L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
SOUS LE SOLEIL DE SATAN (Sotto il sole di Satana, Francia, 1987), regia di Maurice Pialat. Tratto dall'omonimo romanzo di Georges Bernanos. Sceneggiatura: Maurice Pialat (adattamento), Sylvie Danton. Fotografia: Willy Kurant. Montaggio: Yann Dedet. Musiche: Henri Dutilleux. Con: Gérard Depardieu (Donissan), Sandrine Bonnaire (Germaine Malhorty, detta "Mouchette"), Maurice Pialat (Menou-Segrais), Alain Artur (Cadignan), Yann Dedet (Gallet), Brigitte Legendre (La madre di Mouchette), Jean-Claude Bourlat (Malorthy), Jean-Christophe Bouvet (Il commerciante di cavalli), Philippe Pallut (Il minatore), Marcel Anselin (Vescovo Gerbier), Yvette Lavogez (Marthe), Pierre d'Hoffelize (Havret), Corinne Bourdon (La madre del bambino). Vincitore della Palma d'oro come miglior film al Festival di Cannes 1987.
“Per la rubrica Il Cinema Invisibile, oggi ci occupiamo di Sotto il sole di Satana, datato 1987, diretto da Maurice Pialat e interpretato da Gerard Depardieu, Sandrine Bonnaire e lo stesso Pialat. Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Georges Bernanos e presentato in concorso al Festival di Cannes, vinse una contestatissima (e fischiatissima) Palma d’Oro assegnatagli all’unanimità dalla giuria presieduta da Yves Montand. Questo film segna la terza collaborazione tra Pialat e Depardieu dopo i precedenti Loulou e Police. Donissan è un giovane curato di una parrocchia nella campagna della Francia del nord il quale, nonostante la profonda religiosità, vive in una condizione per la quale si sente inadeguato al compito che lo aspetta e, per questo motivo, si infligge punizioni corporali. Durante il pellegrinaggio verso una località lontana, Donissan incontra prima il Diavolo nelle vesti di un viandante che gli fa smarrire la strada e lo induce in tentazione, e poi la minorenne Mouchette, una sua parrocchiana che conduce una vita fatta di amori fugaci con uomini sposati e incinta di uno di loro che, però, ha ucciso. La trama non è tutta qui, ma svelare altro sarebbe troppo e priverebbe lo spettatore di quella forza che il possiede nel momento dell’epilogo. Sotto il sole di Satana non è un film facilmente intelligibile e necessita di più di una visione per coglierne il senso profondo che lo pervade; non un film sulla religione, ma sulla condizione di chi vive la religione e il peso che essa comporta sugli animi, sul legame tra sacro e profano, tra Bene e Male. Pialat adotta uno stile intimistico e minimalista fatto di movimenti di macchina scarni ma incisivi (soprattutto con carrellate in avanti e laterali), dialoghi sussurrati sul male che affligge il mondo e gli uomini che lo popolano, fotografia (di Willy Kurant) che sembra richiamare certi dipinti fiamminghi per i tagli di luce e per i chiaroscuri che avvolgono ogni inquadratura, sia d’interni che di esterni; il tutto per mostrare la condizione di Donissan e di Mouchette, due vite agli opposti eppure complementari, due parallele che finiscono per intersecarsi e influenzarsi vicendevolmente. Dopo l’incontro tra Donissan e Mouchette, infatti, le loro vite subiranno una svolta che porterà alla liberazione da questo mondo, ma ciò comporterà un prezzo altissimo. Il tema del sacro è affrontato con forza ma anche con un certo grado di laicità il che permette al regista di poter affrontare liberamente alcuni discorsi piuttosto spinosi, sia in termini di dialoghi sia in termini puramente scenici: nel primo caso possiamo fare rientrare la scena in cui Donissan, prima di compiere un gesto salvifico nei confronti di un bambino morto, intrattiene un dialogo con un altro prete al quale riferisce che Satana è il signore di questo mondo, ce l’ha nelle sue mani. Ha vinto ancora (...), tutti noi siamo vinti e anche Dio è vinto con noi, come a dire che il Male ha vinto su tutto e su tutti e non c’è possibilità di redenzione. Nel secondo caso, rientra invece la scena in cui Donissan depone il corpo senza vita e insanguinato di Mouchette sull’altare della parrocchia (per renderla a Dio è la motivazione di Donissan), scatenando l’ira del Vescovo e di Menou-Segris, il superiore di Donissan. Una menzione speciale va a Depardieu in quello che, forse, è il ruolo più difficile e rischioso della sua carriera. L’attore, con il suo sguardo vuoto, la voce soffusa e il corpo possente, si cala completamente nei panni del sacerdote che deve fare i conti con qualcosa che non può comprendere fino in fondo e ciò lo pone in una condizione di inadeguatezza come se la sua anima fosse spinta verso due forze opposte, una materica e legata al mondo terreno, concreto, e l’altra divina e spiritale legata al mondo ultraterreno e quindi astratta e impalpabile. Queste due forze, poi, possono essere rappresentate proprio dai personaggi di Donissan e di Mouchette: religioso e spirituale il primo, carnale e passionale la seconda. Sotto il sole di Satana non è un film facile, richiede impegno e pazienza come pochi altri, come pochi altri hanno saputo dividere in due gli appassionati ed esperti del settore, sia esso quello religioso sia quello prettamente cinematografico. Eppure, se ben disposti, se ne esce arricchiti e consapevoli di aver vissuto un’esperienza visiva ed emotiva non indifferente. Forse così si può comprendere il motivo di quella Palma d’Oro che tanto ha colpito i giurati di Cannes e che, al contempo, ha scatenato scandalo e polemiche”.
