“L’amico del popolo”, 30 ottobre 2017

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

COME TO THE STABLE (Le due suore, USA, 1949), regia di Henry Koster. Sceneggiatura: Sally Benson, Oscar Millard. Fotografia: Joseph Lashelle. Montaggio: William H. Reynolds. Musica: Cyril J. Mockridge. Con: Loretta Young, Celeste Holm, Hugh Marlowe, Elsa Lanchester, Thomas Gomez, Dorothy Patrick, Basil Ruysdael, Dooley Wilson, Regis Toomey, Mike Mazurki.

Per assolvere a un voto, suor Margaret e suor Scholastica decidono di recarsi a Jerusalem, un piccolo paesino del New England per aprirvi un orfanotrofio. Poiché non hanno fondi, le due suore si trovano da subito in grossa difficoltà, ma non smettono di sperare e aspettare l'aiuto della Provvidenza. Luigi Rossi, un ricco proprietario terriero, per onorare la memoria di suo figlio, morto in Francia durante la guerra, dona alle due religiose un lotto di terra. Suor Margaret chiama altre consorelle dalla Francia e per alloggiarle, compra una vecchia casa abbandonata. Il venditore, in realtà, è un imbroglione e ha venduto a suor Margaret un edificio gravato da ipoteche e se le suore non verseranno una cifra enorme entro un certo tempo perderanno la casa. Suor Margaret con le sue consorelle comincia a darsi da fare organizzando mercatini e fiere per raccogliere in poco tempo una discreta somma di denaro. Per saldare il debito, però, mancano 500 dollari che sembra impossibile trovare. Il vescovo ordina a suor Margaret di rinunciare ma, mentre le suore stanno facendo le valigie, arriva un soccorso insperato: un musicista, che ha tratto ispirazione dai loro canti e le aiuterà.

Le due suore qualche decennio fa era considerato un bel classico di Natale. Come tanti altri vecchi film di impronta cattolica (attualmente “famosi” solo sulla carta) riscosse un notevole successo di pubblico e di critica (ben sette nomination agli Oscar - nominato miglior film ai Golden Globe) è finito inesorabilmente nel dimenticatoio e, ignorato dalla distribuzione, è diventato praticamente irreperibile. Non che questa scelta sia del tutto incomprensibile, il film è decisamente datato nel modo di intrattenere lo spettatore: tutto ha il sapore incantato di una favola, l’umorismo è piacevole ma fin troppo garbato, le avversità delle vita sono edulcorate... Si tratta insomma dei meccanismi propri di queste tragicommedie e dunque, come da copione, non poteva mancare neppure una parentesi musicale al pianoforte!
Siamo nell’innevata Bethlehem, vicino a New York, due suore giunte dalla Francia, Suor Scolastica e Suor Margherita, stanno camminando nella neve. Sostano presso la casa di una pittrice di immagini sacre nella quale si sta rappresentando una natività vivente, in modo che la donna la possa ritrarre. Le due, accolte dalla donna, confidano di avere una missione precisa: in adempimento di un voto fatto a Dio (che salvò i bambini del loro ospedale in Normandia dai bombardamenti tedeschi), le due sono fermamente intenzionate a costruire un nuovo ospedale in America. Si recano ovviamente dal vescovo il quale, pur apprezzando lo zelo e il candore di fede delle due sostiene di non poterle aiutare economicamente in quella che, effettivamente, appare come una follia. Suor Margherita e Suor Scolastica non si perdono d’animo e armate di fede e determinazione intraprendono un cammino irto di difficoltà verso la realizzazione del loro piano, coinvolgendo, di volta in volta, vari personaggi che gravitano intorno alla cittadina. Ce la faranno? Chissà... tenete conto che siamo pur sempre in un film natalizio e che, insomma, potremmo definirlo niente di più che una bella favoletta romantica... Ma è proprio così? Leggo su “Life” dell’8 agosto 1949 (p. 49) che la scrittrice del film, Clare Boothe Luce, fu stimolata a concepire questo soggetto dopo essere stata colpita delle vicende del Regina Laudis Priory a.... Bethelhem! La Reverenda Madre Benedict Duss giunse nella cittadina di Bethelhem dalla Francia del secondo dopoguerra su invito di una nota pittrice di soggetti religiosi, Miss Lauren Ford. Suor Benedict era accompagnata da Suor Mary Aline Trilles, e le due possedevano in tutto soltanto 20 $... oltre alla grande forza lavorativa e alla fede coriacea, certo. Ospitate dalla pittrice già dopo poco ottennero in dono il terreno necessario da un vicino di fede congregazionalista, l’industriale Robert Leather. Questi possedeva una collina coperta di pini che desiderava mantenere integra perpetuamente... e sapeva che le suore ne avrebbero avuto cura come un luogo sacro. Si iniziò così la costruzione del loro monastero, che esiste ancora oggi (non un ospedale, la natura contemplativa dell’ordine è stata modificata per andare incontro alla sensibilità del pubblico americano). Un film davvero cattolico, per ambientazione e ispirazione, che offre diversi momenti (se si guarda oltre al sentimentalismo) di vera spiritualità. Una scena fra tutte: le due sorelle pregano San Giuda, il santo delle cause perse, inginocchiate in cima alla collina. Se cercate un film che abbia l’atmosfera giusta per una serata precedente il giorno di Natale... Le due suore fa proprio per voi”.

