L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
THE ROAD BACK (Usa, 1937), regia di James Whale. Sceneggiatura: Charles Kenyon, R. C. Sherriff. Soggetto: “The Road Back” di Erich Maria Remarque. Fotografia: John J. Mescall, George Robinson. Montaggio: Ted J. Kent, Charles Maynard. Musica: Dimitri Tiomkin. Con: John King, Richard Cromwell, Slim Summerville, Andy Devine, Barbara Read, Louise Fazenda, Noah Beery Jr, Maurice Murphy, John Emery, Etienne Girardot, Lionel Atwill, Henry Hunter, Larry Blake, Gene Garrick, Jean Rouverol, Marilyn Harris, Spring Byington, Frank Reicher, Arthur Hohl, William B. Davidson, Al Shean, Edwin Maxwell, Clara Blandick, Samuel S. Hinds, Robert Warwick.
Alla fine della prima guerra mondiale, un gruppo di soldati tedeschi tenta di riadattarsi alla vita civile. Tornati al villaggio natio, incompresi ed emarginati dallo stesso Paese che li aveva spinti in battaglia, scoprono che la "normalità" che avevano sognato è diventata una chimera irrealizzabile. Tjaden si ritrova impegnato a respingere i rivoltosi che chiedono cibo in un negozio di proprietà del sindaco della città, mentre Weil diventa un attivista politico e finisce ucciso dalle truppe guidate dal suo ex comandante, il capitano von Hagen. Albert scopre che la sua fidanzata ha sposato un altro, un uomo che ha evitato la guerra ma che ha trovato il modo di trarne profitto, e in un impeto di rabbia uccide il rivale. Al processo, i compagni di Albert cercano di giustificarlo attribuendo la responsabilità al governo, reo di avergli insegnato a uccidere. Ognuno di loro realizza infine che è impossibile condividere con chi è rimasto l'orrore vissuto in guerra.
“Le riprese vennero effettuate negli Universal Studios di Los Angeles a partire dal 27 gennaio 1937, con un budget di $ 770.000 e con circa due mesi di lavorazione previsti. Le forti piogge e altri ritardi portarono a sforare il programma e quando le riprese terminarono il 21 aprile, dopo 73 giorni, i costi furono di oltre un milione di dollari.
Dopo l'uscita nelle sale, il film fu ritirato dalla Universal in seguito alle pressioni esercitate dalla Germania. La prospettiva che Remarque aveva dato al romanzo, e che James Whale avrebbe voluto conservare nel film, fu ritenuta fortemente anti-nazista e i funzionari del regime intimarono di eliminare il materiale ritenuto "critico" minacciando di affondarne la distribuzione europea.
Secondo quanto riportato dalla rivista BoxOffice, il console tedesco Georg Gyssling inviò una lettera di avvertimento a tutti i membri del cast e della troupe affermando che se qualcosa di dannoso fosse emerso, non solo il film sarebbe stato vietato in Germania ma lo sarebbero stati tutti i film, passati e futuri, interpretati dagli attori coinvolti. Furono imposti ventuno tagli per rendere il film "gradito" al governo tedesco e lo sceneggiatore Charles Kenyon ricevette l'ordine di inserire elementi di commedia che Whale trovò inadatte. Il regista abbandonò il progetto e fu sostituito da Edward Sloman, con Charles Maynard come nuovo montatore.
Il film venne quindi ridistribuito nelle sale nel 1939, in una versione pesantemente modificata”.
(Wikipedia)
“Dopo aver registrato un modesto successo alla prima uscita in sala nel 1937, il sequel di Niente di nuovo sul fronte occidentale girato da James Whale fu ritirato e ridistribuito dalla Universal nel 1939 in una versione pesantemente alterata, con un nuovo montaggio e l’aggiunta di alcune scene, per assecondare la crescente ostilità verso la Germania. Il sobrio dramma di Whale sulle difficoltà e le delusioni dei soldati che tornavano a casa in un paese sconfitto si era trasformato in un film di propaganda apertamente antinazista, uno dei tanti che quell’anno dovevano servire a sensibilizzare gli americani alla crescente crisi in Europa.
Si è spesso detto che The Road Back sarebbe stato rimontato in seguito alle proteste del console tedesco a Los Angeles, ma non si hanno prove che ciò sia accaduto, e anzi la nuova versione offre un ritratto molto più caricaturale dei tedeschi.
