L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
LA GRANDE STRADA AZZURRA (Italia, Francia, Germania, Jugoslavia, 1957), regia di Gillo Pontecorvo. Scritto da: Franco Solinas. Sceneggiatura: Gillo Pontecorvo, Franco Solinas, Ennio De Concini. Fotografia: Mario Montuori. Montaggio: Eraldo Da Roma. Musiche: Carlo Franci. Cast: Alida Valli: Rosetta. Yves Montand: Squarciò. Francisco Rabal: Salvatore. Umberto Spadaro: maresciallo. Federica Ranchi: Diana. Mario Girotti: Renato. Peter Carsten: Rivo. Giancarlo Sablone: Antonino.
Tra i poveri pescatori dell'arcipelago, Squarciò, che pratica abusivamente la pesca con bombe esplosive, è l'unico che goda di una certa agiatezza. Il maresciallo, vecchio amico di Squarciò, benché conosca la sua illecita attività, non può fare niente per impedirla, perché non è mai riuscito a coglierlo in fallo. Diana, la figlia di Squarciò, è innamorata di un giovane che l'ha sedotta. Questi, essendo disoccupato, ruba l'esplosivo per conto di Squarciò, ma scoperto dal maresciallo per fuggire cade e viene ucciso dallo scoppio della miscela. Il maresciallo si dimette e il collega che lo sostituisce dispone di un motoscafo con il quale può esercitare una sorveglianza più efficace sull'attività dei pescatori. Per rendere vana tale sorveglianza Squarciò si procura un motore più veloce per la sua barca. Gli altri pescatori per salvaguardare i propri interessi, intendono costituire una cooperativa, ma Squarciò non vuole farne parte e non è contento che Diana si lasci corteggiare dal figlio di Salvatore, un suo vecchio amico che sarà il capo della cooperativa. Una mattina Squarciò, mentre è intento alla pesca abusiva vede avvicinarsi il motoscafo del maresciallo che sta per coglierlo in flagrante. Vistosi perduto, per sottrarsi al rigore della legge fa affondare la barca. Ora non può più pescare al largo e fa quindi esplodere le sue bombe presso la riva, suscitando l'indignazione degli altri pescatori. Costretto a farsi prestare del denaro per acquistare una vecchia barca, da solo, con grave rischio, riesce a ripescare il suo motore affondato. Può quindi ritornare al largo ma si rende conto che i suoi figli, che l'hanno sempre seguito, pur senza esprimere il loro pensiero, tacitamente lo disapprovano. Squarciò ne è addolorato e mentre prepara una bomba, ha fisso in mente il pensiero dei suoi ragazzi.
“Besides Montand's splendid performance, The Wide Blue Road's other treat is seeing a film that's both old-fashioned enough to believe that social concerns can lead to satisfying drama and well-made enough to deliver on that belief. A film infused with that kind of passion never goes out of style...”
(Kenneth Turan, Los Angeles Times)
“The result is an interesting hybrid of neorealist grit and star-driven melodrama, in which very real concerns about poverty and social injustice are mixed with a romantic subplot...”
(Ken Fox, TV Guide Magazine)
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Una poesia al giorno
Antico sono ubriaco dalla voce, di Eugenio Montale, da “Ossi di Seppia”
Antico, sono ubriacato dalla voce
ch’esce dalle tue bocche quando si schiudono
come verdi campane e si ributtano
indietro e si disciolgono.
La casa delle mie estati lontane,
t’era accanto, lo sai,
là nel paese dove il sole cuoce
e annuvolano l’aria le zanzare.
Come allora oggi in tua presenza impietro,
mare, ma non più degno
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m’hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e insieme fisso: e svuotarmi così d’ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso.
“La poesia fa parte del poemetto Mediterraneo, composto nel 1924 e collocato al centro degli Ossi di seppia, quasi come una sezione a sé stante. Mediterraneo è caratterizzato da un particolare impianto narrativo e riflessivo, che ruota attorno al rapporto col mare, allegoria della condizione esistenziale del poeta.
