“L’amico del popolo”, 27 agosto 2018

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

NOT WANTED (Non abbandonarmi, Usa, 1949), regia di Ida Lupino e Elmer Clifton, basato sul racconto di Mr. Jarrico e Malvin Wald; prodotto da Ida Lupino e Anson Bond. Riprese: Henry Freulich. Montaggio: William Ziegler. Musica: Leith Stevens. Con: Sally Forrest (Sally Kelton), Keefe Brasselle (Drew Baxter), Leo Penn (Steve Ryan), Dorothy Adams (Aggie Kelton), Wheaton Chambers (Signor Kelton), Rita Lupino (Joan), Audrey Farr (Nancy), Carole Donne (Jane), Ruth Clifford (Elizabeth Stone), Ruthelma Stevens (Signorina James), Virginia Mullin (Signora Banning), Marie Harmon (Irene), Charles Seel (Dr. Williams), Larry Dobkin (Assistente del procuratore), Patrick White (Reverendo Culbertson).

NOT WANTED (Non abbandonarmi, Usa, 1949), regia di Ida Lupino e Elmer Clifton

Sally ha 18 anni, lavora in un caffè concerto ed è innamorata di Steve, il pianista del locale, con cui ha una relazione. Quando lui parte alla ricerca di fortuna, Sally decide di raggiungerlo. Arrivata in città, però, la attende una amara sorpresa: Steve non l'ha mai amata e, benché lei sia incinta, non ha intenzione di sposarla. Sally non sa dove andare e non conosce nessuno, tranne Drew, un ragazzo mutilato che ha conosciuto durante il viaggio e che gestisce una stazione di servizio. Drew la vorrebbe aiutare, ma Sally lascia casa sua e, una volta partorito, decide di dare il bambino in adozione. Il pensiero del suo bambino, però, non l’abbandona mai e un giorno, in preda alla follia, Sally rapisce un bambino lasciato incustodito in una carrozzina. Sarà ancora una volta Drew a salvarla...

NOT WANTED (Non abbandonarmi, Usa, 1949), regia di Ida Lupino e Elmer Clifton

"Il primo film di Ida Lupino come regista, del 1949, è una sorprendente miscela di compassione e invenzione. L'argomento è il tabù dell'epoca riguardo al sesso. Sally Kelton (Sally Forrest), una diciannovenne e ingenua cameriera di night-club, si innamora di Steve Ryan (Leo Penn, padre di Sean), un pianista dal linguaggio duro con grandi sogni, e perde la verginità con lui. Quando Steve lascia la città, Sally lo segue, invano, e rifiuta il corteggiamento di un veterano di guerra ferito, tenero e laborioso (Keefe Brasselle). Quindi scopre di essere incinta e ne derivano altri problemi. Lupino mostra un'avidità documentaria per i dettagli del lavoro (come in una sequenza selvaggiamente ironica che coinvolge una ferrovia modello). Trasmette la sete di vita di Sally con teneri e intimi primi piani e una soggettività intensa, guidata dagli effetti: una sequenza girata in un ospedale è un capolavoro di espressionismo a basso costo. Una scena di caccia incongrua ma maestosa, che mette in risalto una schiera fotogenica di luoghi di Los Angeles, proietta l'intimo melodramma sul palcoscenico mondiale. Con Dorothy Adams, come madre dell'inferno”.

(Richard Brody)

Leonard Francis "Leo" Penn, nato il 27 agosto 1921 e morto il 5 settembre 1998, è stato un attore e regista americano e padre del musicista Michael Penn e degli attori Sean Penn e Chris Penn. Penn ha sostenuto i sindacati di Hollywood e si è rifiutato di accusare altri membri del Comitato per le attività antiamericane della Camera nelle loro indagini sulle sospette infiltrazioni comuniste dell'industria cinematografica. Penn è stato successivamente inserito nella lista nera e la Paramount ha rifiutato di rinnovare il suo contratto. Di conseguenza, Penn non è stato in grado di lavorare come attore cinematografico. Trovò lavoro di recitazione in televisione, ma la CBS lo estromise dopo aver ricevuto un'anonima accusa di aver affrontato un incontro politico. Escluso dalla recitazione in film o in TV, è diventato regista”.

