“L’amico del popolo”, 23 settembre 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

THE TRIAL (Il processo, Francia, Germania Ovest, Italia, Jugoslavia, 1962), regia di Orson Welles. Soggetto: Franz Kafka (omonimo romanzo). Sceneggiatura: Orson Welles. Fotografia: Edmond Richard. Montaggio: Yvonne Martin, Denise Baby, Fritz Mueller, Roberto Perpignani. Musiche: Jean Ledrut. Cast: Anthony Perkins - Josef K. Jeanne Moreau - Marika Burstner. Romy Schneider - Leni. Elsa Martinelli - Hilda. Suzanne Flon - Miss Pittl. Orson Welles - Albert Hastler, The Advocate. Akim Tamiroff - Bloch. Madeleine Robinson - Mrs. Grubach. Paola Mori - Court archivist. Arnoldo Foà - Inspector A. Fernand Ledoux - Chief Clerk of the Law Court. Michael Lonsdale - Priest. Max Buchsbaum - Examining Magistrate. Max Haufler - Uncle Max. Maurice Teynac - Deputy Manager. Wolfgang Reichmann - Courtroom Guard. Thomas Holtzmann - Bert the law student. Billy Kearns - First Assistant Inspector. Jess Hahn - Second Assistant Inspector. Naydra Shore- Irmie, Joseph K.'s cousin. Carl Studer - Man in Leather. Jean-Claude Rémoleux - Policeman #1. Raoul Delfosse - Policeman #2. William Chappell - Titorelli.

Josef K., un impiegato che conduce un'esistenza tranquilla e rispettabile, una mattina viene svegliato dalla polizia che gli annuncia di essere in arresto sebbene non in stato di detenzione. K. non comprende la ragione dell'arresto, proclama la sua innocenza e si professa vittima di una palese ingiustizia. Condotto davanti alla corte suprema, pronuncia un vibrante discorso accusando tutti i giudici di ordire un complotto contro le persone comuni, arrestate casualmente e senza nessuna prova.
Negli ambienti giudiziari, K. ha a che fare con personaggi oscuri, con donne usate come merce di scambio e con altri accusati, succubi, ma forse anche complici, di una giustizia del tutto incomprensibile. Spinto dallo zio, si affida a un avvocato (interpretato dallo stesso Welles), venerato dai clienti e rispettato dalla corte, che però sembra interessato a tutto fuorché alla sorte dei suoi clienti.
Nel suo girovagare nei meandri del tribunale in cerca di una via d'uscita dalla sua odissea giudiziaria, K. fa incontri bizzarri come il pittore della corte suprema (il cui atelier è una sorta di voliera nella quale vive tormentato dagli sguardi dei bambini), e a poco a poco viene scoraggiato dal proseguire la sua battaglia ed è costretto a rassegnarsi. Il destino di Josef K. è segnato: due funzionari lo prelevano, lo portano nella brughiera e lo giustiziano con della dinamite.

THE TRIAL (Il processo, Francia, Germania Ovest, Italia, Jugoslavia, 1962), regia di Orson Welles

“Il film visivamente è ricchissimo e tecnicamente si segnala per virtuosismi davvero inusitati per l'epoca. Il montaggio al principio è piuttosto lento per velocizzarsi man mano che la storia procede. Girato in uno scintillante bianco e nero dai contrasti molto forti e con il frequente uso del grandangolo (il 18.5 mm) per deformare le immagini e accentuare il senso di minaccia latente e la claustrofobia delle atmosfere, il film fa sfoggio di scenografie imponenti e allucinanti al tempo stesso (il palazzo di giustizia, l'ufficio di K., lo studio di Hastler, ecc.) che rendono in pieno il pesante senso di soffocamento presente nel romanzo originario.

La fotografia e le scenografie ci proiettano in un mondo allucinato, il bianco e nero taglia le figure in modo netto, esalta ogni contorno, conferisce agli ambienti un'aura spettrale, espressionista, metallica. Gli ambienti in cui si muove K. sembrano ripresi direttamente da Metropolis di Lang, una città fredda, di ferro e vetro, in questo caso disabitata. L'unica rappresentazione di folla mostrataci da Welles sono gli accusati in tribunale, persone in attesa da anni, come anime di un surreale purgatorio. Le altre persone o non hanno un volto, come i giudici della corte suprema, oppure sono persone sfigurate dalla bruttezza interiore.

