“L’amico del popolo”, 29 marzo 2020

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno IV. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

T'AMERÒ SEMPRE (Italia, 1943), scritto e diretto da Mario Camerini. Sceneggiatura Sergio Amidei, Mario Camerini, Giulio Morelli, Giorgio Pàstina. Produttore Gian Paolo Bigazzi . Casa di produzione Cines. Fotografia Arturo Gallea. Montaggio. Fernando Tropea . Musiche Ezio Carabella. Cast: Alida Valli, Adriana Rosé. Gino Cervi, Mario Fabbrini. Antonio Centa, Diego. Jules Berry, Oscar. Maria Teresa Le Beu, Sonia, compagna di Diego. Tina Lattanzi, la signora Clerici, zia di Diego. Renato Cialente, l'avvocato Pini. Giuseppe Porelli, Alessandri, l'inquilino curioso. Loris Gizzi, Meregalli. Giulietta Pallavicini, Adriana da bambina. Egisto Olivieri, tutore di Adriana. Pina Piovani, Emma, una degente. Gilda Marchiò, madre di Emma. Adriana Serra, Clelia, sorella di Mario. Vittorio Duse, il fidanzato di Clelia. Ernesto Calindri, Lucio, amico di Diego. Amelia Bissi, portinaia. Lydia Johnson, cliente della profumeria. Giuseppe Porelli, Alessandro. Checco Rissone, giovane mantenuto.

Alida valli in  

“È il remake di un film dallo stesso titolo diretto dieci anni prima dallo stesso Camerini, in cui Alida Valli sostituisce Elsa De Giorgi nel ruolo principale, mentre Gino Cervi ed Antonio Centa interpretano i ruoli che nella precedente pellicola furono di Nino Besozzi e Mino Doro. La trama è la stessa del film precedente, con pochissime modifiche: avuta una bambina dal conte Diego e quindi da lui abbandonata, Adriana Rosé trova un impiego come commessa presso una profumeria, riuscendo così a condurre una vita dignitosa assieme alla figlia. Mario Fabbrini, il ragioniere del negozio, si innamora di lei, che lo respinge vergognandosi della propria condizione. Un giorno Diego ritorna da Adriana, le dice che si sta per sposare e le propone di ridiventare la sua amante. Mario, udito casualmente il colloquio tra i due, si scaglia contro Diego gettandolo a terra; immediatamente dopo sia lui che Adriana vengono licenziati e sulla strada del ritorno Adriana accetta la proposta di matrimonio di Mario.”

(In wikipedia.org)

“Remake del film omonimo realizzato da Camerini nel 1933, con Elsa De Giorgi e Nino Besozzi al posto di Alida Valli e Gino Cervi. Alle prese con un soggetto tipico della letteratura popolare, Camerini ne trae un film sobrio e composto”.

(in www.filmtv.it)

 

“Interessantissimo autoremake quasi shot for shot - al netto di qualche integrazione narrativa - di Camerini, che risolve la scarsa verve dei protagonisti originali, qui ottimamente sostituiti dalla deliziosa Valli e dal fido Cervi, e approfondisce la denuncia clientelista e il disagio classista. Purtroppo si affida grossomodo ai dialoghi del film di 10 anni prima - e qualche aggiustamento non avrebbe guastato. Rimane però l'enorme fascino di un'operazione insolita, che prenderà quota a fine secolo con Van Sant e Haneke.”

(In letterboxd.coml)

 

“Prendendo le mosse dal suo omonimo film del 1933, Mario Camerini cambia semplicemente il volto dei due attori protagonisti, lì interpretati da Elsa De Giorgi e Nino Besozzi e qui da Alida Valli e Gino Cervi. Il risultato è decisamente insipido e incolore: non si capiscono le ragioni che abbiano spinto il regista e la produzione a investire in un prodotto simile. Se i meriti del lavoro, soprattutto legati alle diverse psicologie dei personaggi connotati con tratti semplici ma distintivi (il ricco prepotente da un lato, la giovane e genuina coppia di innamorati dall'altro), sono da attribuire al film d'origine, pochissime novità sono state apportate nel remake, che finisce ben presto per perdere di interesse e di significato. Meglio recuperare l'originale.”

