“L’amico del popolo”, 3 ottobre 2018

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

L'ASSOLUTO NATURALE (Italia, 1969), regia di Mauro Bolognini. Soggetto: dall’omonimo romanzo di Goffredo Parise. Sceneggiatura: Mauro Bolognini, Ottavio Jemma, Vittorio Schiraldi. Fotografia: Ennio Guarnieri: Montaggio: Giovanni Baragli. Musica: Ennio Morricone. Cast: Laurence Harwey, Sylva Koscina, Isa Miranda, Guido Mannari, Felicity Mason, Franca Sciutto, Gina Sammarco, Giorgio Tavaroli, Nella Tessieri Frediani, Vanni Castellani, Amalia Carrara, Isabella Digerini Nuti Tolomei Cini.

Peter, un giovane inglese in vacanza in Italia, ed Ella, un'avvenente signora della buona borghesia, conosciutisi casualmente, hanno intrapreso insieme un viaggio in autostrada, e, alla prima sosta, si sono amati. Cominciata con tanta naturalezza, però, la loro relazione si fa via via più contrastata e difficile, turbata da continui litigi; per Peter, intellettuale idealista e sognatore, l'amore è anche un sentimento; per Ella, è solo un fatto fisico. Accusandolo di amare un'altra donna, quella che egli si è inventato, coerentemente con le sue ubbie sentimentali, Ella cerca di "svegliarlo" concedendosi a due meccanici, con l'unico risultato di accendere la sua gelosia. Né ha miglior successo con altri tentativi, come quando sprezzantemente distrugge un romantico manoscritto del compagno, oppure, a scopo didascalico, impone a questi l'osservazione dell'amore fra i bachi da seta e la visita alla lubrica accolita delle donne della famiglia di lei. Tanta insistenza, però, se non riesce a mutare la sua concezione dell'amore, convince finalmente Peter che tra lui ed Ella è tutto finito: s'avvia dunque per la sua strada, non vedendo altra soluzione che il suicidio. Coerente con se stessa, Ella lo travolge con la propria automobile.

L'ASSOLUTO NATURALE (Italia, 1969), regia di Mauro Bolognini

“Un titolo indimenticabile per il film più misterioso di Mauro Bolognini. Quasi impossibile da concepire al di fuori del suo anno di realizzazione. Oggi lo si potrebbe recuperare per l’eccessivo e un po’ rozzo intellettualismo, per il registro metaforico troppo sbilanciato nella dimostrazione a tesi di un’improbabile parabola sulla crisi dei rapporti di coppia. Siamo dalle parti di Metti una sera a cena di Patroni Griffi o La donna invisibile di Spinola, entrambi esempi di un cinema kitsch forse inconsapevole ma decisamente estenuante, che al momento del suo lancio nelle sale poteva spacciarsi per il massimo della moda più effimera. Ma Bolognini fa di più - o di peggio - e allestisce il suo teatrino su un piano infinitamente più astratto, più carico rispetto ai film appena citati, infilando una serie di dialoghi deliranti tra il Lui della situazione, un tormentato Laurence Harvey, poeta inglese in vacanza in Italia che sogna l’amore come sentimento assoluto, unione di corpo e spirito, e la Lei del caso, una bellissima Sylva Koscina attratta drasticamente e soltanto dal rapporto fisico, dall’amore carnale, che prende e dà quando lei lo decide.

Ne viene fuori un film impossibile, totalmente folle persino per un anno chiave e assurdo come il ‘69. Certo, a teatro, il testo di Goffredo Parise, scritto in seguito alla fine del suo rapporto con Maria Costanza Speroni - debutto al Metastasio di Prato in pieno ‘68 per la regia di Franco Enriquez, interpreti Valeria Moriconi e Renzo Montagnani - aveva tutte le virtù simboliche della scena per poter funzionare. Ma al cinema non basta fotografare una Livorno livida e patinata, infarcirla di oggettistica alto-borghese ultra-sleazy (occhiali da sole giganteschi, interni dal design pop-essenzialista) e farla attraversare da possenti macchine sportive per dare credibilità e spessore ai personaggi, i quali - come spesso accade nei film del periodo che scavano nel milieu alto-borghese - hanno l’aria annoiata di chi sembra stia vivendo un’eterna vacanza, senza mai porsi il problema del denaro da spendere né del lavoro che non viene mai nominato...