Solamente le donne offrono a K. un aiuto, seppure talvolta inconsistente, ma anch'esse sono le vittime di un sistema che permette loro di esistere solamente a causa dei loro corpi.

Un elemento molto particolare di questo lungometraggio è la sequenza di apertura, giudicata da alcuni critici la parte migliore del film. L'intera sequenza è stata realizzata da Alexandre Alexeieff usando il suo celebre schermo di spilli: uno schermo in cui erano infissi perpendicolarmente migliaia di spilli retrattili, che proiettavano un'ombra a seconda del modo in cui venivano spostati; grazie quindi al gioco di chiaroscuri prodotto dalle ombre degli spilli, si potevano realizzare immagini in movimento.

THE TRIAL (Il processo, Francia, Germania Ovest, Italia, Jugoslavia, 1962), regia di Orson Welles

Le reazioni al film furono contrastanti. Parte della critica rimproverò a Welles una certa "freddezza" nell'esposizione del racconto, l'incapacità di coinvolgere lo spettatore nella vicenda narrata. La critica più frequente che venne mossa al regista fu quella di non essersi attenuto rigorosamente all'opera di Kafka. In effetti, Il processo di Orson Welles differisce notevolmente dall'originale kafkiano. Il protagonista Josef K. è molto più aggressivo, spavaldo e ironico che nel libro; manca inoltre il cosiddetto "monologo interiore" che sottintende tutto lo svolgersi della storia. Sparisce la passività del K. letterario e il finale viene significativamente modificato rispetto al romanzo. Anche la scelta di Anthony Perkins come protagonista venne criticata, ritenuto l'attore statunitense troppo poco espressivo e "caricato" nella recitazione, i personaggi senza spessore e gli attori generalmente mal diretti.

Non tutte le critiche furono negative però, alcuni critici lodarono la maestria di Welles nel rendere sullo schermo le atmosfere allucinate simili a un incubo del romanzo di Kafka, e l'immaginifico talento visivo del regista. Il critico Sandro Studer, sul n° 3 di Metropolis (maggio 1979) arrivò a definire il film "il vero capolavoro di Welles, degno di stare alla pari con Quarto Potere". Anche lo stesso Welles era soddisfatto dell'opera e così si espresse, durante un'intervista pubblicata ai Cahiers du cinéma, nei confronti di essa: «Dite quel che volete, ma Il processo è il miglior film che abbia fatto».
In definitiva, Orson Welles mostra con grande lucidità un universo in cui la follia è una miscela di freddezza, perversione e carnalità, dove tutti sono colpevoli e dove molti sono solo pedine in un gioco a loro incomprensibile, come i poliziotti incaricati dell'arresto di K., torturati perché questi aveva detto davanti alla corte di essere stato derubato da loro.

Il film racconta la discesa di un cittadino nel claustrofobico ambiente giudiziario, in una carrellata di ambienti che vanno via via restringendosi, dalla ampiezza dell'aula della corte suprema agli spazi angusti dei corridoi e dell'atelier del pittore. Questo effetto trasmette allo spettatore il crescere dell'angoscia di K., che si placa solo nel momento in cui accetta la condanna e il suo destino, momento in cui ci è mostrato nuovamente un ambiente aperto. In più, la scelta delle inquadrature fa chiaramente vedere al pubblico come sia piccolo e insignificante il comune cittadino di fronte all'imponenza della legge; questo è palese ad esempio nella sequenza in cui Josef e la cugina si trovano davanti al palazzo di giustizia e i loro corpi si perdono tra la maestosità delle statue che adornano la scalinata”.

(Articolo completo in it.wikipedia.org)

  • Il film: The Trial (1962, Anthony Perkins, Arnoldo Foà, Jess Hahn Mystery, Thriller) 
  • O in italiano in: Orson Welles, Il processo da Franz Kafka

23 settembre 1938 nasce Romy Schneider, attrice franco-austriaca (morta nel 1982)

THE TRIAL (Il processo, Francia, Germania Ovest, Italia, Jugoslavia, 1962), regia di Orson Welles

 

Una poesia al giorno

Ho veduto solo una volta, di Jaroslav Seifert (poeta e giornalista ceco. Praga, 23 settembre 1901 - Praga, 10 gennaio 1986)

Ho veduto solo una volta
un sole così insanguinato.
E poi mai più.
Scendeva funesto sull’orizzonte
e sembrava
che qualcuno avesse sfondato la porta dell’inferno.
Ho domandato alla spècola
e ora so il perché.
L’inferno lo conosciamo, è dappertutto
e cammina su due gambe.
Ma il paradiso?
Può darsi che il paradiso non sia null’altro
che un sorriso
atteso per lungo tempo,
e labbra
che bisbigliano il nostro nome.
E poi quel breve vertiginoso momento
quando ci è concesso di dimenticare velocemente
quell’inferno.

