L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
THE PILGRIM (Il pellegrino, USA, 1923), regia di Charlie Chaplin. Soggetto e sceneggiatura: Charlie Chaplin; fotografia: Roland Totheroh; musiche: Charlie Chaplin. Con: Charlie Chaplin (l'evaso), Edna Purviance (la ragazza), Kitty Bradbury (madre), Mack Swain (diacono), Loyal Underwood (assessore), Charles Reisner (ladro), Dinky Dean (bambino terribile), May Wells (madre del bambino), Henry Bergman (sceriffo sul treno), Tom Murray (sceriffo locale), Monta Bell (poliziotto), Raymond Lee (ragazzo in chiesa), Frank Antunez (bandito), Joe Van Meter (Bandito), Syd Chaplin (padre del bambino), Edith Bostwick (membro del congresso).
Charlot è un evaso dal carcere di Sing Sing e per mimetizzarsi ruba la talare di un Pastore mentre questi sta facendo il bagno in un fiume. Così travestito giunge a una stazione e sale sul primo treno in partenza. Combinazione vuole che suo compagno di viaggio sia un altro uomo di chiesa e che questi stia leggendo sul giornale la notizia della sua evasione dal carcere. Charlot, nel timore di essere riconosciuto, scende dal treno alla prima fermata. Qui c'è molta gente assembrata che inaspettatamente lo acclama quale nuovo pastore di quella chiesa. Chaplin allora si immedesima nella situazione e con ampi gesti benedicenti si avvia con la folla convenuta alla chiesa. Durante la cerimonia è invitato a tenere un sermone e Chaplin se la cava mimando la vicenda biblica di David e Golia. Terminata la funzione ha luogo un ricevimento in suo onore presenti tutte le autorità del paese. Inaspettatamente in quella casa fa irruzione un altro evaso che cerca di fare bottino delle ricchezze dei proprietari. Fra lui e Charlot si apre una vera e propria lotta perché l'uno non vuole perdere il bottino e l'altro la posizione raggiunta. Il delinquente però riesce a impadronirsi del malloppo e va all'osteria a gozzovigliare. Charlot lo raggiunge e gli toglie il maltolto. Purtroppo però la notizia che un evaso si è travestito da prete si diffonde e Charlot è arrestato. La figlia dello sceriffo però intercede presso il padre il quale, convinto della bontà d'animo del detenuto, anziché consegnarlo alla giustizia lo accompagna al confine perché si rifugi in Messico. Lo sceriffo trova però resistenza da parte di Charlot ed è costretto a spingerlo al di là della linea di confine con la forza.
“Si arriva così all'ultimo dei cortometraggi, The Pilgrim, che è, con giusta ragione, una delle sue opere più celebri. Chaplin vi sviluppa quel tema che sembra avere ironicamente attinto dalla più fervida tradizione americana e insieme dalla lugubre tradizione ebraica, cioè il tema del vagabondo. Il Charlot di The Pilgrim è lo stesso personaggio che era approdato al Nuovo Mondo con The Immigrant e che vi prosegue il suo "viaggio", o meglio le sue peregrinazioni, scoprendone nuovi orrori. Ma sotto al tema del viaggio se ne nasconde un altro: il trasferimento da un luogo all'altro diventa trasferimento da un luogo a nessun altro, lo sradicamento diventa espulsione dalla sola realtà legittima socialmente, quella delle convenzioni - diventa quindi necessità totale della finzione. Tutto il film è giocato sulla doppiezza dei ruoli, sulla impossibilità di essere se stessi, cioè su una perdita coatta d'identità. Per sopravvivere, e quindi per fuggire, Charlot deve travestirsi e lo fa rubando le vesti a un prete, simbolo per eccellenza della ritualità assurta a funzione sociale.
Anche questa finzione richiede tuttavia una capacità mimetica, cioè di adattamento, che Charlot del resto possiede, come dimostra quando, nel suo nuovo ruolo, gli viene richiesta una predica. È la famosa sequenza di Davide e Golia:
1. Charlot sul podio della chiesa apre la Bibbia, le getta un'occhiata e viene in avanti.
2. Didascalia: «Ora vi parlerò di Davide e Golia...».
3. Egli alza una mano sopra la sua testa e aggiunge:
4. Didascalia: «Golia era un uomo molto alto...».
5. Quindi assume una posa da energumeno e si palpeggia compiaciuto i muscoli. Poi fa segno di avere una folta barba e sfodera una spada immaginaria.