(Articolo completo in en.wikipedia.org)

Leonard Francis

 

Una poesia al giorno

Io non spero nulla, di Ivan Franko. (Traduzione di Paolo Galvagni in www.poesia.it)

Io non spero nulla
E nulla desidero -
Be’, se vivo e mi affanno
Non muoio!

Ebbene, se io ti guardo,
E non posso non guardarti,
Ti amo! Ma dove potrò
Riporre il cuore?

Il tuo sorriso, come il sole
Rafforza le foglie verdi,
Ma smorza il rossore fittizio -
Beffati di me!

Io non spero nulla,
Ma come frenare il desiderio?
I vivi non desiderano la vita,
Solo la morte?

Viviamo! Ognuno per la sua strada,
Andiamo dove ci conduce la sorte!
Se un giorno ci incontreremo - bene,
Se no - chi ne avrà danno?

 

Ivan Franko nasce il 27 agosto 1856 a Nahuevychi, nella regione di Drohobyc nella Galizia occidentale, oggi parte della regione di Lviv in Ucraina; era figlio di un fabbro di origine tedesca. Ivan frequenta la scuola, in un paesino vicino a Nahuevychi, dal 1862 al 1864, poi viene trasferito nel collegio di San Basilio a Drohobyc fino al 1867. Nel 1875 si diploma presso il liceo classico di Drohobyc, e poi continua i suoi studi all'università di Lviv (Leopoli), dove apprezza la filosofia classica, la lingua e la letteratura ucraina. All'università Franko comincia la sua carriera letteraria, scrivendo poesie e pubblicando la sua prima novella dal titolo Petriï i Dovbushchuky, sulla rivista degli studenti (Druh).
All'università di Lviv Franko conosce Mykhailo Drahomanov, con il quale condivide per lungo tempo interessi politici e letterari. Data la sua stretta amicizia con Drahomanov e i suoi scritti politici di carattere socialista, Franko viene arrestato nel 1877, insieme ad altri scrittori. Furono accusati di far parte di un'organizzazione socialista clandestina, che in realtà non esisteva. Gli otto mesi di reclusione non bastano per dissuadere Franko dai suoi ideali socialisti.
Uscito dal carcere esamina i lavori di Karl Marx e Friedrich Engels e collabora con il quotidiano polacco Praca.
Nel 1878 Franko pubblica una serie di libri chiamati Dribna Biblioteka; segue nel 1880 un altro arresto con l'accusa di esortare i contadini alla disobbedienza civile. Dopo tre mesi trascorsi nella prigione di Kolomyia, lo scrittore fa ritorno a Lviv in libertà vigilata. I pensieri dei suoi tre mesi in esilio vengono descritti in una novella dal titolo Na Dni. In seguito al suo secondo arresto, Franko viene cacciato dall'università di Lviv.
Solo dopo la sua morte l'università di Lviv fu rinominata Ivan Franko National University of Lviv.
Nel 1881 da un contributo importante alla rivista Swit (Il mondo), per la quale scrive più della metà degli articoli che vengono pubblicati, senza tener conto degli scritti anonimi.
Alla fine dello stesso anno, ritorna a Nahuevychi, sua città natale, dove scrive la novella Zakhar Berkut e traduce dal tedesco all'ucraino il Faust di Goethe e una poema di Heine dal titolo "Deutschland: ein Wintermärchen" . Elabora inoltre una serie di articoli su Taras Shevchenko ed esamina una collezione di Kulish Khutorna Poeziya.
Circa un anno dopo, Franko comincia a lavorare per il giornale Zorya (alba) e diviene presto un membro del gruppo editoriale del quotidiano Dilo (Azione).
Nel maggio del 1886 sposa Olha Khorunzhynska, alla quale dedica la collezione Z vershyn i nyzhyn (per le valli e le colline), un libro di poesia. Nel 1888 collabora con il giornale Pravda (da non confondere con il quotidiano sovietico Pravda), questo fu causa del suo terzo arresto nel 1889. Al termine dei due mesi di prigionia, Franko fonda il partito radicale Ruthenian-Ukrainian con Drahomanov e Pavlyc. Nonostante la sua candidatura al Parlamento Austro-Ungarico come leader del partito radicale, Franko non venne mai eletto.
Uno dei suoi tanti articoli, Sotsiializm i sotsiial-demokratyzm (socialismo e democrazia sociale), una critica pungente alla democrazia sociale ucraina e al socialismo di Marx ed Engels, fu pubblicato nel 1898 dal giornale Zhytie I Slovo, fondato da lui e sua moglie. La sua critica anti-marxista continuò in una collezione di poesie dal titolo Mii izmarahd (mio smeraldo), dove il Marxismo viene considerato una religione fondata su dogmi che fomentavano l'odio e la lotte di classe.
La sua lunga amicizia con Drahomanov comincia a vacillare in seguito ad una divergenza riguardo il socialismo e la questione nazionale. Dopo la rottura del partito radicale, nel 1899 Franko, insieme allo storico Hrushevsky, fonda il partito democratico nazionale presso il quale lavora fino al 1904, quando decide di ritirarsi definitivamente dalla vita politica.
Nel 1902 alcuni studenti e attivisti letterari di Lviv, vergognandosi del fatto che Franko si fosse ridotto a vivere in povertà, gli comprarono una casa in città. Trascorre lì gli ultimi 14 anni della sua vita; in quella stessa casa dove oggi ha sede il Museo di Ivan Franko.”