(www.longtake.it)

Il film:

 

Adriana Serra (Milano, 29 marzo 1921 - Endine Gaiano, 13 novembre 1995)Un’attrice: “Adriana Serra (Milano, 29 marzo 1921 - Endine Gaiano, 13 novembre 1995) è stata un'attrice cinematografica, conduttrice televisiva e annunciatrice televisiva italiana, nota per essere stata la terza vincitrice di Miss Italia nel 1941, anche se un tempo il concorso si chiamava "5000 lire per un sorriso". Nata da genitori di origine sarda e siciliana, frequenta nel capoluogo lombardo i corsi di recitazione della locale Accademia di Arte Drammatica, scritturata successivamente dalla Compagnia di Luigi Cimara, come giovane attrice brillante, passa poi a recitare con Emma Gramatica e Dina Galli. nel 1941, debutta nel cinema diretta da Ferruccio Cerio nel film La prigione, poi film con Mario Camerini e Carlo Campogalliani. Nel dopoguerra la troviamo in diversi spettacoli di varietà, scritti da Garinei e Giovannini, Nelli e Mario Mangini per approdare nella Compagnia di Totò, con il quale girerà anche diversi film tra cui Fifa e arena (1948), I pompieri di Viggiù (1949) e Tototarzan (1950). Nel 1954 abbandona la carriera cinematografica e trasferisce la sua popolarità nel nuovo medium, la televisione, passa a lavorare nei primi spettacoli della nascente televisione italiana con Mike Bongiorno, nel programma Fortunatissimo. Entra nel gruppo delle pioniere delle signorine buonasera, lavorando nella sede di Milano: in quel decennio la fama delle annunciatrici-attrici (quali Adriana Serra ed Emma Danieli) probabilmente superò quella delle professioniste della TV (come Fulvia Colombo e Nicoletta Orsomando). Ha presentato, con Enzo Tortora, il Festival di Sanremo 1959.”

 

Una poesia al giorno

Quando la guerra finirà, di Iakovos Kambanellis (Otan telio'si o pòlemos. Traduz. L. Settimelli)

Ragazza che negli occhi hai lo sgomento

regazza che hai le mani congelate

quel giorno che la guerra sarà già finita

quel giorno che la guerra sarà già finita

allora io verrò a cercarti

di baci poi ci colpiremo

e il sole ci riscalderà

Ragazza che negli occhi hai lo sgomento

regazza che hai le mani congelate

quel giorno che la guerra sarà già finita

quel giorno che la guerra sarà già finita

l'amore io e te faremo

nel crematorio nella cava

o dentro la camera a gas

Ragazza che negli occhi hai lo sgomento

regazza che hai le mani congelate

quel giorno che la guerra sarà già finita

quel giorno che la guerra sarà già finita

noi ci ameremo fino a quando

sconfiggeremo anche la morte

e la sua ombra sparirà

 

Jacobus Kambanellis (2 dicembre 1921 - 29 marzo, 2011)

Jacobus Kambanellis (2 dicembre 1921 - 29 marzo, 2011), drammaturgo e regista greco, fu deportato a Mauthausen e compose al ritorno questi quattro poemetti. Col primo, egli inseriva la composizione biblica (Il Cantico dei cantici, appunto) nell'orrore dei lager, col secondo e il terzo raccontava due esperienze da lui vissute, col quarto narrava il suo sogno di deportato quando - la domenica - donne e uomini prigionieri si guardavano attraverso il filo spinato.

(In www.cantilotta.org)