6. Torna rapidamente indietro per gettare un'altra fugace occhiata alla Bibbia, poi riavanza verso il pubblico e si china un po' per indicare l'altezza di Davide (poco più di mezzo metro da terra). Quindi riassume la posa da energumeno e agita la spada. Alternatamente assume le pose di entrambi.
7. Charlot imita Davide che raccoglie un sasso da terra, lo dispone nella fionda, la rotea e lo lancia.
8. Charlot-Golia colpito in fronte cade a terra.
9. Charlot-Davide taglia la testa del gigante e la brandisce sulla punta della spada; poi si mette con noncuranza la spada in spalla, lascia cadere indietro l'immaginaria testa di Golia e la colpisce con uno sgambetto prima che cada (un gesto che Charlot usa spesso per gettare via una cicca: «questo colpo di tacco indietro» scrive Bazin, «esprime perfettamente la volontà costante di Charlot di non essere legato al passato, di non portarsi nulla appresso»; è il gesto conclusivo e liquidatorio della noncuranza e d'una libertà continuamente conquistata).
10. Charlot, terminato il racconto, esegue alcuni inchini verso il pubblico, come un attore, e si allontana di corsa oltre il coro.
11. Tra il pubblico esterrefatto, un bambino applaude.
12. Charlot rientra per inchinarsi nuovamente e torna a sparire dietro al coro.
13. Nuovo rientro: getta baci alla congregazione, spalanca le braccia, poi si stringe le mani sopra la testa in segno di vittoria.
Il carattere più evidente della sequenza è l'abilità mimica di Chaplin (la prima didascalia è solo introduttiva, la seconda è superflua). Chaplin usa gesti imitativi d'un'azione oppure gesti incongrui che stravolgono il senso dell'azione in una direzione paradossale (il calcio alla testa di Golia).
Paradossale è del resto la congiunzione delle due figure interpretate da Charlot, che è al tempo stesso attore (10 e 12) e Davide, cioè il vincitore della storia narrata (13). Solo chi comprende questo doppio processo d'identificazione può applaudire; il bambino è il solo ad aver compreso che non ha assistito ad una predica, cioè allo svolgimento d'un rituale canonico, ma ad uno spettacolo e quindi esprime la sua soddisfazione per la vittoria del piccolo eroe sulle forze più grandi di lui.
Il secondo carattere della sequenza e di tutto il film è l'estrema linearità della rappresentazione. Chaplin isola nella scena il gesto e il personaggio; l'azione è costellata di elisioni-elusioni narrative, non solo attraverso l'eliminazione del superfluo, ma attraverso una continua opera di concentrazione. Ogni immagine reca con sé altre immagini nascoste, ma non per questo meno evidenti. Vale la pena di ricordare, dalle parole di Fink, la sequenza d'apertura di The Pilgrim:
«Inquadratura n. 1: foto di Chaplin vestito da galeotto, con avviso di una taglia per chi lo catturerà.
Significato primario: Chaplin è evaso.
Inquadratura n. 2: un signore in costume da bagno primo '900, uscendo bagnato dall'acqua, va a cercare i suoi vestiti in un boschetto e trova un'uniforme a strisce, da galeotto, che evidentemente non gli appartiene. Significato primario: a quest'uomo hanno rubato i vestiti mentre faceva il bagno.
Significati secondari o aggiunti: quell'uniforme è la stessa della fotografia; dunque Charlot gli ha rubato i vestiti.
Inquadratura n. 3: in una stazioncina Charlot vestito da prete passeggia nervosamente su e giù.
Significato primario: Charlot sta fuggendo travestito.
Significato secondario: il signore dell'inquadratura 2 era un prete».
«L'effetto comico» viene «raggiunto grazie ai sottintesi, ai nessi mentali che lo spettatore deve compiere fra un'inquadratura e l'altra» (Fink). La concentrazione è dunque significativa in sé (se non altro perché rivela la compresenza di significazioni duplici nell'azione): ciò che viene eliso dalla rappresentazione viene detto dalla concatenazione delle assenze. Invece che la semplice eliminazione del superfluo, prevale una strutturazione polivalente che si accresce su se stessa e che acquista senso solo grazie al suo concatenarsi (come in parte era già accaduto nella seconda parte di The Immigrant).