In Antico, sono ubriacato dalla voce... Montale mette a confronto due piani temporali e insieme esistenziali. Nel passato dell’infanzia l’io si identifica in modo panico col mare e ne condivide il carattere di totalità: il mare rappresenta infatti, nel ricordo autobiografico del poeta, un principio vitale indeterminato e omnicomprensivo, in cui l’esistenza del singolo si scioglie armonicamente. Nel presente della vita adulta il soggetto acquista invece un’identità specifica, respingendo la “legge” (v. 16) del mare. L’io lirico diventa così un detrito, una scoria che non si può più integrare in un’unità superiore ma viene espulsa dal tutto e condannata a un sentimento di alienazione. Oltre a rappresentare il passaggio alla vita adulta, la poesia è anche segno di una svolta poetica: abbandonando il mito antropocentrico dell’unità di uomo e natura, tipico dell’estetica simbolista, Montale propone una visione della poesia basata sul coraggio “etico” di accettare un mondo disarmonico e diviso al suo interno.
Lo stile solenne e raziocinante è imperniato su periodi lunghi e sintatticamente complicati tramite anastrofi (v. 8: “e annuvolano l’aria le zanzare”), inarcature e costruzioni ipotattiche. Come accade spesso in Montale, i richiami fonico-ritmici non sono esibiti (notiamo solo qualche rima baciata, come quella in -ento, ai vv. 11, 13, 14) ma dissimulati in una rete che lega i versi tra loro creando una musicalità diffusa e ricercata. A questo proposito segnaliamo le assonanze (lontane: zanzare, vv. 5-8), l’allitterazione (“sbatti sulle sponde”, v. 19, di valore anche onomatopeico) e l’uso di vocaboli sdruccioli a fine verso (vv. 2-4).
Metrica: Componimento di ventuno versi liberi di lunghezza variabile, in prevalenza endecasillabi e settenari.”
(Articolo completo in: library.weschool.com)
Eugenio Montale (12 ottobre 1896 - 12 settembre 1981) fu poeta italiano, scrittore di prosa, editore, traduttore e destinatario del premio Nobel per la letteratura nel 1975. È considerato il più grande poeta lirico italiano dopo Giacomo Leopardi.
Un fatto al giorno
12 ottobre 1945, seconda guerra mondiale: Desmond Doss è il primo obiettore di coscienza a ricevere la Medaglia d'Onore degli Stati Uniti.
“Desmond Thomas Doss (Lynchburg, 7 febbraio 1919 - Piedmont, 23 marzo 2006) è stato un militare statunitense. È stato il primo di soli tre obiettori di coscienza dell'esercito statunitense ad essere insignito della Medal of Honor, la più alta onorificenza militare statunitense. Nacque a Lynchburg in Virginia il 7 febbraio 1919, figlio di William Thomas Doss, un carpentiere, e Bertha E. Oliver.
Arruolatosi volontariamente nell'esercito nell'aprile del 1942, si rifiutò di portare qualsiasi tipo di arma in quanto appartenente alla chiesa cristiana avventista del settimo giorno e diventò di conseguenza un soccorritore militare. Assegnato alla 77ª Divisione di fanteria, prestò servizio nel teatro di guerra del Pacifico e per le sue azioni sull'isola di Okinawa fu decorato con la Medal of Honor: si distinse per aver salvato, senza sparare un colpo, 75 uomini.
È morto il 23 marzo 2006 a Piedmont in Alabama a causa di problemi respiratori.”
(Wikipedia)
“Si chiamava Desmond Doss ed era vegetariano: fu il primo obiettore di coscienza della storia a ricevere la Medaglia d’Onore del Congresso, la più alta onorificenza al valore militare degli Stati Uniti. Una storia straordinaria la sua, quella di un ragazzo che nel bel mezzo della seconda guerra mondiale si arruolò volontario come medico per curare i feriti sul campo di battaglia, senza aver mai preso in mano un’arma neanche durante l’addestramento.
Un uomo fuori dal comune
Gli appassionati di cinema forse ricorderanno il suo nome per via della pellicola di Mel Gibson - candidata agli Oscar con 6 nomination - intitolata “La battaglia di Hacksaw Ridge”. Il film racconta proprio la storia di un soldato americano così radicato nelle proprie convinzioni etiche e religiose da rifiutarsi non solo di uccidere i nemici, ma anche di cibarsi di carne e perpetrare qualsiasi forma di violenza nei confronti di ogni essere vivente.
