“L’amico del popolo”, 23 gennaio 2020

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno IV. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

BLAISE PASCAL (Italia, 1971), regia di Roberto Rossellini. Soggetto: Roberto Rossellini, Marcella Mariani, Luciano Scaffa. Sceneggiatura: Roberto Rossellini. Fotografia: Mario Fioretti. Montaggio: Jolanda Benvenuti. Musiche: Mario Nascimbene. Cast: Pierre Arditi, Blaise Pascal. Rita Forzano, Jacqueline Pascal. Giuseppe Addobbati, Étienne Pascal. Christian De Sica, Luogotenente criminale. Livio Galassi, Jacques il servo. Bruno Cattaneo, Adrien Dechamps.

In Francia, verso gli inizi del 1650, il giovane Blaise Pascal è uno studioso molto abile ed intelligente che vive studiando i principi della matematica e della meccanica già introdotti da René Descartes (meglio noto come Cartesio), l'inventore del piano cartesiano e soprattutto promotore di una filosofia che racchiude le caratteristiche dell'inconscio e dell'essenza che agisce libera (Dio) e dell'essere che è costretto a finire e che non agisce liberamente (le creature viventi, in particolare l'uomo). Egli pubblica come prima opera un saggio di geometria e matematica in cui spiega le coniche che formerebbero una stella non di cinque bensì di sei punte. Tuttavia Pascal non viene compreso completamente dai coetanei, a causa del suo genio precoce.
Essendo inoltre molto debole di salute, Pascal passa la maggior parte dei suoi giorni a letto con la febbre, quando non s'imbatte in un gruppo di pensatori di una nuova filosofia che aiutarono il padre dopo una brutta caduta: il giansenismo, nato da Giansenio. Blaise Pascal rimane colpito dalle teorie dei giansenisti, ossia che loro si dichiarano membri di una stretta cerchia ordinata da Dio che avrebbe il compito di diffondere il sapere a tutto il mondo; mentre, sempre secondo le loro teorie, la Chiesa sino ad allora aveva pensato solo ai suoi comodi, sfruttando la povera e ignorante gente. Pascal sino a quel momento aveva concepito Dio come un qualcosa di impalpabile e superiore che avrebbe generato il mondo, i pianeti e tutto ciò che l'uomo conosce grazie anche alle recenti scoperte scientifiche. Così, passati due anni, nel 1653 Pascal ha una visione durante una notte in cui gli appare Dio che gli comunica di diffondere le sue leggi e le sue regole scritte sulla Bibbia. Inizialmente Pascal non sa come comportarsi perché ormai tutti dovrebbero conoscere le Sacre Scritture, ma non è così. Infatti nei secoli i Papi e i cardinali avevano stravolto i Comandamenti e le Leggi di Cristo e dei profeti, riadattandole in maniera che loro, servendosi di essi, facessero ciò che volevano, garantendo la continuità del loro potere assoluto. Pascal quindi analizza i principi e i sermoni principali di Giovanni Battista ed Isaia che annunciano l'arrivo di Gesù e minacciano il Castigo Eterno per chi non rispetta le leggi di Dio.
Partendo dallo spunto di diffondere il giansenismo, Pascal coglie l'occasione per riflettere anche sull'animo umano e sulla complessità delle idee di ognuno, concludendo che Cartesio si era servito di Dio solo per dare un'origine ai suoi principi da trattare sulla meccanica. Secondo Pascal l'animo umano, assieme ai suoi pensieri, è sempre travagliato e diviso sulle giuste strade da percorrere per giungere alla Verità. Lo spirito è sempre caratterizzato da una ricerca interiore e soprattutto diviso dalla filosofia. Questo pensiero, afferma Pascal nella sua ultima opera importante, può essere concepito sia da un punto di vista cattolico che da uno scientifico per la ricerca delle scoperte. Inoltre Pascal, avrebbe voluto che l'uomo tornasse ai veri valori del Cristianesimo, abbandonando tutte le cose futili, ma muore a 39 anni, dieci anni dopo la sua "conversione".

“Era il maggio 1972, e in due puntate andò in onda la biografia del filosofo, scienziato e libero pensatore di una Francia che ancora ardeva streghe sul rogo, chiudeva l’abbazia di Port-Royal-des-Champs, a dieci chilometri da Versailles, con decreto di Luigi XIV e bruciava le Lettres Provinciales di Pascal perché Papa, Re e Vescovi fecero muro solidale contro il Giansenismo. Ma la Francia era pur sempre la nazione in grado di produrre le grandi rivoluzioni del mondo moderno e il pensiero dello scienziato/filosofo era lì, fra Rouen e Parigi, ad indicare la strada della ragione non dogmatica e della fede che ha senso e verità solo se illuminata dalla chiarezza della conoscenza.
Le biografie dei grandi, da Socrate ad Agostino, da Cartesio agli Apostoli e Cosimo de’ Medici, furono il progetto divulgativo di un regista che usò il cinema per parlare a uomini del presente, sempre più frastornati dalle accelerazioni esponenziali del ventesimo secolo, di uomini del passato dalle vite non facili, in alcuni casi drammaticamente segnate da persecuzione, malattia e morte.
Nominato commissario straordinario del Centro Sperimentale di Cinematografia, Rossellini aprì col grande pubblico una comunicazione fatta di ricerca fertile e contenuti alti, spesso unici, come il Blaise Pascal, figura di rado conosciuta al di là delle aule scolastiche o della comunità degli studiosi.