(da: Vestita di luce, Einaudi, 1986, trad. it. S. Corduas)

Jaroslav Seifert (poeta e giornalista ceco. Praga, 23 settembre 1901 - Praga, 10 gennaio 1986)

“...La poesia di Seifert può dividersi in tre periodi: il canto poetistico, il canto in rima e quello civile e infine il canto in verso libero. Ed è proprio questo terzo periodo, il più difficile da tradurre, che sorprese chi lo aveva già premiato e "catalogato" come il tenero cantore di Praga. In questi ultimi versi infatti il poeta usa una scrittura coraggiosa che utilizza il verso libero spesso colloquiale e prosastico, alternato da brevi e oscure ellissi e con un continuo e impercettibile allontanarsi sia dalle cose che dal proprio discorso poetico.
Il tema intorno a cui ruota tutta la sua poesia è Praga e nessuno ha cantato Praga come Seifert. Questa è una città di amore e "magica", perché in essa possono sempre germogliare i fiori e l'amore, ma è anche "tragica", non tanto per le guerre, le invasioni, il destino di tanti praghesi, ma perché proprio in Praga la morte coincide con la vita.
Praga è per Seifert la donna più amata e la donna-vita, come la città-vita, viene amata quando sboccia. Della donna-morte, Seifert parla poco, certamente per pudore e lascia a un dottore dire ciò che teme possa essere vero.
Seifert comunque, dal punto di vista oggettivo e filosofico, non teme il conflitto tra la vita e la morte, ma sul piano soggettivo e psicologico (la donna) ne sente tutta la drammaticità...”

(Articolo completo molto dettagliato in it.wikipedia.org)

 

Un fatto al giorno

23 settembre 1803: Seconda Guerra Anglo-Maratha. Battaglia di Assaye tra la Compagnia Britannica delle Indie Orientali e l'impero Maratha in India.

23 settembre 1803: Seconda Guerra Anglo-Maratha. Battaglia di Assaye

“La battaglia di Assaye, combattutasi il 23 settembre 1803 presso l'omonimo villaggio dell'India centrale tra l'esercito britannico sotto il comando di Arthur Wellesley (il futuro Duca di Wellington) e l'armata dei Principi Maratthi, segnò la svolta decisiva della Seconda guerra anglo-maratta, aprendo il predominio inglese su tutto l'altopiano del Deccan e, in generale, sull'intera India centro-meridionale. ... Il 20 settembre Arthur Wellesley e il Colonnello Stevenson si divisero a Bednapur; Stevenson avanzò attraverso una valle circa quattordici miglia ad ovest della linea di marcia di Wellesley. Entrambi avevano pianificato di riunire nuovamente le forze in un villaggio a venti miglia da Bokerdunon il 24 settembre. Ma Wellesley si scontrò con le armate di Sindhia e Ragojee Bhonsla ad Assaye il 23 settembre. Questi contavano tra i 40.000 ed i 50.000 uomini, incluse tre brigate di fanteria regolare, la maggior parte sotto il comando di Anthony Pohlmann, un soldato di ventura hannoveriano, che era stato in precedenza sergente nella Compagnia delle Indie Orientali, prima di passare al nemico. Le forze maratte presero posizione tra i fiumi Kaitna e Juah; una posizione che i principi reputavano sarebbe potuta essere assalibile solo attraversando il Kaitna. Nonostante l'enorme disparità di forze, Wellesley era determinato ad attaccare.

Lì vicino, Wellesley trovò un tratto dove passare a guado il fiume, non lungi dal villaggio di Assaye. In tal modo egli aveva l'intenzione di attaccare di fianco l'armata nemica. La manovra tuttavia fallì, poiché l'esercito inglese venne assalito mentre stava ancora guadando il fiume. L'esercito dei Principi Maratti si ritirò andando a schierarsi in faccia agli inglesi, sbarrando la strada. Ma una valorosa carica alla baionetta di due battaglioni scozzesi, il 74° Highlanders (che perse tutti i suoi ufficiali) e il 78° Highlanders, sbaragliarono le forze combinate nemiche e l'esercito dei principi andò in rotta. Le perdite delle armate maratte ammontarono a circa 6.000 uomini, mentre gli Inglesi non ebbero più di 1.500. Malgrado le pesanti perdite nel loro attacco frontale, le forze britanniche riportarono una straordinaria vittoria, che, dopo una marcia forzata di ventiquattro miglia, fu un vero trionfo. Tuttavia, proprio per questo lungo cammino l'esausto esercito di Wellesley non poté inseguire il nemico in fuga.

