L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
LA BELLE ÉQUIPE (La bella brigata, Francia, 1936), regia di Julien Duvivier. Scritto da Duvivier e Charles Spaak. Fotografia: Marc Fossard, Jules Kruger. Montaggio: Marthe Poncin. Musiche: Maurice Yvain. La canzone cantata da Jean Gabin “Quand on s'promène au bord de l'eau” fu scritta da Duvivier, Yvain e Louis Poterat. Cast: Jean Gabin - Jean, detto Jeannot, Charles Vanel - Charles, detto Charlot, Raymond Aimos - Raymond, detto Tintin, Viviane Romance - Gina, Jacques Baumer - Sig. Jubette, Marcelle Géniat - Nonna, Raymond Cordy - Ubriacone, Charles Granval - Proprietario, Micheline Cheirel - Huguette, Raphaël Medina - Mario, Charles Dorat - Jacques, Robert Lynen - René, Robert Ozanne - Proprietario bistrot, Fernand Charpin - Gendarme, Robert Moor - Locatario.
Cinque amici senza lavoro Gianni, Carlo, Tintin, Giacomo e Mario vincono una grossa somma alla lotteria e decidono di rimettere in sesto una casa di campagna per trasformarla in una osteria alla moda. Nonostante i buoni propositi il destino porta piano piano il gruppo alla separazione: Giacomo parte quando si rende conto di essere innamorato di Ughetta, fidanzata di Mario, rifugiato spagnolo il quale temendo di essere rimpatriato fugge con la fidanzata poco tempo dopo; Tintin cade dal tetto il giorno della festa di fine lavori mentre Gianni ha iniziato una relazione con la bella Gina, ex moglie di Carlo. Nella prima versione vince l'amore ma ritenendola troppo pessimista venne rifatta e nella seconda versione Gina lascia i due uomini che mettono la loro amicizia davanti a tutto.
“Un gruppo di operai senza lavoro vince una bella somma a una lotteria e decide di metter su un'osteria in campagna. Ma presto una rivalità amorosa divide due degli operai. Per colpa di una fatalona il più giovane ucciderà l'amico fraterno. Uno dei film più noti della corrente populista francese dell'anteguerra. La storia è raccontata molto bene, specialmente nelle scene che descrivono la costruzione dell'osteria da parte del gruppo dei disoccupati. Le cose (anche per il regista) si complicano quando appare in scena Viviane Romance. Allora Duvivier si fa sopraffare da una vocazione mai soppressa (nemmeno nelle migliori circostanze) per il melodramma e chiude come un qualsiasi narratore d'appendice. Comunque sempre un classico, per quanto invecchiato, con un Jean Gabin in evidente stato di grazia”
(mymovies.it)
“Un gruppo d’amici disoccupati vincono 100 mila franchi a una lotteria e decidono d’aprire insieme un’osteria. Ma uno di loro, spagnolo, è costretto a partire, e una rivalità amorosa, che mette due di essi (Jean Gabin e Charles Vanel) uno contro l’altro per amore d’una ragazza (Viviane Romance), fa fallire la cooperativa. Buona la prima parte del film, in cui vediamo i disoccupati degli anni ‘30, la loro scoperta delle rive della Marna, la loro ardente volontà di crearsi una vita indipendente, la loro lotta comune contro le avversità”.
(Georges Sadoul)
- Il film: La Belle Équipe, 1936, They Were Five - French Language
- In italiano: La bella brigata (La belle équipe, 1936) di Julien Duvivier
Una poesia al giorno
Eccetto l’amore, di Marina Tsvetaeva (Mosca, 8 ottobre 1892 - Elabuga, 31 agosto 1941)
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Non amavo ma piangevo. No, non amavo tuttavia
solo a te ho indicato nell’ ombra il volto adorato.
Tutto nel nostro sogno non assomigliava all’amore:
né ragioni né indizi.
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Solo noi ha salutato questa immagine dalla sala serale,
solo noi - tu ed io - le abbiamo portato un verso lamentoso.
Il filo dell’adorazione ci ha legati più forte
dell’innamoramento - degli altri.
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Ma l’impeto è passato e dolcemente qualcuno si è avvicinato
che non poteva pregare ma amava. Non affrettarti a condannare!
Ti ricorderò come la più tenera nota
nel risveglio dell’anima.
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Tu vagavi in questo animo triste come in una casa non chiusa.