Sebbene alcuni aspetti della via di Desmond appaiano romanzati nel film, quel che traspare con chiarezza è il vero e profondo attaccamento al culto della Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno (che vieta categoricamente l’uso di armi e della violenza), e il coraggio dimostrato in guerra ai limiti dell’incredibile. Non solo Desmond curò le ferite dei compagni in occasione della sanguinosissima battaglia contro i giapponesi presso la scarpata di Maeda, ma, di fronte al nemico che incombeva - costringendo così l’esercito americano alla ritirata -, Doss fu l’unico a tornare indietro, per recuperare i soldati feriti che erano ancora in vita...”
(Articolo completo in www.vegolosi.it)
- Immagini: The Conscientious Objector | Pvt. Desmond Doss: The Fearless Warrior Without A Rifle di Terry Benedic
- In italiano: Hacksaw Ridge, Desmond Doss - L’Obbiettore di Coscienza
Una frase al giorno
“In contrasto con il periodo prebellico, la maggior parte dei paesi asiatici agiscono oggi nell'arena mondiale come Stati indipendenti o Stati che sostengono risolutamente il loro diritto di svolgere una politica estera indipendente. Le relazioni internazionali si sono estese al di là dei confini delle relazioni fra paesi abitati soprattutto da popolazioni di razza bianca incomincio ad acquistare il loro carattere di relazioni effettivamente globali”
(Nikita Sergeevič Chruščëv, Kalinovka, 15 aprile 1894 - Mosca, 11 settembre 1971)
Dopo le lunghe lotte per il potere seguite alla morte di Iosif Stalin (1953) e il breve periodo di leadership di Georgij Malenkov, Chruščëv divenne il leader dell'Unione Sovietica. Fu il Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS; in carica dal 1953 al 1964) a denunciare pubblicamente i crimini di Stalin, dando avvio alla cosiddetta "destalinizzazione", e anche il primo leader sovietico a visitare gli Stati Uniti (il 15 settembre 1959), paese con cui intese stabilire un rapporto di pacifica coesistenza.
12 ottobre 1960: Guerra fredda. Nikita Khrushchev appoggia la sua scarpa su una scrivania alla riunione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite per protestare contro l'affermazione filippina della politica coloniale dell'Unione Sovietica condotta nell'Europa orientale.
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Un brano musicale al giorno
Sylvius Leopold Weiss - Tombeau Sur La Mort de M. Comte de Logy
Petra Poláčková (Czech Republic) - romantic guitar. Live from Graz, 27th January 2015. Guitar made by Jan Tuláček.
Sylvius Leopold Weiss (Grottkau, 12 ottobre 1687 - Dresda, 16 ottobre 1750) è stato un compositore e liutista tedesco, considerato uno dei più importanti e prolifici compositori di musica per liuto della storia, nonché uno dei liutisti più conosciuti e tecnicamente esperti del suo tempo
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
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web www.brusaporco.org
UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.
È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.
Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.
“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”
(Wikipedia)
“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”
(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)
“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.
(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)
“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”
(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)
“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”
(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)
“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.
(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)
Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/
Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0
https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs
https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4
https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk
Una poesia al giorno
Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].
Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi
che certo guarderanno male la nostra gioia,
talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?
Andremo allegri e lenti sulla strada modesta
che la speranza addita, senza badare affatto
che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?
Nell'amore isolati come in un bosco nero,
i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,
saranno due usignoli che cantan nella sera.
Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,
non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene
accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.
Uniti dal più forte, dal più caro legame,
e inoltre ricoperti di una dura corazza,
sorrideremo a tutti senza paura alcuna.
Noi ci preoccuperemo di quello che il destino
per noi ha stabilito, cammineremo insieme
la mano nella mano, con l'anima infantile
di quelli che si amano in modo puro, vero?
Nous serons
N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants
Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,
Nous serons fiers parfois et toujours indulgents
N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie
Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,
Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.
Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,
Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,
Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.
Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible
Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,
S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.
Unis par le plus fort et le plus cher lien,
Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,
Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.
Sans nous préoccuper de ce que nous destine
Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,
Et la main dans la main, avec l'âme enfantine
De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?
Un fatto al giorno
17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.
(da Focus)
Una frase al giorno
“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”
(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)
Un brano al giorno
Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k