Questo era il primo successo del trentaquattrenne Arthur Wellesley, ed uno di quelli che egli ricordò sempre con soddisfazione, comparato alla sua successiva trionfale carriera. Secondo un aneddoto, in tarda età, dopo essersi ritirato a vita privata, Wellington considerava Assaye la sua battaglia più raffinata, sorpassando spesso anche il suo trionfo nella battaglia di Waterloo....”

(In it.wikipedia.org)

 

Una frase al giorno

“Il bimbo che non gioca non è un bimbo, però l'uomo che non gioca ha perso per sempre il bimbo che viveva in lui e che gli mancherà molto.”

(Pablo Neruda, Parral, 12 luglio 1904 - Santiago del Cile, 23 settembre 1973)

Pablo Neruda, Parral, 12 luglio 1904 - Santiago del Cile, 23 settembre 1973

Pablo Neruda è lo pseudonimo di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, poeta, diplomatico e politico cileno, considerato una delle più importanti figure della letteratura latino-americana del Novecento.
Scelse lo pseudonimo di Pablo Neruda, in onore dello scrittore e poeta ceco Jan Neruda, nome che in seguito gli fu riconosciuto anche a livello legale. Definito da Gabriel García Márquez "il più grande poeta del XX secolo, in qualsiasi lingua e considerato da Harold Bloom tra gli scrittori più rappresentantivi del canone Occidentale, è stato insignito nel 1971 del Premio Nobel per la letteratura.
Ha anche ricoperto per il proprio Paese incarichi di primo piano diplomatici e politici, come quella di Senatore. Inoltre, è conosciuto per la sua volontaria adesione al comunismo (per cui subì censure e persecuzioni politiche, dovendo anche espatriare a causa della sua opposizione al governo autoritario di Gabriel González Videla), la sua candidatura a Presidente del Cile nel 1970, e il successivo sostegno al socialista Salvador Allende. Morì in un ospedale di Santiago poco dopo il golpe del generale Augusto Pinochet nel 1973, ufficialmente di tumore ma in circostanze ritenute dubbie, mentre stava per partire per un nuovo esilio”.

(Articolo completo in https://it.wikipedia.org/wiki/Pablo_Neruda)

Il 23 settembre 1973 muore Pablo Neruda, Poeta e diplomatico cileno, premio Nobel (nato nel 1904)

 

Un brano musicale al giorno

Bob Marley, Pittsburgh 9-23-80: Work/Get Up Stand Up

23 settembre 1980: Bob Marley suona quello che sarebbe l'ultimo concerto della sua vita a Pittsburgh, in Pennsylvania.

Bob Marley, nato Robert Nesta Marley (Nine Mile, 6 febbraio 1945 – Miami, 11 maggio 1981), è stato un cantautore, chitarrista e attivista giamaicano. Ha contribuito a sviluppare e diffondere in tutto il mondo uno stile di vita generalmente identificato con la musica reggae, che peraltro lo rese popolare fuori dalla Giamaica. La sua musica è fortemente dedicata al tema della lotta contro l'oppressione politica e razziale e all'invito all'unificazione dei popoli di colore come unico modo per raggiungere la libertà e l'uguaglianza. L'aspetto politico della sua vita è stato più importante di quello artistico. Marley divenne un leader politico, spirituale e religioso. Nel 1978 gli fu conferita, a nome di 500 milioni di africani, la medaglia della pace dalle Nazioni Unite. Morì nel 1981 a causa di un melanoma al piede destro.

 

Un evento sportivo al giorno

Il Knickerbockers Baseball Club, la prima squadra di baseball a giocare secondo le regole moderne, viene fondato a New York.

New York Knickerbockers Base Ball Club, circa 1847

“I New York Knickerbockers furono una delle prime squadre di baseball organizzate che giocarono sotto una serie di regole simili al gioco di oggi. Nel 1845, la squadra fu fondata da Alexander Cartwright, considerato uno degli sviluppatori originali del baseball moderno. Nel 1851, i New York Knickerbockers indossarono le prime divise da baseball registrate.”

(Articolo completo in: en.wikipedia.org)

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k