“Atene, 31 mar. (Adnkronos) - Lo scrittore e poeta Iakovos Kambanellis, padre della drammaturgia greca moderna, è morto in un ospedale di Atene all'età di 89 anni. Della sua vasta e apprezzata produzione si ricordano ''Il settimo giorno della creazione'' (1956), ''La corte dei miracoli'' (1957), considerato il suo capolavoro drammaturgico, e ''L'età della notte'' (1959). Ha scritto anche numerose sceneggiature per film e una decina di libri di poesie. E' famoso a livello internazionale per ''Trilogia di Mauthausen'', musicata da Mikis Theodorakis. E' un romanzo tragico e in parte autobiografico nel quale l'autore narra l'esperienza vissuta nel campo di concentramento nazista all'età di 20 anni.
Il 1957 è un punto di svolta fondamentale nella storia del moderno teatro greco, l'anno in cui Kambanellis presenta il suo dramma ''Il cortile dei miracoli'' al Theatro Technis di Karolos Koun, mettendo in scena uno spaccato della periferia ateniese, sempre in bilico tra dramma e malinconica ironia. Subito dopo di lui un nuovo gruppo di drammaturghi pieni di talento emerse a portare nuove idee nel mondo del teatro greco, coniugando innovazione e accurati ritratti della vita quotidiana. Kambanellis ha rivoluzionato il teatro del suo paese negli anni Cinquanta con una serie di opere che raccontavano spezzoni di vita popolare, mettendo in scena temi politici e sociali spesso scottanti.
La sua fama è legata a livello mondiale per le ''Ballate di Mathausen'', raccolte nella ''Trilogia''.Kambanellis inserisce la composizione biblica (''Il Cantico dei cantici'') nell'orrore dei lager, raccontando esperienze da lui vissute e infine narrando il suo sogno di deportato quando - la domenica - donne e uomini prigioneri si guardavano attraverso il filo spinato. (Sin-Pam/Ct/Adnkronos)”.

(Archivi. AdnAgenzia. 2011.03.31 - In www.adnkronos.com)

Jacobus Kambanellis (2 dicembre 1921 - 29 marzo, 2011)

 

Un fatto al giorno

29 marzo 1516: La Serenissima Repubblica di Venezia delibera l'istituzione del ghetto, primo in Europa, dove gli ebrei veneziani erano costretti a risiedere.

“29 marzo 1516: quando Venezia inventò il "Ghetto" degli ebrei In questa data Serenissima Repubblica di Venezia delibera l'istituzione del ghetto, primo in Europa, dove gli ebrei veneziani erano costretti a risiedere. C'è stato un momento storico preciso in cui l'antisemitismo è entrato anche nell'urbanizzazione delle città. Il Ghetto era il quartiere di Venezia dove gli ebrei erano obbligati a risiedere durante il periodo della Repubblica Veneta. Si trova nel sestiere di Cannaregio ed è tutt'oggi il fulcro della comunità ebraica di Venezia, sede di sinagoghe e di altre istituzioni religiose. In epoca medievale, il Ghetto era la zona della città dove si concentravano le pubbliche fonderie e solo a partire dal 1516 fu destinato alla residenza coatta degli israeliti. Da qui è derivato poi il nome comune ghetto per indicare un quartiere ebraico e, in senso ancora più ampio, un rione in cui si concentrano le minoranze socialmente escluse di una comunità.”

(In www.globalist.it)

Il Ghetto a Venezia 

“A Venezia, grande centro di scambi fra l’oriente e l’occidente, gli ebrei giunsero, secondo la tradizione, verso gli inizi del secolo XI. A poco a poco, nonostante l’alternarsi di permessi e divieti di soggiorno in città, gli ebrei divennero a Venezia un nucleo considerevole. Avvertendo la necessità di organizzare la presenza ebraica in Venezia, il governo della Repubblica, con decreto del 29 marzo 1516, stabilì che questi dovessero abitare tutti in una sola zona della città, nell’area dove anticamente erano situate le fonderie, “geti” in veneziano; inoltre stabilì che dovessero portare un segno di identificazione e li obbligò a gestire banchi di pegno a tassi stabiliti dalla Serenissima, nonché a sottostare a molte altre gravose regole, per avere in cambio libertà di culto e protezione in caso di guerra. I primi ebrei a uniformarsi al decreto provenivano dall’Europa Centrorientale; il Ghetto veniva chiuso durante la notte, mentre custodi cristiani percorrevano in barca i canali circostanti per impedire eventuali sortite notturne: nacque così il primo vero ghetto d’Europa.