Ma perché Pascal?

“Con Pascal si arriva alla scienza nel momento della teologia, cioè di un mondo assolutamente perpendicolare - dice il regista - questo è il dramma con cui confrontarsi: il bagaglio delle vecchie idee e tutte le nuove idee che sopravvengono. Tutto questo crea enormi crisi, perché dobbiamo sempre riadattarci e capire. Pascal ha vissuto questa crisi come un uomo del suo tempo, illustre, straordinario, intelligentissimo uomo del suo tempo. E’ una scelta molto precisa”.
Utile integrazione al film, fra gli extra del DVD di recente edizione, è il back stage nelle sale secentesche di Palazzo Giustiniani Odescalchi a Bassano Romano, set per gli interni parigini.
Brevi incontri col regista, carrellate da cui risalta evidente la cura filologica del dettaglio e l’attenzione alla ricostruzione storica, tutto reca i segni di un metodo rigoroso nel costruire per immagini una memoria storica. Rossellini voleva “andare dritto alle cose, questi lavori non devono dimostrare nulla, bensì mostrare i fatti come sono accaduti veramente”.

La biografia è genere letterario antico e Rossellini trae da lì il suo insegnamento. Solo l’attenzione al comportamento dell’individuo nella normalità dei suoi atti può cogliere la sua verità interiore, tradita da gesti e parole. Pascal dopo Socrate, entrambi uomini di tempi di crisi, accomunati da quella suprema forma d’intelligenza che è disposta a riconoscere il proprio limite: “La sola conoscenza necessaria all’uomo - afferma Pascal - è riconoscere che esistono un’infinità di cose che sovrastano la ragione. La ragione è ben poca cosa quando non ha coscienza di ciò.”

Pierre Arditi è un Pascal perfetto, scelto anche per una singolare somiglianza con quel genio della matematica, capace di pubblicare a soli diciassette anni l’Essay pour les coniques, scienziato di chiara fama che i circoli parigini accolsero con onore, abile nell’argomentare il suo pensiero di fronte al grande Cartesio, e garbatamente ironico con il farraginoso gesuita padre Noël, così involuto nel confutare la celebre teoria del vuoto quanto Pascal di geometrica chiarezza nel sostenerla. Corpo esile, occhi profondi e sguardo mobilissimo, un leggero velo d’ironia gli attraversa il viso quando sente predicare dogmi, vive con fatica l’usura del male che lo divora fin da bambino, ma la sete di conoscenza è inesauribile e lo rende incapace di riposo, consumandolo nel giro di trentanove anni. Alla continua ricerca di un’armonizzazione dei suoi pensieri, Pascal visse le convulsioni politiche e intellettuali del suo tempo con la ragione ed il cuore, coltivò il sapere con forte tensione morale e fu protagonista del dibattito culturale da cui sarebbe nata la nuova Europa.

Esprit de géometrie per rendere il mondo intellegibile attraverso le formule della scienza poste al vaglio della ragione, senza però cedere alla tentazione di considerare dogmi i principi formulati dalla ragione stessa. Esprit de finesse per comprendere gli abissi dell’animo e l’infinito esistenziale in cui Dio potrà trovare posto: questo fu il suo credo e in questo la sua eterna contemporaneità.

“Il vuoto è un’immagine dell’infinito, e se ricerco il vuoto della natura potrò scoprire ciò che gli corrisponde, per analogia, nel cuore dell’uomo. Quando avrò messo a nudo il vuoto della mia vanità, quando la mia coscienza non sarà presa da tanti vani pensieri e desideri, Dio, che ho cercato con la ragione, e che per questo non conosco, Dio forse guarderà con amore al posto che gli avrò fatto dentro di me. Un posto che non avrà la dimensione finita e miserabile della mia ragione ma quella infinita del vuoto. Che Dio si mostri e io lo conoscerò”.

Figura problematica, sempre in equilibrio tra scienza e fede, fu impegno forte per Rossellini mediare al grande pubblico un pensiero fatto di sfaccettature così complesse.
Ma parlare di Pascal al pubblico degli anni ’70 e dei decenni a venire era necessario, tanto quanto è necessaria una riflessione allorché gli spazi della dialettica si vanno restringendo. Il progresso delle tecnologie d’avanguardia, la rivoluzione informatica ormai avviata, la narcosi che la televisione si apprestava a somministrare ai suoi utenti in dosi sempre più massicce, inducevano gli spiriti più attenti ad alzare la guardia. Rossellini usò un mezzo popolare, la televisione, lo piegò ad un ruolo difficile, una vera sfida che, se raccolta, come era suo auspicio, da autori di generazioni successive, avrebbe impedito quelle derive mediatiche già preconizzate da Umberto Eco negli anni ‘60.