La versione originale, lunga cento minuti e rimasta nel cassetto per decenni prima di essere ricostruita dalla Library of Congress, rivela un film più sfumato e compassionevole, incentrato su un gruppo di quattro uomini (John King, Richard Cromwell, Maurice Murphy e Slim Summerville nel ruolo già interpretato in Niente di nuovo sul fronte occidentale) che tornano al villaggio natio per trovarlo in preda all’anarchia, alla fame e all’opportunismo. Quando uno di loro spara alla sua ex dopo averla sorpresa in compagnia di un noto profittatore di guerra, la colpa è attribuita al governo reo di avergli insegnato a uccidere: un atteggiamento pacifista difficilmente tollerato in un decennio che stava per concludersi nel più tetro dei modi.”
(festival.ilcinemaritrovato.it)
- The Road Back (1937, regia di James Whale, Full Movie)
Una poesia al giorno
The New Colossus, di Emma Lazarus, New York, 1883
Not like the brazen giant of Greek fame
With conquering limbs astride from land to land;
Here at our sea-washed, sunset gates shall stand
A mighty woman with a torch, whose flame
Is the imprisoned lightning, and her name
Mother of Exiles. From her beacon-hand
Glows world-wide welcome; her mild eyes command
The air-bridged harbor that twin cities frame,
"Keep, ancient lands, your storied pomp!" cries she
With silent lips. "Give me your tired, your poor,
Your huddled masses yearning to breathe free,
The wretched refuse of your teeming shore,
Send these, the homeless, tempest-tossed to me,
I lift my lamp beside the golden door!"
(Traduzione in ripassofacile.blogspot.com)
Il Nuovo Colosso
Non come il gigante di bronzo di greca fama,
che a cavalcioni da sponda a sponda stende i suoi arti conquistatori:
Qui, dove si infrangono le onde del nostro mare
Si ergerà una donna potente con la torcia in mano,
la cui fiamma è un fulmine imprigionato, e avrà come
nome Madre degli Esuli. Il faro
nella sua mano darà il benvenuto al mondo, i
suoi occhi miti scruteranno quel mare che giace fra due città.
Antiche terre, - ella dirà con labbra mute
- a voi la gran pompa! A me date
i vostri stanchi, i vostri poveri,
le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi,
i rifiuti miserabili delle vostre spiagge affollate.
Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste,
e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata.
“La famiglia di Emma Lazarus era di origine portoghese, di religione ebraica sefardita, si era trasferita in America già in epoca coloniale e lì aveva fatto fortuna. Poetessa, innamorata delle letteratura europea, in particolare tedesca e italiana (tradusse molto Goethe, Heine, Dante, Petrarca e Carducci), Emma Lazarus fu anche molto curiosa delle proprie radici ebraiche, tanto da trasporre in poesia “Der Tanz zum Tode”, un racconto del tedesco Richard Reinhard sulla strage di Nordhausen, Turingia, del 1349, quando gli ebrei della città furono arsi vivi perché - ovviamente, a torto - accusati di aver diffuso il contagio della peste nera. Quando nel 1881, a causa dei pogrom antesemiti scatenatisi in Russia in seguito all’assassinio dello zar Alessandro II, molti ebrei ashkenaziti ripararono in America, Emma Lazarus si diede molto da fare tra i rifugiati, aiutando l’avvio di un istituto tecnico ebraico di formazione professionale e scrivendo poesie poi raccolte in “Songs of a Semite” del 1882. Quando nel 1883 Frédéric Auguste Bartholdi diede avvio alla costruzione della gigantesca “Statua della Libertà” a Manhattan, la Lazarus fu chiamata - insieme a tanti altri artisti - a contribuire all’evento destinando un proprio manoscritto originale ad un’asta per raccogliere fondi per il progetto. Nella poesia che Emma Lazarus scrisse, il futuro simbolo degli Stati Uniti d’America nel mondo non nasceva per celebrare la dichiarazione d’indipendenza del 1776 ma come “Madre degli Esuli”, come rappresentazione di quella speranza che ciascuno degli stranieri violati, perseguitati, affamati avrebbe dovuto avvertire nel cuore al suo ingresso nella baia di New York, al suo arrivo nella nuova terra. Non era retorica a buon mercato, era un sentimento autentico... Peccato che poi, quando qualche anno dopo “The New Colossus” fu finalmente eretto, quell’auspicio continuasse a scontrarsi prima con le grigie mura del Castle Garden e dell’ex arsenale militare di Ellis Island, l’“isola delle lacrime”, centri di controllo e smistamento (e detenzione, ed espulsione) dei nuovi venuti, poi con le durissime condizioni di vita che a costoro venivano riservate da padroni e sfruttatori senza scrupoli, spesso compaesani o correligionari...”
(In www.antiwarsongs.org)
- Il canto: Sandi Patty - Give Me Your Tired, Your Poor (Cincinnati Pops, 1999). Sandi Patty si esibisce con i Cincinnati Pops nel 1999. "Give Me Your Tired, Your Poor" del musical del 1949, "Miss Liberty", di Irving Berlin. Testo di Emma Lazarus ("A New Colossus," 1883).