In seguito The Pilgrim si sviluppa lungo una linea narrativa semplicissima, quella della suspense (il rischio che l'impostura di Charlot venga scoperta), in cui il personaggio ha modo di mostrare sfrangiature apparentemente contraddittorie: quando l'altro evaso (quello «cattivo») tenta di volgere a proprio vantaggio la conoscenza della vera identità di Charlot ricattandolo, questi non dichiara apertamente la finzione dietro cui si nasconde, ma fa ugualmente di tutto per ostacolare il rivale. Le motivazioni sono sí la simpatia per la bella Edna, ma anche l'ingenuità di fondo del personaggio, la sua continua tensione all'integrazione, il suo desiderio di passare dall'altra parte. Ingenuità e coraggio destinati comunque ad essere frustrati dalla logica d'una realtà che gli è estranea, come rivela l'altrettanto famosa sequenza di chiusura: Charlot è catturato e condotto dallo sceriffo al confine. Qui costui, volendogli offrire l'opportunità di fuggire (dato che legalmente non può lasciarlo), gli chiede di andare a raccogliere dei fiori oltre il confine. Charlot riporta i fiori allo sceriffo, il quale gli indica dei fiori ancora più lontani. Charlot va, li raccoglie, ma quanto torna dallo sceriffo, questi se ne è andato. Allora scrolla le spalle e si incammina per il deserto. Ma ecco, improvvisamente, degli spari, oltre la frontiera. Charlot si incammina allora verso l'orizzonte con le spalle alla camera, saltellando lungo la linea di confine. Raramente la figura del vagabondo nel cinema americano ha coinciso così radicalmente con quella di straniero in ogni paese, perché ogni paese, in quanto struttura sociale, ribadisce la propria ostilità nei confronti dell'Individuo. La buona volontà di Charlot e la magnanimità dello sceriffo perdono ogni importanza di fronte alla Regola Inderogabile”.
(Giorgio Cremonini, Charlie Chaplin, Il Castoro Cinema, 11/1977)
“Un forzato evaso (Charles Chaplin) travestito da pastore evangelico, viene scambiato per un pastore vero dal sagrestano (Mack Swain) che l'accoglie in una cittadina, dov'egli corteggia una bella ragazza (Edna Purviance). Sequenze celebri: il biglietto preso a caso, alla stazione, dal nome d'un paese; il viaggio con Charlot seduto vicino a uno sceriffo (Tom Murray); l'accoglienza delle devote e il sagrestano che, cadendo, rompe una bottiglia, di whisky clandestino; la questua nel tempio, con Charlot che pesa le monete offerte; il suo sermone in pantomima su Davide e Golia; il ricevimento in una famiglia per bene, l'album delle fotografie; la visita del padre tutto elegante (Sydney Chaplin) col ragazzino insopportabile; il cappello duro trasformato in dolce; Charlot arrestato dallo sceriffo e portato sulla frontiera messicana, che non oserebbe varcare senza il pretesto offertogli di raccogliere un mazzo di fiori”.
(Georges Sadoul)
- Un’idea: Charlie Chaplin - The Pilgrim - Footage Comparison
Una poesia al giorno
Nocturno, di Felix Rubén García Sarmiento, padre della poesia del Nicaragua
Los que auscultasteis el corazón de la noche,
los que por el insomnio tenaz habéis oído
el cerrar de una puerta, el resonar de un coche
lejano, un eco vago, un ligero ruido...
En los instantes del silencio misteriosos,
cuando surgen de su prisión los olvidados,
en la hora de los muertos, en la hora del reposo,
sabréis leer estos versos de amargor impregnados...
Como en un vaso vierto en ellos mis dolores
de lejanos recuerdos y desgracias funestas,
y las tristes nostalgias de mi alma, ebria de flores,
y el duelo de mi corazón, triste de fiestas.
Y el pesar de no ser lo que yo hubiera sido,
y la pérdida del reino que estaba para mí,
el pensar que un instante pude no haber nacido,
¡y el sueño que es mi vida desde que yo nací!