L’Olivetti nel ’66 immetteva sul mercato il Programma 101, un calcolatore da tavolo capace di misurare le orbite dei satelliti e tenere i conti di un’azienda. Dire ad un pubblico di fascia media, non a simposi d’intellettuali, che il primo calcolatore, la pascaline, lo inventò Pascal, e farglielo vedere, perché non basta dire le cose, fu gesto rivoluzionario.

C’è del genio in questa capacità di essere contemporaneo al passato, usando quella che il regista chiama “la logica dell’inquadratura, della macchina da presa”. Scopo primo di questa logica era ottenere la semplicità, la meta più difficile da raggiungere, la linearità del racconto e la chiarezza del messaggio.

Sulla scena Rossellini trasferisce una dimensione pubblica e privata del vivere nel ‘600, quegli uomini e donne sono uomini e donne del loro tempo, liberi da ricostruzioni oleografiche e manualistiche, e fra loro i santi, i poeti e gli scienziati sono mescolati a contadini, soldati e baldracche. Vivere, ci dice il regista, è impresa quotidiana, e allora bisogna riprendere con cura anche il servitorello superstizioso che, devoto al padrone Blaise malato, gli rimbocca il lenzuolo e poi, per paura che i liquidi risucchino la sua anima, vuota tutti gli alambicchi dei suoi esperimenti e, già che c’è, anche il pitale, sempre di liquido si tratta.
Importante il commento sonoro di Mario Nascimbene, texture di suoni elettronici ossessionanti ripetuti in loop, sottili risonanze di provenienza indefinita e irreale, ricorda le vibrazioni metafisiche che Tarr volle per Satantango ed esprime la tensione di un pensiero in perenne elaborazione. Rossellini non ebbe seguaci degni di lui su questa strada, ma i processi della Storia hanno tempi lunghi e non è un caso che ancora oggi, a quattro secoli di distanza, ancora torni alla ribalta la modernità di Pascal. Che poi questo avvenga nelle sale di un cinema e non nei cenacoli dei dotti è grazie a quella saggia contaminazione dell’esprit de géometrie e dell’esprit de finesse in cui Pascal, scienziato e uomo di fede, fu il primo a credere.”

(Paola Di Giuseppe in giuseppecapograssi.wordpress.com )

Blaise Pascal (Clermont-Ferrand, 19 giugno 1623 - Parigi, 19 agosto 1662) è stato un matematico, fisico, filosofo e teologo francese.23 gennaio 1656: Blaise Pascal pubblica la prima delle sue Lettere Provinciali.

Blaise Pascal (Clermont-Ferrand, 19 giugno 1623 - Parigi, 19 agosto 1662)

 

Una poesia al giorno

A far cry from Africa, di Derek Walcott

A wind is ruffling the tawny pelt
Of Africa. Kikuyu, quick as flies,
Batten upon the bloodstreams of the veldt.
Corposes are scattered through a paradise.
Only the worm, colonel of carrion, cries:
«Waste no conpassion on these separate dead!».
Statistics justify and scholars seize
The salients of colonial policy.
What is that to the white child hacked in bed?
To savages, expendable as Jews?

Threshed out by beaters, the long rushes break
In a white dust of ibises whose cries
Have wheeled since civilization’s dawn
From the parched river or beast-teeming plain.
The violence of best on beast is read
As natural law, but upright man
Seeks his divinity by inflicting pain.
Delirious as these worried beasts, his wars
Dance to the tightened carcass of a drum,
While he calls courage still that native dread
Of the white peace contracted by the dead.

Again brutish necessity wipes its hands
Upon the napkin of a dirty cause, again
A waste of our compassion, as with Spain,
The gorilla wrestles with the superman.
I who am poisoned with the blood of both,
Where shall I turn, divided to the vein?
I who have cursed
The drunken officer of British rule, how choose
Between this Africa and the English tongue I love?
Betray them both, or give back what they give?
How can I face such slaughter and be cool?
How can I turn from Africa and live?

Lontano dall’Africa (da Mappa del nuovo mondo, Adelphi, Milano 1992; Traduzione di Barbara Bianchi)

Un vento scompiglia la fulva pelliccia
Dell’Africa. Kikuyu, veloci come mosche,
Si saziano ai fiumi di sangue del veld.
Cadaveri giacciono sparsi in un paradiso.
Solo il verme colonnello del carcame, grida:
«Non sprecate compassione su questi morti separati!».
Le statistiche giustificano e gli studiosi colgono
I fondamenti della politica coloniale.
Che senso ha questo per il bimbo bianco squartato
nel suo letto?
Per selvaggi sacrificabili come Ebrei?

Trebbiati da battitori, i lunghi giunchi erompono
In una bianca polvere di ibis le cui grida
Hanno vorticato fin dall’alba della civiltà
Dal fiume riarso o dalla pianura brulicante di animali.
La violenza della bestia sulla bestia è intensa
Come legge naturale, ma l’uomo eretto
Cerca la propria divinità infliggendo dolore.
Deliranti come queste bestie turbate, le sue guerre
Danzano al suolo della tesa carcassa di un tamburo,
Mentre egli chiama coraggio persino quel nativo terrore
Della bianca pace contratta dai morti.