Le sinagoghe, o “Scole”, del ghetto veneziano vennero fatte costruire, tra la prima metà del 1500 e la metà del 1600 dai vari gruppi etnici: sorsero così le Scole ashkenazite Tedesca e Canton, la Scola Italiana, le Scole sefardite Levantina e Spagnola. Rimaste intatte nel tempo, malgrado alcuni interventi posteriori, queste sinagoghe testimoniano il valore del ghetto di Venezia, le cui altissime case, divise in piani più bassi della norma, dimostrano quanto fosse aumentata attraverso gli anni la densità della popolazione. Nel 1797, dopo la caduta della Serenissima, Napoleone decretò la fine della segregazione e l’equiparazione degli ebrei agli altri cittadini; tale disposizione divenne definitiva con l’annessione di Venezia al Regno d’Italia. Il 1938, anno di promulgazione delle leggi razziali fasciste, vide gli ebrei privati dei diritti civili e l’inizio delle persecuzioni nazi-fasciste che a Venezia portò alla deportazione di 246 ebrei veneziani: di questi solo 8 fecero ritorno dai campi di sterminio. Quello che fu uno dei primi quartieri ebraici d’Europa, il primo nominato ghetto, è oggi un vivo e frequentato rione della città dove permangono tuttora le istituzioni religiose e amministrative ebraiche e cinque sinagoghe alcune delle quali visitabili grazie ai tour guidati del Museo.”

(In www.museoebraico.it)

Il Ghetto a Venezia

 

“Il termine ghetto deriva dall'omonimo campo di Venezia del XIV secolo. Prima che venisse designato come parte della città riservata agli ebrei era una fonderia di rame: il nome del quartiere deriva dal veneziano geto, pronunciato ghèto dai locali ebrei Aschenaziti di origine tedesca, inteso come getto, cioè la gettata (colata) di metallo fuso. Il 29 marzo del 1516 il governo della Serenissima stabilì che il Ghetto Novo sarebbe diventato la sede del "serragli degli ebrei" ovvero della comunità ebraica comprendente all'epoca ebrei di origine tedesca, francese e italiana. Nel 1591 il quartiere ebraico venne ampliato con l'aggiunta del Ghetto Vecchio (la zona della vecchia fonderia) per accogliere gli ebrei di origine levantina (turchi e greci) prima e spagnola e portoghese poi. Nel 1633 infine venne aggiunto il Ghetto Novissimo per cercare di ovviare alla mancanza di spazi dovuta alla sovrapopolazione del quartiere ebraico. Il Ghetto di Venezia era aperto di giorno e chiuso dal tramonto all'alba e come tale è esistito dal 1516 al luglio del 1797 quando venne aperto alla caduta della Serenissima. Oggi il ghetto è una zona residenziale di Venezia e le sinagoghe e gli spazi che raccontano la storia della Comunità ebraica veneziana sono visitabili grazie al Museo ebraico.

Dall'esempio del Ghetto di Venezia il nome venne trasferito ai vari quartieri ebraici. In Castiglia erano chiamati Judería e nei paesi catalani call[senza fonte]. A differenza della vicina Mantova, dove più di 2.000 ebrei venivano rinchiusi la sera nel ghetto, Vespasiano I Gonzaga a Sabbioneta dette rifugio alla popolazione di religione ebraica, non ghettizzandola. Nel Medioevo non c'era obbligo, per gli Ebrei, di risiedere nel ghetto. Preferibilmente vivevano in quartieri chiamati Giudecca. La differenza tra Giudecca e Ghetto era che la prima era una residenza preferenziale, legata a motivi di sicurezza e salvaguardia culturale, il secondo invece un domicilio coatto.

In vari luoghi, inoltre, come ad esempio a Forlì, potevano possedere terreni e fabbricati. Col Cinquecento, la possibilità si restrinse ai soli fabbricati. Solo successivamente, dunque, ghetto andò a indicare un quartiere povero.

Nel 1555 Papa Paolo IV creò infatti il Ghetto di Roma ed emise la bolla "Cum nimis absurdum", che forzava gli ebrei a vivere in un'area specifica e prevedeva una serie di restrizioni particolari, che sarebbero poi state in vigore per secoli.

Papa Pio V raccomandò che tutti gli stati confinanti istituissero dei ghetti e, nel corso del XVI e XVIII secolo, tutte le città principali ne avevano uno (con le uniche eccezioni, in Italia, di Livorno, Pisa e Parma). :..

(Articolo completo in wikipedia.org)

 

Una frase al giorno

“Tutto ciò che un pacifista può intraprendere (ma è un affare molto grande) è rifiutarsi di uccidere, ferire o altrimenti causare sofferenza a un’altra creatura umana, e instancabilmente ordinare la propria vita secondo la regola dell’amore, sebbene altri possano essere catturati dall’odio.”

(Vera Brittain, 29 dicembre 1893 - 29 marzo 1970)

“Questa affermazione tratta da Perché sono pacifista è una dichiarazione di intenti che ben sintetizza l’essenza del pensiero di Vera Brittain, leader del pacifismo europeo del Novecento.