(Andrea Vantini)
Video trailer
“Uscito in Italia solo in videocassetta. Pialat ha tratto dal romanzo di Bernanos tutta la sua sulfurea potenza, imponendo per la maggior parte del tempo ai personaggi - e gli attori ne escono magnificamente - un faccia a faccia con la cinepresa, che diviene presto difficilmente sostenibile. Così, il confronto, intorno al delitto commesso da una giovane donna, di un curato, tormentato dalla carne ma di fede intransigente, con il suo superiore, dall'indulgenza altezzosa, diviene la rappresentazione, davanti allo spettatore, di due modi di vivere la fede.”
(Georges Sadoul)
Una poesia al giorno
Solitario bosco ombroso, di Paolo Rolli (1687 -1765)
Solitario bosco ombroso,
a te viene afflitto cor,
per trovar qualche riposo
fra i silenzi in quest'orror.
Ogni oggetto ch'altrui piace
per me lieto piú non è :
ho perduta la mia pace,
son io stesso in odio a me.
La mia Tille, il mio bel foco,
dite, o piante, è forse qui?
Ahi! la cerco in ogni loco;
e pur so ch'ella parti.
Quante volte, o fronde grate
la vostr'ombra ne coprì!
Corso d'ore sí beate
quanto rapido fuggi!
Dite almeno, amiche fronde,
se il mio ben piú rivedrò:
ah! che l'eco mi risponde,
e mi par che dica no.
Sento un dolce mormorio:
un sospir forse sarà;
un sospir dell'idol mio,
che mi dice: tornerà.
Ah! ch'è il suon del rio, che piange
tra quei sassi il fresco umor,
e non mormora, ma piange
per pietà del mio dolor.
Ma, se torna, vano e tardo
il ritorno, oh Dei! sarà;
ché pietoso il dolce sguardo
su 'l mio cener piangerà.
Un fatto al giorno
2 maggio 1879: fondato il Partito politico spagnolo. Il PSOE fu costituito a Madrid nel 1879, su impulso in particolare del tipografo e organizzatore sindacale P. Iglesias, membro della prima Internazionale. Di orientamento marxista, nel 1888 il partito tenne a Barcellona il suo 1° Congresso, e di lì a poco aderì alla seconda Internazionale. Nel 1910, nell’ambito dell’Alleanza repubblicano-socialista, il partito riuscì a ottenere una rappresentanza parlamentare, eleggendo deputato lo stesso Iglesias. Quest’ultimo venne rieletto ancora per tre volte, e nel 1918 a lui si aggiunsero altri dirigenti socialisti. Presente nello sciopero generale e nei moti rivoluzionari del 1917, al congresso del 1919 il PSOE discusse della opportunità di aderire all’Internazionale comunista (Comintern). Non avendo però raggiunto una posizione condivisa, nel 1920 il partito si scisse, a seguito della fuoriuscita della sua organizzazione giovanile, che contribuì a fondare il Partito comunista spagnolo. Il PSOE, dal canto suo, aderì all’Internazionale di Vienna, la cosiddetta Internazionale «due e mezzo» (1921), di orientamento socialista di sinistra. Nel 1923 l’instaurarsi della dittatura di Primo de Rivera aprì una fase di crisi per il partito, il quale non venne sciolto, ma si divise tra un’ala disponibile alla collaborazione col nuovo regime, facente capo a L. Caballero, e un’ala intransigente, guidata da I. Prieto e F. de los Ríos. Caduto de Rivera, il PSOE decise di collaborare con gli altri partiti di orientamento repubblicano, aderendo al Patto di San Sebastiano con radicali, repubblicani e altre forze. Con l’affermarsi della Repubblica (1931) e l’elezione dell’Assemblea costituente, il partito consolidò le sue posizioni, eleggendo 117 deputati e prendendo parte ai governi di coalizione guidati dal repubblicano M. Azaña. Escluso dal governo assieme alle altre forze di sinistra (1933), il PSOE prese parte ai moti del 1934, per poi aderire al Fronte popolare con comunisti, radicali e repubblicani, vittorioso alle elezioni del 1936. Al governo con Caballero (1936-37) e poi con Negrín (1937-39), i socialisti dovettero affrontare, assieme alle altre forze repubblicane, la rivolta dei generali guidata da F. Franco. Dopo la sconfitta della Repubblica, il partito fu messo fuori legge, ma già nel 1942 tornò a organizzarsi, nelle galere e nei campi di concentramento, dando vita a 300 comitati di partito e ricostituendo (1944) il Comitato esecutivo centrale. Sotto il regime, i suoi militanti che non scelsero l’esilio furono perseguitati, e lo stesso presidente del partito, T. Centeno, venne ucciso dalla polizia franchista (1952). Con la morte di Franco e il lento ritorno alla democrazia, il PSOE, nel quale intanto si era affermata una nuova leva di dirigenti capeggiata da F. González, divenne una delle maggiori forze politiche spagnole...”
(Enciclopedia Treccani)
Una frase al giorno
“Justitia... erga Deos religio, erga parentes pietas, creditis in rebus fides... nominantur" (La giustizia, se è rispetto a Dio dicesi religione, se verso i parenti pietà, se nelle cose affidate dicesi fede)
(Marcus Tullius Cicero, 106 a.C. - 43 a.C.)
Un brano al giorno
Irina Arkhipova, “Lasciatemi morire”, di Monteverdi.
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
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web www.brusaporco.org