Di nuovo la brutale necessità si terge le mani
Sul tovagliolo di una causa sporca, di nuovo
Uno spreco della nostra compassione, come per la Spagna,
Il gorilla lotta con il superuomo.
Io, che sono avvelenato dal sangue di entrambi,
Dove mi volgerò, diviso fin dentro le vene?
Io che ho maledetto
L’ufficiale ubriaco del governo britannico, come
sceglierò Tra quest’Africa e la lingua inglese che amo?
Tradirle entrambe, o restituire ciò che danno?
Come guardare a un simile massacro e rimanere freddo?
Come voltare le spalle all’Africa e vivere?

 

Derek Walcott (Castries, 23 gennaio 1930 - Cap Estate, 17 marzo 2017)

Derek Walcott (Castries, 23 gennaio 1930 - Cap Estate, 17 marzo 2017) è stato un poeta e scrittore santaluciano, insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1992, noto soprattutto per le sue opere poetiche e teatrali in lingua inglese. L'altro idioma usato in alcune opere minori è il creolo delle Antille, il creolo della sua terra natale, l'isola di Santa Lucia.

“Derek Walcott è considerato il più grande e importante poeta e drammaturgo delle Indie Occidentali. Premio Nobel per la Letteratura nel 1992, nelle sue opere Walcott indaga ed esprime il conflitto tra l'eredità della cultura europea e quella originaria delle Indie Occidentali, quel lungo percorso storico che ha portato il suolo caraibico dalla dominazione europea all'indipendenza, nonché il suo sentirsi un 'nomade' delle due civiltà.
Derek Walcott è nato nel 1930 a Castries, capitale di Saint Lucia, nelle Antille Minori. Nascere e crescere in un contesto geo-politico così particolare - una piccola isola vulcanica, ex-colonia britannica - influisce fortemente sulla produzione letteraria di Walcott. Suo padre Warwick, artista bohèmien, lasciò lui e il suo fratello gemello Roderick quando erano ancora bambini. La prima formazione di Derek e Roderick avviene al St. Mary's College, dove insegna la madre Alix, che per prima trasmetterà a Derek l'amore per la poesia. Dopo la borsa di studio alla West Indies University di Kingstone, Giamaica, Walcott si trasferisce nel 1953 a Trinidad, lavorando come giornalista in quotidiani locali e come professore in diverse scuole. La sua vita si divide tra Trinidad e Stati Uniti, dove è titolare della cattedra di Poesia all'Università di Boston.
La sua attività letteraria ha inizio a diciott'anni, quando pubblica a proprie spese Twenty Five Poems. Scrittore inoltre di opere teatrali e testi per la radio, ottiene il primo importante riconoscimento da parte del grande pubblico con la pubblicazione dell'opera In a green Night (1962).”

(In www.zam.it)

 

Un fatto al giorno

23 gennaio 1799: le truppe francesi entrano a Napoli, istituendo la Repubblica Napoletana.

“La Repubblica Napoletana del 1799, ufficialmente Repubblica Napolitana, chiamata a volte impropriamente anche Repubblica partenopea, fu una repubblica proclamata a Napoli nel 1799, ed esistita per alcuni mesi sull'onda della Prima campagna d'Italia (1796-1797) delle truppe della Prima repubblica francese dopo la Rivoluzione francese.

Allo scoppiare della Rivoluzione francese nel 1789 non ci sono immediate ripercussioni a Napoli; è solo dopo la caduta della monarchia francese e la morte per ghigliottina dei reali di Francia (1793) che la politica del Re di Napoli e Sicilia Ferdinando IV e della sua consorte Maria Carolina d'Asburgo-Lorena (tra l'altro sorella di Maria Antonietta, e figlia dell'imperatrice d'Austria Maria Teresa) comincia ad avere un chiaro carattere antifrancese e antigiacobino. Il Regno di Napoli aderisce alla I coalizione antifrancese e cominciano nel mentre le prime, seppur blande, repressioni sul fronte interno contro le personalità sospettate di "simpatie" giacobine.
Su ispirazione del farmacista Carlo Lauberg nasce nel 1793 la Società Patriottica Napoletana una società segreta rivoluzionaria ben presto divisa in due fazioni: una fautrice di una monarchia costituzionale (LOMO - Libertà o morte) e un'altra fautrice di una Repubblica democratica (ROMO - Repubblica o morte). Seguono i primi arresti e le prime condanne a morte.

Nel 1796 le truppe francesi, guidate dal generale Napoleone Bonaparte cominciano a riportare significativi successi in Italia; le armate napoletane, pur forti di circa 30.000 uomini, il 5 giugno sono costrette all'armistizio di Brescia, e a lasciare ai soli austriaci l'onere della resistenza ai francesi. Nei due anni successivi i francesi continuano a dilagare in Italia; l'una dopo l'altra vengono proclamate delle repubbliche "sorelle", filofrancesi e giacobine (la Repubblica Ligure e la Repubblica Cisalpina nel 1797, la Repubblica Romana nel 1798). Nel frattempo il generale Bonaparte ha lasciato l'Italia tentando la campagna d'Egitto.