Todo esto viene en medio del silencio profundo
en que la noche envuelve la terrena ilusión,
y siento como un eco del corazón del mundo
que penetra y conmueve mi propio corazón.
Voi che avete ascoltato il cuore della notte,
voi che nell'ostinata insonnia avete udito
un chiudersi di porte, rumore di vetture
lontane, un'eco vaga, un leggero fruscio...
In quegli istanti di silenzio misterioso
quando sorgon dal loro carcere gli obliati,
nell'ora dei defunti, nell'ora del riposo,
leggerete i miei versi d'amarezza impregnati.
Come in un vetro io verso in essi i miei dolori,
i remoti ricordi, le disgrazie funeste,
le meste nostalgie dell'anima inebriata,
la pena del mio cuore, triste in mezzo alle feste.
Dolore di non essere quello che avrei potuto,
perdita del reame per il quale ero nato,
pensiero che un istante decise la mia vita,
sogno ch'è l'esistenza da quando sono stato!
Tutto mi giunge in mezzo al silenzio profondo
in cui la notte avvolge la terrena illusione
e sento come un'eco del gran cuore del mondo
che penetra e commuove il mio cuore in ascolto.
- Ascoltarla in originale: www.youtube.com
Un fatto al giorno
24 maggio 1813: Il leader di indipendenza sudamericano Simón Bolívar entra a Mérida, guidando l'invasione del Venezuela ed è proclamato El Libertador ("The Liberator"), un eroe dell'indipendenza dell'America Latina.
Nei primi decenni dell'Ottocento in America Latina scoppiò la lotta delle colonie spagnole e portoghesi per l'indipendenza dalla madrepatria. Simón Bolívar, un giovane patriota venezuelano, guidò il movimento di liberazione. Acclamato come il libertador, Bolívar sognava di unire tutte le ex colonie in una grande confederazione, ma il suo progetto fallì.
Le battaglie per la libertà in America Latina. Con le guerre d'indipendenza della prima metà dell'Ottocento i paesi dell'America Latina si organizzarono in entità statali e politiche autonome, liberandosi dall'oppressione coloniale. L'indipendenza costituiva, infatti, l'atto di nascita di questi nuovi Stati. Simón Bolívar, nato a Caracas nel 1783 da una famiglia creola, fu il grande protagonista di questa impresa, iniziata nel 1808-09 mentre in Europa la Spagna era impegnata a combattere Napoleone. Nel 1811 gli insorti, guidati da Bolívar e appoggiati dalla Gran Bretagna, dichiararono una prima volta l'indipendenza del Venezuela, ma nel 1812 gli Spagnoli riconquistarono il paese con le armi e Bolívar fu costretto a fuggire.
Di fronte alla spietatezza degli Spagnoli, nel 1813 Bolívar emanò il suo proclama di “Guerra a muerte”: gli insorti lanciarono una guerra all'ultimo sangue, una lotta senza quartiere contro il nemico spagnolo per cacciarlo dalla loro patria. Nell'agosto 1813 Caracas, la capitale del Venezuela, veniva di nuovo liberata e Bolívar acclamato liberatore del paese.
Il grande sogno di Bolívar. La situazione politica rimaneva tuttavia molto incerta perché il popolo, spaventato dalle trasformazioni in atto, non appoggiava le richieste di autonomia dalla Spagna avanzate dai creoli, discendenti dei primi coloni europei stabilitisi in America e veri protagonisti della lotta d'indipendenza. Dopo sanguinose battaglie, però, il movimento indipendentista finì per prevalere e il Venezuela, la Colombia e l'Ecuador furono liberati. Nel 1825, grazie all'intervento militare di Bolívar, fu proclamata anche l'indipendenza dell'Alto Perù, e il nuovo Stato, in segno di riconoscimento verso il suo liberatore, prese il nome di Repubblica di Bolívar, cambiato poi in Bolivia.
Il progetto politico di Bolívar era quello di unire tutte le ex colonie dell'America Meridionale in una confederazione, così come era avvenuto in America Settentrionale con la nascita degli Stati Uniti: egli riteneva, infatti, che solo uniti i paesi dell'America Latina avrebbero potuto ottenere la piena indipendenza economica e politica. I suoi disegni però erano destinati al fallimento: incontrate aspre resistenze a opera delle oligarchie locali dei vari Stati, deluso e malato, nel 1830 Bolívar rinunciò a ogni carica e si ritirò a Santa Marta, in Colombia, dove morì alla fine dello stesso anno.