- Lady of the Harbor: Lee Hoiby, María Pérez-Goodman, Ursula Kleinecke-Boyer
22 luglio 1849 nasce Emma Lazarus, poetessa e educatrice americana (morta nel 1887)
Un fatto al giorno
22 luglio 1946: bombardamento di King David Hotel. Un'organizzazione clandestina sionista, l'Irgun, bombarda il King David Hotel a Gerusalemme, sede dell'amministrazione civile e quartier generale militare per la Palestina Mandataria, causando 91 morti.
“Il 22 luglio 1946 venne collocata una bomba al King David Hotel di Gerusalemme. L'attentato venne organizzato dalle bande terroristiche paramilitari ebraiche Irgun e Stern, in accordo con l'Agenzia Ebraica e il suo leader, David Ben Gurion. L'annuncio dell'imminente esplosione fu dato alle autorità mandatarie britanniche appena trenta minuti prima dell'esplosione, con un preavviso insufficiente a evacuare tutto l'albergo. Ci furono quindi 97 morti e 58 feriti tra inglesi, arabi ed ebrei, che in gran parte erano ammalati, feriti o medici e infermiere, in quanto l'hotel era stato adibito a ospedale militare. L'attentato fu un riuscito tentativo d'intimidazione contro la politica britannica, che controllava l'immigrazione ebraica in Palestina. La deflagrazione della bomba avvenne intorno a mezzogiorno, quando gli uffici erano pieni. Gli attentatori entrarono nell'edificio travestiti da lattai arabi e, dopo aver sistemato l'esplosivo che nascondevano nelle taniche di latte, fuggirono.”
Immagini:
Una frase al giorno
“Il carattere della compassione è di non essere costretta; essa scende come una dolce pioggia dal cielo ed è due volte benedetta; benedice colui che la concede e quegli su cui si spande; è la più gran potenza dei maggiori potenti e si addice al monarca regnante meglio della sua corona”.
(William Shakespeare)
22 luglio 1598: L'opera di William Shakespeare “Il Mercante di Venezia” è inserita nel Stationers' Register, il registro per la regolamentazione delle stampe. Per decreto della Regina Elisabetta, lo Stationers' Register concede la licenza per la stampa di opere, conferendo alla Corona uno stretto controllo su tutto il materiale pubblicato.
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- The Merchant of Venice | Shakespeare Stories in English | Shakespeare Plays in English | The most famous Shakespeare stories in English for children in HD Quality
- Gerolamo Lo Savio (1911), Il mercante di Venezia, di William Shakespeare
Regia: Gerolamo Lo Savio. Con: Ermete Novelli, Francesca Bertini, Olga Giannini Novelli - The Merchant of Venice, 1996 TV production with Bob Peck, Caroline Catz, Paul McGann, Haydn Gwynne, Victoria Hamilton, Benjamin Whitrow, Scott Handy, John Woodvine and Ashley Artus.
Un brano musicale al giorno
Ferdinand Tobias Richter (1651-1711), Partita V in re maggiore per clavicembalo
Entrée - Allemande - Courrente - Minuett - Sarabande - Bourrée - Gigue
Suonato da Andreas Zappe.
Clavicembalo di Cornelis Bom, 1997, dopo Michael Mietke, 1710.
“Ferdinand Tobias Richter (22 luglio 1651 - 3 novembre 1711) fu un compositore e organista austriaco barocco.
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org
UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.
È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.
Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.
“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”
(Wikipedia)
“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”
(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)
“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.
(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)
“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”
(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)
“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”
(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)
“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.
(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)
Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/
Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0
https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs
https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4
https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk
Una poesia al giorno
Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].
Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi
che certo guarderanno male la nostra gioia,
talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?
Andremo allegri e lenti sulla strada modesta
che la speranza addita, senza badare affatto
che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?
Nell'amore isolati come in un bosco nero,
i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,
saranno due usignoli che cantan nella sera.
Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,
non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene
accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.
Uniti dal più forte, dal più caro legame,
e inoltre ricoperti di una dura corazza,
sorrideremo a tutti senza paura alcuna.
Noi ci preoccuperemo di quello che il destino
per noi ha stabilito, cammineremo insieme
la mano nella mano, con l'anima infantile
di quelli che si amano in modo puro, vero?
Nous serons
N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants
Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,
Nous serons fiers parfois et toujours indulgents
N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie
Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,
Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.
Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,
Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,
Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.
Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible
Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,
S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.
Unis par le plus fort et le plus cher lien,
Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,
Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.
Sans nous préoccuper de ce que nous destine
Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,
Et la main dans la main, avec l'âme enfantine
De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?
Un fatto al giorno
17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.
(da Focus)
Una frase al giorno
“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”
(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)
Un brano al giorno
Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k