Il 23 ottobre del 1798, nonostante l'armistizio di Brescia (poi ratificato nel Trattato di Parigi), con Napoleone in Egitto e i francesi a Roma, il Regno di Napoli entrava nuovamente in guerra con i francesi, con l'appoggio della flotta inglese comandata dall'ammiraglio Horatio Nelson, vincitore di Abukir. L'esercito napoletano, forte di 70.000 uomini reclutati in poche settimane e comandato dal generale austriaco Karl von Mack entrò nella Repubblica Romana con l'intenzione dichiarata di ristabilire l'autorità papale. Dopo solo sei giorni Ferdinando IV arrivò a Roma, dove atteggiandosi a conquistatore fu oggetto delle ironie locali, ma una immediata e risoluta controffensiva dell'armata francese del generale Jean Étienne Championnet sbaragliò rapidamente l'esercito napoletano alla battaglia di Civita Castellana e i borbonici furono costretti alla ritirata che ben presto si trasformò in rotta.

Il Re tornò precipitosamente a Napoli, e il 21 dicembre si imbarcò di nascosto sul Vanguard dell'ammiraglio Horatio Nelson con tutta la famiglia e John Acton, in fuga verso Palermo (portandosi dietro, tra l'altro, il denaro dei banchi e i tesori della corona). Venne affidato al conte Francesco Pignatelli l'incarico di vicario generale e da questi fu dato ordine di distruggere la flotta, che venne incendiata. Seguirono alcuni giorni di confusione e anarchia. Mentre gli eletti del popolo rivendicarono il diritto di rappresentare il re, l'11 gennaio del 1799 il conte Pignatelli concluse, a Sparanise, un gravoso armistizio col generale Championnet.

Alla notizia della capitolazione il popolo di Napoli e di parte delle province insorse violentemente in funzione antifrancese: è la rivolta dei cosiddetti lazzari, che oppose una forte resistenza all'avanzata francese. Il Vicario abbandonò la città, ormai in preda all'anarchia, il 17 gennaio. Nel frattempo nella città scesero però in campo anche i repubblicani, i giacobini e i filofrancesi e si giunse alla guerra civile: il 20 gennaio i filofrancesi riuscirono con uno stratagemma a entrare nella fortezza di Castel Sant'Elmo, da cui aprirono il fuoco sui lazzari che ancora contendevano l'ingresso della città ai francesi. Cannoneggiati alle spalle, furono costretti a disperdersi e il generale Championnet riuscì a schiacciare la resistenza. Circa 3.000 popolani antifrancesi furono uccisi negli scontri.

Il 23 gennaio, con l'approvazione e l'appoggio del comandante dell'esercito francese, viene proclamata la Repubblica Napoletana. Nasce un governo provvisorio di venti membri, poi portato a venticinque, tra cui Carlo Lauberg (il primo presidente), Ignazio Ciaia (suo successore dalla fine di febbraio), il giurista lucano Mario Pagano, Melchiorre Delfico, Domenico Cirillo e Pasquale Baffi, Cesare Paribelli. Il governo si articola in sei Comitati (Centrale, Militare, Legislazione, Polizia Generale, Finanza, Amministrazione Interna), che poi formano l'Assemblea Legislativa ed esercitano il potere esecutivo in attesa dell'organizzazione definitiva del governo. Nei giorni successivi, tra gli altri provvedimenti, viene ordinato che tutti i tribunali, gli organi civili, amministrativi e militari sino ad allora regi si dichiarino repubblicani. Il 2 febbraio si pubblica il primo numero del Monitore Napoletano, il giornale ufficiale del governo provvisorio, diretto da Eleonora Pimentel Fonseca, una letterata in passato vicina all'ambiente di corte. Vedono la luce molti altri fogli, ma la loro fortuna sarà limitata anche a causa del diffuso analfabetismo. Il 12 febbraio viene pubblicato il Catechismo ufficiale della Repubblica Napoletana, con il compito di educare i sudditi a divenire cittadini. Il "Catechismo nazionale pe'l cittadino" fu redatto dal canonico Onofrio Tataranni, dopo aver vinto il primo premio indetto dal governo provvisorio...”

(Articolo completo in wikipedia.org)

 

Una frase al giorno

“Ami, vous noterez que par le monde y a beaucoup plus de couillons que d'hommes, et de ce vous souvienne.” (Amici, voi noterete che al mondo vi sono assai più coglioni che uomini; ricordatevene!)