(Nella nostra casa, in primavera...) non definirmi quella che ha dimenticato!
Io ho riempito di te tutti i miei minuti tranne
Il più triste - quello dell’amore.
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*
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Essere tenera, matta e chiassosa
-bramare di vivere!-
Essere affascinante ed intelligente,
incantevole!
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Più tenera di tutti quelli che sono e sono stati,
non conoscere la colpa...
-oh, indignazione, perché nella tomba
tutti noi siamo uguali!
.
Diventare ciò che non è caro a nessuno,
-oh, diventare come ghiaccio!-
senza sapere ciò che è stato
né ciò che verrà,
.
dimenticare come il cuore si è spaccato
e si è di nuovo saldato -
dimenticare le proprie parole e la voce
e lo splendore dei capelli.
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Il braccialetto di turchese antico
sul piccolo gambo
su questa sottile, su questa lunga
mia mano...
.
*
.
Come avesse abbozzato una nuvoletta
da lontano,
dalla manina di madreperla
prendeva la mano.
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Come saltavano le gambe
al di là della siepe,
dimenticare come vicino, lungo il cammino,
un’ombra correva.
.
Dimenticare l’ardore nell’azzurro,
come sono quieti i giorni...
-Tutte le proprie birichinate, tutte le tempeste
e tutti i versi!
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Il mio miracolo compiuto
scaccerà il riso.
Io, l’eternamente-rosata, diventerò
la più bianca di tutti.
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E non si apriranno - così deve essere -
oh, abbi pietà!
né per un tramonto, né per uno sguardo
né per i campi
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le mie palpebre abbassate
-nemmeno per un fiorellino!
Terra mia, perdona per sempre,
per tutti i secoli.
.
E tuttavia si scioglieranno le lune
e si scioglierà la neve
quando volerà via questo giovane,
incantevole secolo.
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Non penso, non mi lamento, non discuto.
Non dormo.
Non aspiro
né al sole né alla luna né al mare
né alla nave.
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Non mi accorgo di quanto fa caldo tra queste pareti,
di quanto verde c’è nel giardino.
Da tempo il dono desiderato ed atteso
non aspetto.
.
Non mi rallegra né il mattino né la corsa
sonora del tram.
Vivo, senza vedere il giorno, dimenticando
la data e il secolo.
.
Sulla fune, che sembra intagliata,
io - sono un piccolo danzatore.
Io - ombra dell’ombra di qualcuno. Io - sonnambulo
di due oscure lune.
A 18 anni (1910) Marina Ivanovna Cvetaeva (Zvetaeva) pubblica Album Serale, la sua prima raccolta di poesie. È l’esordio di un autentico talento: il libro viene recensito dai principali poeti dell’epoca. È bella, ricca, intelligente, anticonformista. Scriverà centinaia di poesie, diciassette poemi, otto drammi in versi, opere di narrativa e saggistica oltre ad uno scambio epistolare con Rainer Maria Rilke e Boris Pasternak, suo grande platonico amore impossibile. Pasternak le scrive nella sua Autobiografia un commosso riconoscimento: «La verità è che bisognava leggerla attentamente. Quando lo feci rimasi senza respiro per l’abisso di purezza e forza che si spalancava... In breve non è un sacrilegio dire che ad eccezione di Annenskij, Blok e con qualche riserva Andrej Belyi, la Cvetaeva prima maniera era precisamente ciò che avrebbero voluto essere e non furono tutti gli altri simbolisti messi insieme».
Scrive di lei Iosif Brodskij ne Il canto del pendolo «Sul piano formale è considerevolmente più interessante di tutti i sui contemporanei, compresi i futuristi, e le sue rime sono più inventive di quelle di Pasternak». Nella sua poesia c’è una sorta di partitura musicale.
Scrive Marina ai suoi lettori: «Il mio libro deve essere eseguito come una sonata. I segni sono le note. Sta al lettore realizzare o deformare».