Lei, spavalda donna-mantide, anticipa tutto un clima femminista a venire, in modo forse ancor più radicale rispetto a un’altra pellicola targata ‘69 come Femina Ridens, dove pure troviamo una Dagmar Lassander profetica da questo punto di vista. Qui la Koscina appare da subito totalmente indipendente dall’uomo-oggetto, assolutamente naturale nel disinteresse verso le sue richieste da romanticismo... Lui, piuttosto, è il vero punto debole dell’Assoluto naturale, tanto che il finale sacrificale che lo attende non sconcerta più di tanto, sembrando quasi come inevitabile. Eppure, anche nel cerebralismo generale, non passano inosservati i centimetri di pelle generosamente offerti dalla Koscina, mai così nuda come in questo film; la scena in cui entra in piscina completamente senza veli all’epoca dovette creare un certo scalpore, e ancor oggi non si dimentica facilmente...”

(Pierpaolo De Sanctis in www.nocturno.it )

Il film:

L'ASSOLUTO NATURALE (Italia, 1969), regia di Mauro Bolognini

 

Una poesia al giorno

Abbiamo trovato la traduzione di una poesia (1922) di Sergej Aleksandrovic Esenin:

Si! Ormai è deciso. Senza ritorno
ho abbandonato i campi nativi.
Ormai col fogliame alato non stormiranno
i pioppi sopra di me.

La bassa casa si ingobbisce senza di me,
il vecchio cane da tempo se n’è andato.
Sembra che nelle tortuose strade moscovite
Dio mi ha condannato a morire.

Amo questa città merlettata
benché vecchia e flaccida.
La dorata, sonnolenta Asia
si è addormentata sulle cupole.

Ma quando di notte splende la luna,
quando splende...lo sa il diavolo come!
Io vado, con la testa ciondoloni,
attraverso il vicolo nella conosciuta bettola.

Rumore e baccano in questo orrendo covo
ma per tutta la notte fino all’alba
leggo versi alle prostitute e con i banditi brucio alcol.

Batte il cuore sempre più veloce
ed ormai parlo a vanvera:
- io sono come voi, un essere perduto,
ormai non posso tornare indietro.

La bassa casa si ingobbisce senza di me,
il vecchio cane da tempo se n’è andato.
Sembra che nelle tortuose strade moscovite
Dio mi ha condannato a morire.

Sergej Aleksandrovic Esenin e Isadora Duncan

Sergej Aleksandrovic Esenin nasce il 3 ottobre 1895 a Konstantinovo (oggi Esenino), nella regione di Rjazan (Russia); figlio unico di genitori contadini, è l’esponente più importante della cosiddetta scuola dei “poeti contadini”. Nei suoi versi traspare il mondo rurale della Russia di inizio Novecento: le sue parole esaltano le bellezze della campagna, l’amore verso il regno animale, ma anche gli eccessi della sua esistenza (Esenin fu alcolista e frequentatore di bordelli).

(Dalla presentazione dell’autore in: lombradelleparole.wordpress.com)

 

Un fatto al giorno

3 ottobre 1930: viene fondato il Partito socialista laburista tedesco in Polonia - Sinistra (in tedesco: Deutsche Sozialistische Arbeitspartei in Polen - Linke, 'DSAP-Linke'). DSAP-Linke era guidato da Heinrich Scheibler, che era stato presidente del ramo di partito di Lodz-Nord del DSAP. Schlieber sostenne che il DSAP avrebbe dovuto cercare la cooperazione con altri partiti di sinistra, per l'unità tra socialisti e comunisti nella lotta contro la reazione. Altri membri fondatori di DSAP-Linke furono Johann Rückert, Oskar Fiebig, Adolf Jedich e Joseph Dillner.
Dopo la divisione, le relazioni tra DSAP-Linke e il DSAP originario (o DSAP-Right, cioè “Destra”) erano di antagonismo. DSAP-Linke definì DSAP e il Partito Socialista Polacco (PPS) come "social fascisti", sostenendo che i vertici di quei due partiti stavano gettando le basi per il fascismo in Polonia. Gli organi di stampa del DSAP, da parte loro, iniziarono a usare il termine 'Szajbel' per il nome di Scheibler, insinuando così che era ebreo (Scheibler non era di origine ebraica, ma aveva sposato una donna ebrea).