Bolívar in Europa. Durante la sua giovinezza Simón Bolívar visitò la Spagna, la Francia e l'Italia, e osservò le trasformazioni politiche e sociali che si andavano verificando in Europa. Gli ideali dell'Illuminismo e della Rivoluzione francese influenzarono molto la sua formazione. Riferiscono alcuni biografi che durante la sua permanenza a Roma nel 1805, Bolívar pronunciò una solenne promessa: "giuro sul mio onore e giuro sulla mia patria che non darò riposo al mio braccio, né pace alla mia anima, fino a quando non avrò spezzato le catene che ci opprimono per volontà del potere spagnolo.
Creoli, meticci, mulatti, indigeni. A partire dal Cinquecento erano stati chiamati creoli tutti coloro che nascevano in America da genitori europei, in particolare spagnoli, per distinguerli sia dagli immigrati nati in Europa sia dagli indigeni (parola che sta a indicare le popolazioni originarie di un determinato luogo). I meticci, invece, sono i nati dall'incrocio di un genitore di razza bianca con un genitore di un'altra razza: cinese, indiano d'America, afroamericano. In quest'ultimo caso si chiama mulatto il figlio di un genitore bianco e di uno nero”.
(Enciclopedia Treccani per ragazzi)
“Prima inviato nel 1810 in Europa per richiedere aiuti per la Juntas di Caracas divenne in seguito presidente della gran Colombia, e nel 1824 dittatore del Perù. Volle abolire la schiavitù e mettere in atto una confederazione di nazioni indipendenti sud americane per riunificare le tensioni frammentarie della caduta dell’impero. Il grande conflitto tra popolazioni ribelli latinoamericane e il sovrano spagnolo si estinse solo nel 1824, con la battaglia di Ayacucho, pilotata dall’esercito indipendentista del generale Antonio José de Sucre, esercito dai contingenti militari provenienti dal Perù, dalla Colombia, dal Cile e dall’Argentina. Ma questi popoli furono prima liberati dalla prorompente ascesa di Bolivar, che dalle regioni del Nord sconfisse le truppe spagnole sino all’Ecuador, per poi fermarsi in Perù, dove si asserragliavano le ultime forze conservatrici. Ad attenderlo vi era José de San Martin, generale argentino, che oltrepassò le Ande e il Cile per arrivare anch’egli in Perù dove proclamò l’indipendenza e inflisse numerose perdite tra le file realiste fedeli alla corona, senza però arrivare al loro crollo definitivo. I due liberatori unirono i loro eserciti a Guayaquil nel 1822, seppur l’uno, Bolivar, ambiva ad una confederazione di repubbliche unite ma indipendenti, e l’altro proponeva una soluzione monarchica sotto la corona di qualche principe europeo. Bolivar ne uscì vittorioso e prese in mano le redini dell’operazione che sconfisse definitivamente gli spagnoli nella sierra peruviana.”
(L’Indipendenza dell’America Latina)
- Un documentario da discutere su Bolivar: www.youtube.com
Una frase al giorno
“Teniamo presente che il nostro popolo non è né europeo né nord-americano; anziché un'emanazione dell'Europa, esso è un misto di Africa e di America, perché la Spagna stessa cessa di essere Europa per il suo sangue africano, le sue istituzioni e il suo carattere. È impossibile determinare esattamente a quale famiglia umana apparteniamo. La maggior parte degli indigeni è stata annientata, gli europei si sono mescolati con gli americani e gli africani, e questi con gli indiani e gli europei. Nati tutti dal seno di una stessa Madre, i nostri padri, diversi per origine e per sangue, sono stranieri gli uni agli altri e tutti differiscono visibilmente per il colore della pelle. Tale diversità comporta una conseguenza della massima importanza”.
(Simon Bolivar)
E se questa non fosse altra considerazione sull’Europa di domani?
Un brano al giorno
Inti Illimani, “Simon Bolivar”, dall’album Viva Chile! del 1973.
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
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