(In http://www.ucraina.it/ivan_franko.html)

27 agosto 1856 nasce Ivan Franko, autore e poeta ucraino, morto nel 1916.

 

Un fatto al giorno

27 agosto 1942: primo giorno del massacro di Sarny, l'esecuzione di un numero di persone da 14.000 a 18.000, per lo più ebrei, nella città occupata dai nazisti di Sarny, ora Rivne Oblast dell'Ucraina, il 27 e il 28 agosto 1942.

“Questo articolo dibatte l’apice dello spietato sterminio biologico dei polacchi commesso per oltre 17 mesi (dal novembre 1942 fino ad aprile 1944) dall’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (Orhanizatsiya Ukrayinskykh Natsionalistiv, OUN), e dall’Esercito Insurrezionale Ucraino (Ukrayinska Povstanska Armiya, UPA). Le informazioni presentate si basano sui calcoli statistici e sulle analisi degli eventi in Volhynia, pubblicati nel 2000 in un lavoro di due volumi Ludobójstwo dokonane przez nacjonalistów ukraińskich na ludności polskiej Wołynia 1939-1945 (Il genocidio commesso dai Nazionalisti Ucraini contro i Polacchi in Volhynia 1939-1945), che ho scritto assieme a mio padre Władysław Siemaszko. Questo lavoro è il risultato di lunghi anni di lavoro sui materiali di ricerca che ammontano approssimativamente a 2.500 documenti.
I polacchi sono stati nell’autunno del 1939 l’obiettivo di vari atti di terrore e di omicidio in Volhynia, quasi immediatamente dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Poiché i territori confinanti all’Est della Polonia furono ridimensionati dall’URSS, questi crimini non diventarono operazioni su larga scala. Questo perché il terrore dell’Unione Sovietica (seguito da un breve periodo di libertà che permise agli ucraini di attaccare la Polonia) interessò l’intera popolazione e la vita civile come tutto. Questi attacchi del 1939, indice dell’atteggiamento ostile nei confronti della Polonia e della popolazione polacca, segnarono l’inizio del piano dell’OUN ovvero costruire stato ucraino indipendente, unito ed “etnicamente uniforme”, come descritto nelle decisioni firmate a Vienna al Primo Congresso dell’OUN bel 1929, e in seguito a Roma al Secondo Grande Congresso dei Nazionalisti Ucraini nell’agosto del 1939, proprio prima dello scoppio della guerra.

(Articolo completo di Ewa Siemaszko in wayoftoday.wordpress.com)

“... I massacri dei polacchi in Volinia e Galizia orientale facevano parte di un’operazione di pulizia etnica condotta nella Polonia nazista occupata dall’esercito insurrezionale ucraino (UPA) con il Comando del Nord delle regioni di Volinia (Reichskommissariat dell’Ucraina) e il comando del Sud della Galizia orientale (governo Generale) a partire da marzo 1943 e durato fino alla fine del 1944. Il picco dei massacri hanno avuto luogo nel mese di luglio e agosto 1943. La maggior parte delle vittime erano donne e bambini. Le azioni dell’UPA hanno provocato dai 35,000 ai 60,000 morti polacchi in Volinia e dai 25,000 ai 40,000 in Galizia orientale, per un totale variabile tra i 76.000 e 106.000 vittime.
Le uccisioni sono state direttamente collegate con le politiche della fazione Bandera dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini e al suo braccio militare, gli insorti dell’Esercito ucraino, il cui obiettivo è stato specificato nella Seconda Conferenza del dell’ONU il 17-23 febbraio 1943(ONU-B), ed è stato quello d’eliminare tutti i non-ucraini dal futuro stato ucraino. I massacri sono stati eseguiti con estrema brutalità: interi villaggi sono stati dati alle fiamme, e i contadini ucraini, che abitualmente hanno partecipato alle uccisioni a fianco degli insorti, torturavano e bruciavano vivi i polacchi.
Nel 2008, i massacri commessi dai nazionalisti ucraini contro i polacchi etnici in Volinia e in Galizia sono stati descritti dall’Istituto della Memoria Nazionale della Polonia come recanti le caratteristiche distintive di un genocidio.