(LA LUCE IN SALA)

 

Una poesia al giorno

L’amour endormi (L’amore addormentato), di André Marie Chénier (Costantinopoli, 30 ottobre 1762 - Parigi, 25 luglio 1794. È stato un poeta francese, giustiziato a 31 anni sulla ghigliottina durante la Rivoluzione francese)

Là reposait l’Amour, et sur sa joue en fleur
D’une pomme brillante éclatait la couleur.
Je vis, dès que j’entrai sous cet épais bocage,
Son arc et son carquois suspendus an feuillage.
Sur des monceaux de rose au calice embaumé
Il dormait. Un souris sur sa bouche formé
L’entr’ouvrait mollement, et de jeunes abeilles
Venaient cueillir le miel de ses lèvres vermeilles.

Là riposava l’Amore, e sulla sua guancia in fiore
divampava il colore di una mela brillante.
Io vidi, entrando sotto la fitta boscaglia
il suo arco e la faretra appesi al fogliame.
Dormiva su mucchi di rose dai calici profumati.
La forma di un sorriso gli apriva pigramente la bocca
e giovani api venivano a raccogliere il miele dalle sue vermiglie labbra.

  • Un’altra poesia di André Chénier - La jeune Tarentine: www.youtube.com

Maria Callas canta "La mamma morta" di Andrea Chenier. Regia Umberto Giordano (1867-1948), con Aldo Protti (Gerard). Orchestra del Teatro alla Scala di Milano, direttore Antonino Votto (oggi sarebbe stato il suo compleanno essendo nato a Piacenza il 30 ottobre 1896. Morirà a Milano il 9 settembre 1985). Registrato a Milano nel 1955.

 

Un fatto al giorno

30 ottobre 1938: "La guerra dei mondi" (“War of the Worlds, in inglese) fu un celebre sceneggiato radiofonico trasmesso il 30 ottobre 1938 negli Stati Uniti dalla CBS e interpretato da Orson Welles, tratto dall'omonimo romanzo di fantascienza di Herbert George Wells. È rimasto famoso per avere scatenato il panico descrivendo una invasione aliena. Molti radioascoltatori, malgrado gli avvisi trasmessi prima e dopo il programma, non si accorsero che si trattava di una finzione, credendo che stesse veramente avvenendo uno sbarco di extraterrestri ostili nel territorio americano. L'adattamento del romanzo, infatti, simulava un notiziario speciale che a tratti si inseriva sopra gli altri programmi del palinsesto radiofonico per fornire aggiornamenti sull'atterraggio di bellicose astronavi marziane nella località di Grovers Mill, nel New Jersey... Alle ore venti in punto del 30 ottobre 1938, dopo le prime note del programma musicale, irruppe la voce dell'annunciatore: “Signore e signori, vogliate scusarci per l'interruzione del nostro programma di musica da ballo, ma ci è appena pervenuto uno speciale bollettino della Intercontinental Radio News. Alle 7:40, ora centrale, il professor Farrell dell'Osservatorio di Mount Jennings, Chicago, Illinois, ha rilevato diverse esplosioni di gas incandescente che si sono succedute ad intervalli regolari sul pianeta Marte. Le indagini spettroscopiche hanno stabilito che il gas in questione è idrogeno e si sta muovendo verso la Terra ad enorme velocità...”
(Wikipedia)

Orson Welles - War Of The Worlds, 30 ottobre 1938

 

Una frase al giorno

“Ecco la difficoltà di questi tempi: gli ideali, i sogni, le splendide speranze non sono ancora sorti in noi che già sono colpiti e completamente distrutti dalla crudele realtà”.

(Anne Frank. Annelies Marie "Anne" Frank, 1929-1945).

 

Un brano al giorno

Pietro Raimondi (Roma, 20 dicembre 1786 - 30 ottobre 1853): Il Ventaglio (22 gennaio 1831) Lugano 1978, live recording.
Con: Giancarlo Ceccarini, Anna Baldasserini, Cettina Cadelo, Benedetta Pecchioli, Corinna Voeza, Giovanni Massimo, Paolo Barbacini, Carlo Gaifa, Gastone Sarti, Francesco Pacini, Giovanni Faverio. Direttore: Bruno Rigacci

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k