), riconquistato a stento e in fine perduto di nuovo definitivamente e senza risarcimento (1534): sogno principesco andato in fumo. Egli ne morì disperato. Fu sepolto il 1 marzo 1535. Aveva avuto due figli naturali: Alfonso Maria e Virginia”

(Lilia Mantovani - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 1, 1960)

 

Un fatto al giorno

11 settembre 1541: Santiago, in Cile, viene distrutta dai guerrieri indigeni, guidati da Michimalonco.

MichimaloncoMichima Lonco (metà del XVI secolo) (michima significa "straniero" e lonco significa "capo" o "capo" in lingua Mapudungun) era un capo indigeno considerato un grande guerriero, nato nella valle dell'Aconcagua e istruito a Cusco dall'impero Inca. Si presentò agli spagnoli, nudo e coperto da una pigmentazione nera. Aveva sette mogli e viveva tra la Jahuel Valley e la Putaendo Valley.

L'11 settembre 1541, Michimalonco attaccò il nuovo insediamento spagnolo di Santiago, in Cile, dopo che sette caciques furono presi in ostaggio dagli spagnoli a seguito di una rivolta. Si diceva che Michimalonco conducesse da 8.000 a 20.000 uomini. La difesa della città di minoranza numerica fu guidata da Inés de Suárez, un conquistatore femminile, mentre il comandante Pedro de Valdivia era altrove. Gran parte della città fu distrutta quando Suárez decapitò uno dei caciques e fece decapitare il resto per sorprendere gli indigeni. I nativi furono quindi cacciati dagli spagnoli.
Dopo aver combattuto gli spagnoli, è fuggito nelle valli delle Ande. Lì si nascose per un paio d'anni ma sentendosi nostalgico tornò a valle e alleò le sue forze con gli spagnoli e andò a combattere i Mapuche a sud. È stato reputato cresciuto a Cuzco e ha acquisito un accento quechua quando parlava la sua lingua natia, quindi è stato nominato "capo straniero".

(Wikipedia)

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Una frase al giorno

"I tre gruppi più importanti che hanno spinto questo paese verso la guerra sono l'amministrazione britannica, quella ebraica e quella di Roosevel.”

Charles Lindbergh (4 febbraio 1902, Detroit, Michigan, Stati Uniti Decesso: 26 agosto 1974, Kipahulu, Hawaii)

(11 settembre 1941, dal discorso di Des Moines di Charles Lindbergh. L’intero discorso di Lindbergh venne usato da Goebbels per giustificare l’odio contro gli ebrei. L'11 settembre 1941 si assistette a uno dei più vili discorsi sulla politica estera mai pronunciati da un eminente americano: il discorso di Des Moines del Charles Lindbergh. Nel 1941 Lindbergh era considerato tra i più grandi eroi d'America, essendo stato il primo a volare da solo attraverso l'Atlantico. Certamente fu il volto del movimento non-interventista negli Stati Uniti alla vigilia della seconda guerra mondiale).

 

Un brano musicale al giorno

Valentino Fioravanti, Le cantatrici villane, Finale Atto I

Valentino Fioravanti (Roma, 11 settembre 1764 - Capua, 16 giugno 1837)13.10.2010: Opera nazionale di Bucarest, atrio giallo. Regia: Anda Tabacaru Hogea

Rosa: Rodica Vica (debut),
Carlino: Liviu Indricau,
Agata: Andreea Iftimescu (debut),
Gianetta: Cristina Eremia,
Don Bucefalo: Ştefan Schuller,
Don Marco: Paul Basacopol,
Nunziello: Narcis Brebeanu (debut).

La pian: Lidia Butnariu

Valentino Fioravanti (Roma, 11 settembre 1764 - Capua, 16 giugno 1837) è stato un compositore italiano.

«Ammirato da Cimarosa e da Rossini, seppe strappare numerosissimi consensi ai suoi tempi. Contrariamente ad alcuni suoi contemporanei egli non cadde nella banalità; infatti la sua musica risulta essere flessibile, equilibrata, veloce, carica di luminosità e di grande effetto. A Cimarosa piacevano particolarmente i suoi "parlati", ossia i passaggi tra il canto e la recitazione e viceversa. Sebbene il suo campo d'azione fosse l'opera buffa, scrisse un elevato numero di opere serie, alcune delle quali legate alla tradizione teatrale francese. Da non trascurare l'importanza del suo librettista di fiducia, Giuseppe Palomba con il suo stile pittoresco e umoristico. Per sottolineare il suo successo presso i contemporanei, basti pensare che Goethe diresse a Weimar una rappresentazione de Le cantatrici villane. A differenza dei lavori teatrali, le composizioni sacre di Fioravanti occupano una posizione di scarso rilievo, in quanto vengono considerate assenti di originalità, scialbe e deboli».

(Wikipedia)

 

Un evento sportivo al giorno

11 settembre 1933 nasce Nicola Pietrangeli, tennista italiano

«Nicola Pietrangeli (Tunisi, 11 settembre 1933) è un ex tennista, conduttore televisivo e attore italiano e, inoltre, opinionista sportivo. Vincitore del Roland Garros per due anni consecutivi (1959 e 1960) su quattro finali disputate, è stato il primo italiano in assoluto a vincere un torneo del Grande Slam. Il database di Tennis Archive riporta che, nella sua eccezionale carriera, svoltasi prima dell'Era Open, ha vinto 66 tornei in singolare, tra cui anche due edizioni degli Internazionali d'Italia e sette campionati italiani assoluti. Ha vinto il Roland Garros anche nel doppio e nel doppio misto. È stato inserito nell'International Tennis Hall of Fame.
È stato n. 3 del mondo in singolare sia nel 1959 sia nel 1960, secondo le classifiche relative ai tennisti dilettanti allora redatte da Lance Tingay del The Daily Telegraph, e nel 1961 in quella di Ned Potter. Nel 1960 firmò con Jack Kramer il contratto per passare al professionismo; poi ci ripensò e restituì l'acconto di 5000 dollari, preferendo rimanere tra i dilettanti ai quali, all'epoca, era riservata la Coppa Davis.
Ha vinto la medaglia di bronzo in singolare nel torneo di esibizione ai Giochi della XIX Olimpiade di Città del Messico nel 1968, una medaglia d'oro e di bronzo ai Giochi del Mediterraneo nel 1963, aggiudicandosi infine la Coppa Davis con la Nazionale nel 1976 come capitano non giocatore. Detiene il record del numero di titoli italiani assoluti in campo maschile»

(Wikipedia)

11 settembre 1933 nasce Nicola Pietrangeli, tennista italiano

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Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k