Nel 1911 sposa Sergej Efron a cui fa una promessa che manterrà nonostante i suoi amori collaterali etero e saffici: «Ti seguirò come un cagnolino».Nel 1912 esce la seconda raccolta, Lanterna magica, e nel 1913 Da due libri. Nel 1917 inizia la rivoluzione, Efron si arruola tra le guardie bianche e di lui non si saprà più nulla. Assiste ad ogni umiliazione fino ad elemosinare il cibo per sé e le due figlie Alja e Irina che morirà a due anni in un orfanatrofio per denutrizione. Nel 1922 fugge a Praga per raggiungere il marito. Nasce il terzo figlio, della cui paternità si dubita e al quale lei si lega morbosamente. A Praga scrive molte opere importanti: Dopo la Russia, L’accalappiatopi, Il poema della montagna e Il poema della fine. Nel ’25 la famiglia è a Parigi dove vivono di stenti grazie ai lavori domestici di Marina presso varie famiglie. Efron si arruola ai servizi segreti russi ed è accusato di aver partecipato ad un omicidio. Fugge a Mosca con la figlia Alja che condivideva i principi rivoluzionari. Marina resta fedele alla sua antica promessa: «Ti seguirò come un cagnolino». Nel 1939 Marina li raggiunge a Mosca con Mur. In tempo per salutarli poco prima che vengano arrestati...”
(Articolo completo in lombradelleparole.wordpress.com)
Immagini: Marina Tsvetaeva (Марина Цветаева) La resistenza delle arti, poesia russa e ucraina
Un fatto al giorno
8 ottobre 1895: l'ultima imperatrice della Corea viene assassinata e il suo cadavere viene bruciato dagli infiltrati giapponesi all'interno del Palazzo di Gyeongbok.
“Myeongseong (Yeoju, 19 ottobre 1851 - Hanseong, 8 ottobre 1895) fu regina di Corea, nominata postumamente imperatrice. Il suo nome per esteso suonava Hyoja Weonseong Jonghwa Hapcheon Myeongseong Taehwanghu (hangŭl 孝慈元聖正化合天明成太皇后, 효자원성정화합천명성태황후), che però viene per lo più abbreviato in Myeongseong Hwanghu, che significa imperatrice Myeongseong.
Quando era in vita era chiamata regina Min (hangŭl 민비, Minbi). Questo nome si fa derivare dal suo nome di famiglia; ella discendeva infatti dal casato dei Min. Su iniziativa della regina madre di Corea, una parente dei Min, sposò il figlio di quest'ultima, re Gojong, il 20 marzo 1866. Entro breve tempo la regina Min ascese al ruolo di vera padrona della Corea della dinastia Joseon e ne dominò la politica. Min era una donna forte, che combatté contro l'influenza giapponese in Corea. Propendeva invece per i Russi ed i Cinesi, dalla cui regina madre Cixi, Min si attendeva aiuto. A causa dell'atteggiamento contrario della regina Min riguardo al Giappone, ella fu assassinata mediante sicari giapponesi e coreani l'8 ottobre 1895 nel palazzo reale di Gyeongbokgung.
A Seul vi è oggi un monumento molto visitato che la ricorda”.
(Wikipedia)
Immagini:
Una frase al giorno
“Non si persegue il progresso per costruire belle fabbriche ma per fare belle persone. A che serve il progresso se fa poveri, schiavi, morti? Il capitalismo non è progresso, è sfruttamento di una classe sull'intero pianeta”
(Ernesto Guevara, “Che”, Rosario, 14 giugno 1928 - La Higuera, 9 ottobre 1967)
- Immagini: Ernesto Guevara, detto il "Che"
8 ottobre 1967: il capo della guerriglia Che Guevara e i suoi uomini sono catturati in Bolivia.
Un brano musicale al giorno
L'internationale (version française avec les paroles)
“L'Internationale è una canzone rivoluzionaria le cui parole furono scritte da Eugene Pottier nel 1871 durante la repressione della Comune di Parigi, sotto forma di un poema per la gloria dell'Internazionale dei Lavoratori, la cui musica era composta da Pierre Degeyter nel 1888.
Tradotto in molte lingue, The International è la canzone simbolica delle lotte sociali in tutto il mondo. È cantata dai socialisti (nel primo senso del termine), dagli anarchici, dai comunisti ma anche da alcuni membri dei cosiddetti partiti socialisti o socialdemocratici e, ovviamente, dai sindacati di sinistra, così come dalle manifestazioni popolari.
La versione russa di Arkady Yakovlevich Kots servì come inno nazionale per la Repubblica Federale Socialista Sovietica della Russia, poi per l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) dalla sua creazione nel 1922 fino al 1944.”
(Articolo completo in fr.wikipedia.org )
Il testo:
Couplet 1:
Debout! les damnés de la terre!
Debout! les forçats de la faim!