(Articolo completo su: bedrisga.wordpress.com)

 

Una frase al giorno

“Gli uomini bianchi sono cattivi maestri; hanno facce false e fanno cattive azioni; sorridono al povero indiano per ingannarlo; gli stringono la mano per avere la sua fiducia, per farlo ubriacare, imbrogliarlo e rovinargli la moglie. Abbiamo detto loro di lasciarci in pace restando lontani da noi, ma essi hanno continuato a intralciare i nostri sentieri ed a strisciare in mezzo a noi, come i serpenti. Il loro contatto ci ha avvelenato. Non siamo più sicuri e viviamo nel pericolo. Stiamo diventando come loro, ipocriti e mentitori, adulteri, pigri, fannulloni, dediti a parlare più che a lavorare”.

Black Hawk,

(Black Hawk, "Falco nero", Ma-ka-tai-me-she-kia-kiak, nato presso il Rock River, Illinois, 1767 - morto vicino al Forte Des Moines nel 1838)

Black Hawk fu un leader e guerriero della tribù degli indiani d'America Sauk in quello che ora è il Midwest degli Stati Uniti. Non riconobbe l'accordo concluso (1804) dai Sauks e dai Foxes con gli USA relativo alla cessione del territorio a oriente del Mississippi. Aiutato dagli Inglesi combattè insieme ad altre tribù contro gli Americani durante la guerra del 1812. Nel 1831 riuscì a costituire un'alleanza tra varie tribù e attaccò alcuni villaggi dell'Illinois. Fatto prigioniero (1832), dettò le sue memorie. Trascorse gli ultimi anni della sua vita nell'Iowa sotto sorveglianza”.

(Treccani)

Immagini: Black Hawk I am a Sauk

Famiglia Sac fotografata da Frank Rinehart nel 1899

 

Un brano musicale al giorno

Cesaria Evora, Sodade

Cesária Évora, GCIH (27 agosto 1941 - 17 dicembre 2011) è stata una vocalist e un’artista capoverdiana. Soprannominata la "Diva a piedi nudi" per esibirsi senza scarpe, era anche conosciuta come la "Regina di Morna".

Cesária Évora, GCIH (27 agosto 1941 - 17 dicembre 2011)

Sodade

Quem mostra' bo esse caminho longe?
Quem mostra' bo esse caminho longe?
Esse caminho pra São Tomé
Quem mostra' bo esse caminho longe?
Quem mostra' bo esse caminho longe?
Esse caminho pra São Tomé
Sodade sodade
Sodade dessa minha terra, São Nicolau
Sodade sodade
Sodade dessa minha terra, São Nicolau
Si bô 'screvê' me 'm ta 'screvê be
Si bô 'squecê me 'm ta 'squecê be
Até dia qui bô voltà
Si bô 'screvê' me 'm ta 'screvê be
Si bô 'squecê me 'm ta 'squecê be
Até dia qui bô voltà, sodade
Sodade sodade
Sodade dessa minha terra, São Nicolau
Sodade sodade
Sodade dessa minha terra, São Nicolau
Quem mostra' bo esse caminho longe?
Quem mostra' bo esse caminho longe?
Esse caminho pra São Tomé
Quem mostra' bo esse caminho longe?
Quem mostra' bo esse caminho longe?
Esse caminho...
Sodade sodade
Sodade dessa minha terra, São Nicolau
Sodade sodade
Sodade dessa minha terra, São Nicolau
Si bô 'screvê' me 'm ta 'screvê be
Si bô 'squecê me 'm ta 'squecê be
Até dia qui bô voltà
Si bô 'screvê' me 'm ta 'screvê be
Si bô 'squecê me 'm ta 'squecê be
Até dia qui bô voltà, sodade
Sodade sodade
Sodade dessa minha terra, São Nicolau
Sodade sodade
Sodade dessa minha terra, São Nicolau
Sodade sodade...