Vera Brittain (29 dicembre 1893 - 29 marzo 1970)

 

Vera Mary Brittain nasce a Newcastle-under-Lyme il 29 Dicembre 1893. È l’unica figlia femmina di una famiglia che possiede delle industrie cartiere ad Hanley e a Cheddleton, e che si trasferirà prima a Macclesfield e più tardi (Vera ha undici anni) a Buxton, nello Derbyshire.
Sin da ragazza si dimostra fortemente portata per lo studio, la ricerca e le attività sociali. Dopo aver frequentato il collegio di Santa Monica a Kingswood nel Surrey, a tredici anni inizia a studiare al Somerville College di Oxford. Qui Vera incontra Ronald Leighton, amico del fratello Edward, che diventerà il suo fidanzato.

Vera Brittain (29 dicembre 1893 - 29 marzo 1970)Scoppia la Prima Guerra Mondiale: Vera, nell’estate del 1915, lascia gli studi per arruolarsi come infermiera nella V.A.D. (Voluntary Aid Detachment), dove si trova ad affrontare situazioni di emergenza estrema, con turni di lavoro pesantissimi, affrontati con dedizione e alto senso del dovere civico. Parallelamente comincia ad appassionarsi alla tematica del voto femminile e al movimento delle suffragiste, di grande attualità per molte giovani della borghesia progressista del tempo.
Vera in questa guerra vive il doppio dramma del coinvolgimento di suo fratello Edward, il quale aveva ottenuto dal padre il sofferto permesso di arruolarsi proprio per l’insistenza patriottica di Vera e del suo fidanzato Ronald. Edward si arruola quindi come volontario al Reggimento Sherwood Foresters, mentre Ronald si arruola, sempre come volontario, al Reggimento Worcestershire. Poco dopo il suo fidanzamento ufficiale nel 1915, Ronald viene ucciso durante un pattugliamento notturno nel settore di Lovencourt, in Francia. Vera scriverà in merito: Ma sebbene il tempo gentile possa rinnovare molte gioie, c‘è una gioia più grande che non conoscerò di nuovo, perché il mio cuore per la tua perdita è stato rotto, molto tempo fa.

Un filo della sua esistenza si è spezzato. Vera continua a servire la Croce Rossa. Purtroppo nel 1918 anche il fratello Edward, inviato con un contingente sull’Altopiano di Asiago, perde la vita nelle trincee del saliente di San Sisto e molti altri suoi amici periscono in analoghe circostanze. È in questa fase della sua vita che Vera matura l’idea di affidare alla parola scritta i suoi ricordi e il suo pensiero. Inizia con la pubblicazione di alcuni suoi diari personali, interessanti per conoscere la testimonianza diretta di quel travagliato periodo storico, nonché del suo mondo affettivo. In proposito scrive:
Edward era sempre un buon ascoltatore, dal momento che la sua stessa forma di espressione di sé consisteva nel produrre suoni poco significativi e per me piuttosto insignificanti sul suo piccolo violino. Lo ricordo, a sette anni, come un ragazzino piuttosto solenne dagli occhi castani, con bellissime sopracciglia arcuate che ultimamente, con mia infinita soddisfazione, hanno cominciato a riprodursi, un paio di delicati punti interrogativi, al di sopra degli occhi di mio figlio di cinque anni. Anche nell’infanzia raramente litigavamo, e quando entrammo entrambi in collegio, lui era già diventato il più caro compagno di quei brevi anni di adolescenza non permessa alla nostra generazione condannata.

Distrutta dalla perdita del fidanzato, del fratello e degli amici Vera comprende il vero significato della guerra. Si unisce al movimento LNU (League of Nation Union) organizzazione sorta in Gran Bretagna per promuovere la pace. Nel 1925 sposa il filosofo e politologo George Catlin con il quale avrà due figli.