La raison tonne en son cratère,
C’est l’éruption de la fin.
Du passé faisons table rase,
Foule esclave, debout! debout!
Le monde va changer de base:
Nous ne sommes rien, soyons tout!
Refrain: (2 fois sur deux airs différents)
C’est la lutte finale
Groupons-nous, et demain,
L’Internationale,
Sera le genre humain.
Couplet 2:
Il n’est pas de sauveurs suprêmes,
Ni Dieu, ni César, ni tribun,
Producteurs sauvons-nous nous-mêmes!
Décrétons le salut commun!
Pour que le voleur rende gorge,
Pour tirer l’esprit du cachot,
Soufflons nous-mêmes notre forge,
Battons le fer quand il est chaud!
Refrain
Couplet 3:
L’État opprime et la loi triche,
L’impôt saigne le malheureux;
Nul devoir ne s’impose au riche,
Le droit du pauvre est un mot creux.
C’est assez languir en tutelle,
L’égalité veut d’autres lois :
«Pas de droits sans devoirs, dit-elle,
Égaux, pas de devoirs sans droits!»
Refrain
Couplet 4:
Hideux dans leur apothéose,
Les rois de la mine et du rail,
Ont-ils jamais fait autre chose,
Que dévaliser le travail?
Dans les coffres-forts de la bande,
Ce qu’il a créé s’est fondu.
En décrétant qu’on le lui rende,
Le peuple ne veut que son dû.
Refrain
Couplet 5:
Les Rois nous saoûlaient de fumées,
Paix entre nous, guerre aux tyrans!
Appliquons la grève aux armées,
Crosse en l’air et rompons les rangs!
S’ils s’obstinent, ces cannibales,
À faire de nous des héros,
Ils sauront bientôt que nos balles
Sont pour nos propres généraux.
Refrain
Couplet 6:
Ouvriers, Paysans, nous sommes
Le grand parti des travailleurs;
La terre n’appartient qu’aux hommes,
L'oisif ira loger ailleurs.
Combien de nos chairs se repaissent!
Mais si les corbeaux, les vautours,
Un de ces matins disparaissent,
Le soleil brillera toujours!
Refrain
8 ottobre 1848 nasce Pierre De Geyter, compositore belga (morto nel 1932)
Un evento sportivo al giorno
8 ottobre 1978: l'australiano Ken Warby stabilisce l'attuale record mondiale di velocità dell'acqua di 317.60 miglia orarie a Blowering Dam, in Australia.
«Il record mondiale di velocità d'acqua illimitata è la velocità più veloce riconosciuta ufficialmente raggiunta da un veicolo a bordo d'acqua. Il record attuale è 511 km / h (318 mph) - realizzato dall'australiano Ken Warby nello Spirit of Australia nel 1978.
Il record è una delle competizioni più pericolose del mondo dello sport. Due tentativi ufficiali di battere il record del 1978 hanno portato alla morte del conducente; ma nonostante questo ci sono diversi team che lavorano per fare ulteriori tentativi.
Il record è ratificato dall'Unione Internazionale Motonautique (UIM).
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org
UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.
È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.
Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.
“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”
(Wikipedia)
“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”
(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)
“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.
(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)
“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”
(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)
“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”
(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)
“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.
(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)
Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/
Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0
https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs
https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4
https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk
Una poesia al giorno
Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].
Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi
che certo guarderanno male la nostra gioia,
talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?
Andremo allegri e lenti sulla strada modesta
che la speranza addita, senza badare affatto
che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?
Nell'amore isolati come in un bosco nero,
i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,
saranno due usignoli che cantan nella sera.
Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,
non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene
accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.
Uniti dal più forte, dal più caro legame,
e inoltre ricoperti di una dura corazza,
sorrideremo a tutti senza paura alcuna.
Noi ci preoccuperemo di quello che il destino
per noi ha stabilito, cammineremo insieme
la mano nella mano, con l'anima infantile
di quelli che si amano in modo puro, vero?
Nous serons
N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants
Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,
Nous serons fiers parfois et toujours indulgents
N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie
Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,
Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.
Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,
Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,
Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.
Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible
Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,
S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.
Unis par le plus fort et le plus cher lien,
Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,
Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.
Sans nous préoccuper de ce que nous destine
Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,
Et la main dans la main, avec l'âme enfantine
De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?
Un fatto al giorno
17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.
(da Focus)
Una frase al giorno
“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”
(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)
Un brano al giorno
Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k