(Wikipedia en.wikipedia.org)

Questa è una Storia poco conosciuta forse, ma soprattutto non ho trovato altre tracce di Heinrich Scheibler, sposato con un’ebrea, forse finì anche lui in un campo di sterminio, ma è solo una supposizione e la Storia non vive di supposizioni. (Ugo)

 

Una frase al giorno

“È giusto che i giovani cerchino modelli a cui rifarsi. A malincuore mi accorgo che spesso la ricerca è di basso livello, una pop star piuttosto che un personaggio da reality. Certo, le persone con poco spessore sono più facili da interpretare e imitare. Ma ai giovani direi di non aver paura a puntare in alto.”

(Nadine Gordimer, Johannesburg, 20 novembre 1923 - Johannesburg, 13 luglio 2014)

Nadine Gordimer, Johannesburg, 20 novembre 1923 - Johannesburg, 13 luglio 2014

Nadine Gordimer è stata una scrittrice sudafricana, autrice di romanzi e saggi, attivista politico e premio Nobel per la letteratura nel 1991. È stata riconosciuta come una donna "che attraverso la sua magnifica scrittura epica - con le parole di Alfred Nobel - è stata di grande beneficio per l'umanità". La scrittura di Gordimer trattava questioni morali e razziali, in particolare l'apartheid in Sud Africa. Sotto quel regime, opere come la figlia di Burger e People di July furono bandite. Era attiva nel movimento anti-apartheid, aderendo all'African National Congress durante i giorni in cui l'organizzazione fu bandita, e diede a Nelson Mandela un consiglio sul suo famoso discorso difensivo del 1964 al processo. Era anche attiva nelle cause dell'HIV-AIDS.

(In en.wikipedia.org)

Interessante è scoprire come la presenta Wikipedia it: “Nadine Gordimer è stata una scrittrice sudafricana, autrice di romanzi e saggi, vincitrice del Booker Prize nel 1974 e del Premio Nobel per la letteratura nel 1991. Nel gennaio 2007 le viene assegnato il Premio Grinzane Cavour per la Lettura”.
Solo in Italia si può mettere sullo stesso piano il Nobel e uno sconosciuto premio, solo in Italia si può trascurare nel presentarla la sua statura morale e civile! (Ugo)

 

Un brano musicale al giorno

Antoine Dauvergne Chaconne, Quarto concerto della Sinfonia in La maggiore: Concerto Köln

Antoine Dauvergne (3 ottobre 1713 - 11 febbraio 1797)

Antoine Dauvergne (3 ottobre 1713 - 11 febbraio 1797) è stato un compositore e violinista francese. Dauvergne è nato a Moulins, in Allier. È stato maestro della Chambre du roi, direttore del Concert Spirituel dal 1762 al 1771, e direttore dell'Opera tre volte tra il 1769 e il 1790. Dauvergne ha contribuito sia come interprete che come compositore alla musica classica alla corte di Versailles. È famoso soprattutto come compositore di Les troqueurs, un'opera che ha avuto una grande influenza sullo sviluppo dell'Opéra francese. Morì a 83 anni a Lione. Oltre alle opere e ai balletti dell'opera, Dauvergne compose un certo numero di altre opere tra cui violino sonate (1739), trio sonate, mottetti e quello che chiamò Concerts de Simphonies (1751).

Il nome Dauvergne è talvolta scritto D'Auvergne. Significa "dall'Auvergne", la regione al centro della Francia coperta dalla catena montuosa vulcanica del Massiccio Centrale.

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k