(François Rabelais in Gargantua e Pantagruele, libro V, cap. VIII; 1925)

François Rabelais (Chinon, 1483 o 1494 – Parigi, 9 aprile 1553) è stato uno scrittore e umanista francese

Gargantua e Pantagruele (La vie de Gargantua et de Pantagruel) è una serie di cinque romanzi scritti da François Rabelais nella prima metà del Cinquecento. L'opera è una satira con un linguaggio semplice e vivace, a tratti triviale. Rabelais diede i primi due libri da pubblicare all'editore François Juste di Lione nel 1542, firmandosi con lo pseudonimo e anagramma Alcofribas Nasier.
Il primo libro Pantagruel, che ha come eroe l'omonimo personaggio, venne pubblicato nel 1532. Il romanzo ha come titolo completo Gli orribili e spaventosi fatti e prodezze del molto rinomato Pantagruel re dei Dipsodi, figlio del gran gigante Gargantua (dal francese Les horribles et espoventables faictz et prouesses du très renommé Pantagruel Roy des Dipsodes, filz du Grand Géant Gargantua) e il racconto in esso contenuto viene attribuito a Mastro Alcofribas Nasier, il cui nome è l'anagramma di François Rabelais.
Pantagruel è figlio del gigante Gargantua e di Badebec, che muore nel partorirlo. Il gigante riceve un'educazione di stampo umanista e sin dall'infanzia si distingue per una forza immensa superata solo dal suo appetito. A Parigi stringe amicizia col chierico spiantato Panurge, col quale condividerà molte avventure. Nel frattempo i Dipsodi invadono Utopia, ma sono respinti grazie alla forza di Pantagruel che per riparare dalla pioggia un battaglione stende la lingua a mo' d'ombrello, Alcofribas (il narratore) ne approfitta per entrare nella bocca di Pantagruel dove trova campi e boschi curati dalle popolazioni che vi vivono.

In seguito al successo di questa prima opera, l'autore firmò un secondo romanzo, nel 1534, intitolato Gargantua o, più precisamente «La vita assai orribile del grande Gargantua, padre di Pantagruel, un tempo redatta dal Sig. Alcofribas, estrattore di quintessenze. Libro pieno di pantagruelismo» (dal francese La vie très horrifique du grand Gargantua, père de Pantagruel, jadis composée par M. Alcofribas abstracteur de quintessence. Livre plein de Pantagruélisme).
Gargantua, figlio del gigante Grandgousier, re d'Utopia, viene partorito da un orecchio di sua madre Gargamelle. Il piccolo gigante riceve un'educazione di stampo medievale (messa in ridicolo nel libro), alla quale trova rimedio grazie al saggio Ponocrate che gli insegna un nuovo metodo di studio: vedere i libri come maestri di vita. Nel frattempo a causa di una lite fra mercanti di focacce, scoppia una guerra fra Utopia e il vicino regno del re Picrochole. Grazie all'aiuto del frate Jean des Entommeurs (Fracassatutto), Gargantua vince l'esercito nemico e a guerra finita si dimostra molto clemente con i vinti, frate Jean è ricompensato con la costruzione di un monastero la cui unica regola è Fai ciò che vuoi.

Pubblicato nel 1546, il Terzo libro fu intitolato Terzo libro delle gesta e dei detti eroici del nobile Pantagruel. Composto da Mastro François Rabelais, Dottore in Medicina e Calogero [titolo onorifico scherzoso] delle isole Hyeres (dall'originale Tiers livre des faits et dits Héroïques du noble Pantagruel: composés par M. François Rabelais, Docteur en Médecine, et Calloier des Iles d'Hyeres).
Panurge non sa se prendere moglie o meno, decide perciò di partire alla ricerca di qualcuno in grado di dargli un consiglio, così in compagnia di Pantagruel e frate Jean consultano una Sibilla, un medico, un poeta, un astrologo, un teologo, un filosofo (in ogni incontro l'autore ironizza sul personaggio in esame), un giudice celebre perché emette i suoi giudizi dopo aver tirato i dadi (occasione per riflettere sulla falsità dei giudizi umani), alla fine ascoltano il consiglio del pazzo Triboulet e decidono di andare a consultare l'Oracolo della Divina Bottiglia.

I protagonisti viaggiano per le terre più strane alla ricerca dell'Oracolo ed incontrano i popoli più assurdi: i litigiosi Legulei, i Papefigues (caricatura dei Protestanti), i Papimanes (caricatura dei Cattolici). Presso il circolo polare si fermano in un luogo dove odono a causa del disgelo le grida di una battaglia avvenuta anni prima, che erano rimaste imprigionate nel ghiaccio.
I tre viaggiatori giungono presso l'Isola Sonante che rappresenta la Curia romana, che viene derisa. Alla fine dopo innumerevoli peregrinazioni i protagonisti giungono in un tempio, sulle cui pareti è raffigurata la vittoria di Bacco, dove la sacerdotessa Bacbuc li guida al cospetto dell'Oracolo, il cui responso è “Trinch!”, che in inglese antico vuol dire “Bevi!”.

(Leggi tutto in wikipedia.org)

Immagini:

3 gennaio 1546: non avendo pubblicato nulla per undici anni, François Rabelais pubblica il Terzo libro, il suo sequel di Gargantua e Pantagruel.