Scrive una serie di romanzi tra cui The dark side (1923), Testament of Youth (1933), Testament of Friendship e Testament of Experience (1957). Tutti i suoi scritti si muovono su esperienze e persone reali, e in proposito l’autrice si domanda: “potrei scrivere un romanzo autobiografico, mi chiedo? Si può fare un libro dall’essenza di se stessi? Forse sì, se uno è stato lasciato spogliato di tutto ciò che valeva la pena di avere, e nient’altro è stato lasciato”. Sente forte la responsabilità dei sopravvissuti di ricordare e raccontare per imparare dalla storia e non ripetere gli stessi errori. "La cosa migliore che noi sopravvissuti potevamo fare era non dimenticare, e trasmettere ai nostri successori ciò che avevamo vissuto, nella speranza che, quando fosse arrivato il loro giorno, avrebbero avuto più potere di cambiare lo stato del mondo rispetto alla nostra generazione ormai fallita e distrutta".

Testament of Youth viene considerato uno dei suoi più grandi capolavori: in esso svela il dramma della Prima Guerra dalla prospettiva di quei tanti giovani che l’hanno vissuta. Descrive efficacemente quella generazione perduta alla quale la guerra ha sottratto vita e sogni.
Per tutto il resto della vita il suo impegno prioritario è stato la diffusione della cultura della pace attraverso gli scritti e interventi diretti in convegni e pubblici dibattiti. Proprio per recarsi ad una di queste conferenze cade per strada, riportando fratture che compromettono la sua salute e la conducono, nell’arco di pochi anni, alla morte. Si spegne il 29 marzo 1970 all’età di 76 anni, a Wimbledon.

Vera Brittain (29 dicembre 1893 - 29 marzo 1970)

La sua ultima volontà fu che le sue ceneri fossero disperse sulla tomba di suo fratello Edward sull’Altopiano di Asiago in Italia, a testimonianza di un legame così profondo: “Per quasi cinquant’anni buona parte del mio cuore è stato nel cimitero di quel piccolo villaggio italiano”.

Un monito valido per la società di oggi è ancora una volta contenuto nelle sue parole: Se solo la grandiosità che noi abbiamo volto alla distruzione potesse spingere… verso la creazione, se il coraggio che abbiamo dedicato alla guerra potesse essere impiegato per cercare la pace, allora davvero il futuro potrebbe vedere la redenzione dell’uomo invece della sua ulteriore discesa nel caos. (Tratto da Testament of Youth)”

(In www.enciclopediadelledonne.it)

 

Un brano musicale al giorno

Nicolaus Bruhns - „Großes“ Praeludium in Mi minore

Dr. Cristiano (Kris) Rizzotto, organo. Concerto registrato dal vivo C. B. Fisk Organ, Opus 111, in Gothic Hall University of Oklahoma (USA).

Dieterich Buxtehude

 

Nicolaus Bruhns (Schwabstedt, 1665 - Husum, 29 marzo 1697) compositore, organista, violinista e gambista tedesco. Nato nel 1665, Nicolaus Bruhns faceva parte di una famiglia di musicisti originaria dello Schleswig-Holstein. Apprese i primi rudimenti di musica dal padre, che, all'età di sedici anni, lo mandò a fare apprendistato a Lubecca presso uno zio musicista. Qui il giovane imparò a suonare il violino e la viola da gamba. Studiò inoltre organo e composizione con Dietrich Buxtehude, che lo considerava il suo allievo prediletto.

Nicolaus Bruhns (Schwabstedt, 1665 - Husum, 29 marzo 1697) compositore, organista, violinista e gambista tedesco

Per alcuni anni Bruhns lavorò come compositore e violinista a Copenaghen. All'inizio del 1689 le autorità di Kiel cercarono di convincerlo ad accettare il posto di organista lasciato vacante da Claus Dengel, ma Bruhns rifiutò l'offerta. Il 29 marzo dello stesso anno partecipò al concorso per l'assegnazione della carica di organista della Stadtkirche di Husum, ottenendo il posto all'unanimità. Morì prematuramente a 31 anni, e, poiché suo figlio Johann Paul aveva scelto la carriera ecclesiastica, nel ruolo di organista gli succedette il fratello Georg. Di Nicolaus Bruhns sono sopravvissute dodici cantate, quattro preludi e fughe per organo (sol maggiore, sol minore e due in mi minore, conosciuti come "grande" e "piccolo") e una fantasia per organo sul corale Nun komm der Heiden Heiland.

Carl Philipp Emanuel Bach, figlio di Johann Sebastian, citò Bruhns a Johann Nikolaus Forkel, descrivendolo come uno dei compositori maggiormente amati da suo padre.”

(wikipedia.org)

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k