 

Un fatto sportivo al giorno

27 agosto 1981 muore Valeri Kharlamov, giocatore di hockey su ghiaccio russo (nato nel 1948).

27 agosto 1981 muore Valeri Kharlamov, giocatore di hockey su ghiaccio russo (nato nel 1948)

“Valerij Charlamov iniziò la propria carriera hockeistica a 14 anni, quando fu inserito nelle formazioni giovanili del HC CSKA Mosca; dopo aver sviluppato il suo talento e le sue incredibili doti, nel 1968 fu invitato nella squadra maggiore, in cui si mise in luce fin dal debutto: nella sua prima stagione completa con la maglia dell'Armata Rossa (1968-69), realizzò 37 reti in 42 partite, meritandosi la convocazione per la nazionale sovietica. Fin dalle prime apparizioni Charlamov incantò gli appassionati con le sue abilità tecniche: sebbene fosse alto appena 1,75 m, Valera (questo il suo soprannome) era dotato di una notevole velocità e di un ottimo controllo del disco, che gli permettevano di liberarsi dei suoi avversari con facilità; i suoi 1 contro 1 mettevano in crisi anche i difensori più esperti. Assieme a Boris Mikhailov (ala destra) e a Vladimir Petrov (centro), Charlamov formò una leggendaria linea offensiva che dominò gli anni '70.
La fama di Charlamov raggiunse anche il Nord America, quando nella prima partita delle Summit Series del 1972, realizzò due reti meravigliose che lasciarono tutti i giocatori, tecnici, osservatori ed appassionati canadesi senza parole: il coach Harry Sinden affermò di non aver mai visto in tutta la sua vita qualcuno in grado di liberarsi di due difensori NHL come aveva fatto Charlamov in gara 1. In tutte le partite giocate tra le squadre sovietiche e quelle canadesi, Charlamov fu il bersaglio di colpi sporchi, molto spesso volontari, ma d'altronde la tattica era molto semplice: "se Charlamov è fuori, non può creare problemi". Valerij accusò spesso i canadesi di applicare una tecnica scorretta, utilizzando i bastoni come fossero delle spade da brandire contro i nemici. Nel corso delle Summit Series il canadese Clarke gli spezzò volontariamente la caviglia. Charlamov, in ogni caso, era un giocatore duro ed energico e nella serie del 1972 totalizzò 16 minuti di penalità, il peggiore tra i sovietici.
Nel 1976 Charlamov iniziò il proprio declino, quando fu vittima di un incidente stradale in cui subì delle gravi fratture alle gambe e alle braccia; Charlamov riuscì comunque a rientrare sul ghiaccio ad altissimi livelli, ciononostante fu evidente che il campione aveva perso gran parte della propria velocità. Kharlamov continuò la propria carriera anche con la maglia della nazionale, tuttavia nell'agosto 1981, il tecnico Viktor Tichonov lo escluse dalla squadra che avrebbe partecipato alla seconda edizione della Canada Cup; la notizia fu davvero scioccante per Charlamov, che entrò in uno stato di depressione, cercando conforto nell'alcol. Il 27 agosto 1981 il mondo dell'hockey fu sconvolto da una tragica notizia: Valerij Charlamov, a soli 33 anni, era rimasto vittima di un terribile incidente stradale, in cui anche sua moglie aveva perso la vita; ci furono molte ipotesi sulla sciagura, tuttavia fu confermato che Charlamov non si trovava alla guida dell'automobile.
Per onorare lo sfortunato campione, furono preparate numerose celebrazioni: il CSKA e la nazionale sovietica ritirarono il #17, mentre il quotidiano russo TRUD dedicò alla memoria di Charlamov il premio destinato al miglior giocatore del campionato nazionale; inoltre sul luogo esatto dell'incidente, avvenuto sulla tratta Mosca-San Pietroburgo, un anonimo tifoso eresse un monumento per ricordare il leggendario fuoriclasse. Qualche anno più tardi, al figlio Aleksandr fu concesso l'onore di giocare con il numero di maglia del padre”.
(Wikipedia)

Immagini:

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k