Gargantua e Pantagruele (La vie de Gargantua et de Pantagruel) è una serie di cinque romanzi scritti da François Rabelais nella prima metà del Cinquecento

 

Un brano musicale al giorno

Muzio Clementi - Sinfonia No.1 in Do maggiore, WoO 32

Mov. I: Larghetto - Allegro 00:00
Mov. II: Andante con moto 08:12
Mov. III: Minuetto: Allegretto - Trio 13:56
Mov. IV: Finale: Allegro vivace 18:44

Orchestra: The Philharmonia, Direttore: Francesco d'Avalos

«Muzio Filippo Vincenzo Francesco Saverio Clementi (Roma, 23 gennaio 1752 - Evesham, 10 marzo 1832) è stato un compositore e pianista italiano, uno dei primi ad aver scritto musica per il pianoforte moderno. È noto in particolare per la sua monumentale raccolta di studi per pianoforte, Gradus ad Parnassum. Sulla sua tomba fu incisa l'iscrizione "Padre del Pianoforte". Nacque primo di sette figli, da Nicolò Clementi, un argentiere romano molto rispettato, e Madalena Caisar, indicata negli Status animarum di S. Lorenzo in Damaso come "romana". Il suo talento musicale fu subito chiaro già dalla più tenera età: a sette anni studiava musica con ottimo profitto, tanto che a tredici era già organista di chiesa. Fu allievo di Giuseppe Santarelli, Antonio Boroni, Giovanni Battista Cordicelli e Gaetano Carpani.

Nel 1766, Sir Peter Beckford (1740-1811), un ricco uomo inglese, cugino dell'eccentrico William Beckford, si interessò al talento musicale del giovane e raggiunse un accordo con il padre per portare Clementi nella sua tenuta di Steepleton Iwerne, a nord di Blandford Forum nel Dorset, Inghilterra - dove Beckford avrebbe provveduto a garantire la formazione musicale ed, in cambio, Clementi avrebbe fornito un intrattenimento musicale nella tenuta. Fu là che Clementi trascorse sette anni di quasi totale isolamento, immergendosi con un accanito autodidattismo nello studio della musica e nella pratica del clavicembalo e dell'organo, esercitandosi otto ore al giorno; studiò musiche di Bach, Händel, Pasquini ed un gran numero di toccate e sonate di Alessandro e Domenico Scarlatti; le innovative tecniche tastieristiche presenti nelle sonate del musicista napoletano influenzarono profondamente il suo futuro stile pianistico. Qui ebbe anche l'occasione di conoscere le opere di Ignazio Cirri, pubblicate a Londra, lo stile delle quali è appunto stato definito da Luigi Torchi una sorta di "transizione tra Bach e Clementi", nel senso del passaggio dal contrappunto allo stile del tardo Settecento.
Le sue composizioni di questo primo periodo sono poche e praticamente sono andate tutte perse.

Muzio Filippo Vincenzo Francesco Saverio Clementi (Roma, 23 gennaio 1752 - Evesham, 10 marzo 1832) è stato un compositore e pianista italiano

Fu nel 1770 che Clementi fece la sua prima apparizione pubblica al pianoforte. L'uditorio fu entusiasta dalla sua esecuzione e ciò diede inizio alla carriera di uno dei pianisti da concerto maggiormente di successo della storia. Nel 1774, Clementi fu libero dai suoi obblighi verso Peter Beckford e si trasferì a Londra, dove tra altri impegni, fece diverse apparizioni come solista di clavicembalo in concerti per altri cantanti e svolse il ruolo di "direttore" - dalla tastiera - al King's Theatre, Haymarket nell'ultima parte della sua permanenza a Londra. La sua popolarità aumentò nel 1779 e 1780, almeno in parte grazie al successo delle Sonate op. 2, appena pubblicate. La sua fama e popolarità crebbero rapidamente, al punto da guadagnargli in molti circoli musicali la considerazione di musicista di grande talento.

Clementi iniziò nel 1781 un tour in Europa, recandosi in Francia, Germania e in Austria. A Vienna, Clementi accettò l'invito dell'imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena a partecipare a un "duello" musicale con Wolfgang Amadeus Mozart, allo scopo di intrattenere l'imperatore e i suoi ospiti. Entrambi gli artisti furono invitati ad improvvisare ed eseguire selezioni delle proprie composizioni. L'abilità di entrambi questi compositori e virtuosi fu così notevole che l'Imperatore fu costretto a dichiarare la parità.

Il 12 gennaio 1782, Mozart scrisse al padre: "Clementi suona bene, specialmente per quanto riguarda la mano destra. La sua maggiore abilità consiste nei passaggi di terze. A parte questo, egli vale, come gusto e sentimento meno di un kreuzer - in breve egli è semplicemente un tecnico". In una lettera successiva si spinse oltre dicendo "Clementi è un ciarlatano, come tutti gli italiani.". Per contro, le opinioni su Mozart che si era fatto Clementi erano tutte entusiasticamente positive.
Ma il tema principale della sonata in Si bemolle Maggiore op. 24 n. 2 di Clementi catturò l'immaginazione di Mozart, che dieci anni più tardi lo usò nella ouverture della sua opera Die Zauberflöte (Il flauto magico). Questo amareggiò Clementi al punto che ogni volta che questa sonata veniva pubblicata egli si sincerava che venisse inclusa una nota che spiegava come questa musica era stata scritta dieci anni prima del Flauto Magico di Mozart.

A partire dal 1782, e per i venti anni successivi, Clementi soggiornò in Inghilterra suonando il piano, dirigendo ed insegnando. Due suoi studenti raggiunsero una certa fama: Johann Baptist Cramer e John Field (che, a sua volta, avrebbe influenzato significativamente Fryderyk Chopin). Clementi iniziò anche a costruire pianoforti ma nel 1807 la sua fabbrica venne distrutta da un incendio. Lo stesso anno, Clementi fece un contratto con Ludwig van Beethoven, uno dei suoi più grandi ammiratori, che gli concesse pieni diritti di pubblicazione su tutta la sua musica. Durante il soggiorno in Inghilterra conobbe e strinse amicizia con il compositore tedesco Karl Friedrich Horn, organista presso la Saint George Chapel di Windsor e fu iniziato nella Massoneria.
La statura di Clementi come editore ed interprete della musica di Beethoven non è certamente minore di quella che si è guadagnato come compositore (sebbene sia stato anche criticato per qualche licenza editoriale, ad esempio qualche "correzione" armonica ad alcune composizioni beethoveniane). Il fatto che Beethoven in tarda età cominciò a comporre (soprattutto musica da camera) in modo specifico per il mercato inglese potrebbe essere collegato col fatto che il suo editore era appunto stanziato lì. Nel 1810 Clementi concluse l'attività concertistica per dedicare tutto il suo tempo alla composizione ed alla costruzione di pianoforti. Il 24 gennaio 1813 a Londra, Clementi, insieme ad altri musicisti professionisti, fondò la "Philharmonic Society of London" che divenne nel 1912 la "Royal Philharmonic Society". Nel 1830 si trasferì fuori Lichfield e poi trascorse i suoi ultimi, meno emozionanti anni ad Evesham, dove morì all'età di ottant'anni. Fu sepolto nell'Abbazia di Westminster. Si era sposato tre volte.

Muzio Clementi è una figura altamente sottostimata nel mondo della musica. È ritenuto da molti studiosi, sia il creatore del pianoforte moderno come strumento, sia il padre del modo moderno di suonarlo.
Clementi è universalmente conosciuto per la sua monumentale raccolta di studi per pianoforte Gradus ad Parnassum, costituita da ben cento brani di diverso stile, in cui il compositore riesce a fondere con maestria la bellezza di ogni studio con una tecnica decisamente innovativa per l'epoca; è quindi un'opera che segna il momento in cui la tecnica clavicembalistica cede davvero il passo a quella pianistica. Similmente, le sue sonate sarebbero ovunque rimaste una tappa obbligatoria per gli studenti di pianoforte, fino ad oggi. Erik Satie, un contemporaneo di Debussy, avrebbe composto buffe esagerazioni delle sonatine di Clementi (in particolare la sonatina Op. 36 N° 1) nella sua Sonatine Bureaucratique.
Clementi compose circa 110 sonate per pianoforte. Alcune di quelle più giovanili e facili, dopo il successo delle sue Sonatine (op. 36) furono ristampate con il nome di Sonatine e continuano ad essere nello studio del piano comuni pezzi di pratica, il cui valore artistico non sfigura certo a confronto del valore didattico. Purtroppo le sue sonate sono eseguite molto raramente in concerti pubblici, ma ne esistono interpretazioni più che autorevoli, in particolare da parte di Vladimir Horowitz. Alcune sonate, inoltre (e tra di esse innanzitutto le tre dell’Op. 40 e le tre dell'Op. 50, fra cui l'ultima è famosa col titolo di Didone abbandonata), testimoniano la presenza nel tardo Clementi di una sensibilità ormai vicina all'estetica romantica e smentiscono lo stereotipo di un compositore scarsamente espressivo e freddamente tecnico. Celebre è anche la sonata in fa diesis minore Op. 25 n. 5, particolarmente vibrante e tesa in una preromantica bellezza.
Oltre al repertorio per pianoforte solo, Clementi scrisse molte altre composizioni, comprese diverse sinfonie (recentemente ricostruite), sulle quali lavorò a lungo, pur lasciandole incompiute, e che stanno gradualmente ricevendo l'attenzione della critica musicale contemporanea. Delle quattro sinfonie a noi pervenute, la quarta può essere annoverata tra le sue composizioni più notevoli.
Mentre la musica di Clementi, come si diceva, non è eseguita spesso nei concerti, stanno crescendo in popolarità le registrazioni di sue composizioni; l'opera orchestrale completa di Clementi è stata registrata da Francesco d'Avalos con la Philharmonia di Londra.»

(Leggi tutto in wikipedia.org)

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

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Ugo Brusaporco

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UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k