L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
O DRAKOS (L’Orco, Grecia 1956), regia di Nikos Koundouros. Sceneggiatura: Iakōvos Kampanellēs. Fotografia: Costas Theodorides. Montaggio: Giorgos Tsaoulis. Musica: Manos Hadjidakis. Con Dinos Illiopoulos, Margarita Papageorgiou, Yannis Argyris, Thanassis Vengos, Anestis Vlahos, Maria Lekaki, Theodoros Andrikopoulos.
“Con il suo secondo film O Drakos (Il Drago), che rappresenta la Grecia al Festival di Venezia del 1956, Koundouros - su soggetto di Iakovos Kabanellis - offre una rappresentazione squisitamente greca della figura di un “uomo senza qualità” che ha gradatamente corroso il glorioso mito dell’eroe. Thomas Iliopoulos, un uomo ingenuo e insignificante, rassomiglia ad un noto delinquente, chiamato “l’orco”. In un primo momento tale coincidenza lo impaurisce e gli crea seri problemi; quando però si rende conto che questa falsa identità gli consente di uscire dall’anonimo grigiore della sua squallida esistenza, in un moto di ribellione e di sfida alla società decide di sostituirsi al vero “orco” ricercato dalla polizia. L’inganno viene però scoperto e Thomas paga con la vita la sua ridicola ambizione. Francois Truffaut, (“Cahiers du cìnema”, settembre 1955) vedendo la pellicola, ne scrive un’ode ammirata, e il critico ellenico Vassilis Rafailidis afferma che “...l’anno 1956 si deve considerare come il passaggio dalla preistoria alla storia del cinema greco (...) cioè intendendo che il cinema ha mostrato i primi segni d’arte”. Koundouros firma dunque il suo autentico capolavoro e nasce il cinema d’autore greco.
Il protagonista dell’opera, Thomas, è un piccolo uomo intrappolato nel caos generale di un paese che lo imprigiona. Egli, eroe senza eroismi, ingenuo e sordido, circondato da un sottobosco di umanità kafkiana, va incontro ad un riscatto che sarà tragedia e fine di un sogno di potere e autorità. L’icona classica del diseredato che, eroicamente, riscatta gli oppressi, in Koundouros è rovesciata nell’avida utopia di una ridicola maschera sociale. La vicenda dell’umile impiegato non ammette esitazioni: Koundouros adotta una prospettiva d’analisi crudele e manichea, eminentemente greca. Il percorso dalla mediocrità all’ambizione, attraverso i processi esistenziali e pragmatici di una traiettoria declinante, non ammette che una fatale rovina che nulla rimunera ad una qualche tardiva saggezza. Pure il corollario di umanità malandrina che attornia l’impiegato, con i suoi banali riti e le sue trame dissennate, conserva un tratto eroico - figurativamente marcato - che ammanta dell’aura mitica di una divinità ctonia i gesti di questo povero branco di vittime sociali.
Opera in bianco e nero, cromaticamente suggestiva, svolta per una solenne architettura di sequenze che ha certa memoria dell’espressionismo tedesco (merito della sensibile fotografia del grande Kostas Theodoridis), O drakos ha facoltà d’essere interpretato per sineddoche. Escludendo il ricorso ad un simbolismo tout court - come taluni hanno tentato, dimenticando le origini neorealistiche di Koundouros - sarebbe appropriato fare riferimento ad un simbolismo realistico, o, meglio, ad un realismo necessitatamente simbolico, autentica nemesi al declino culturale della Grecia e ai suoi nuovi miti sociali. Il lavoro del cineasta ellenico opera una cesura radicale con le tendenze estetiche trascorse, per cui pure la grammatica dell’opera è l’esito di un realismo che si fa simbolo e analogia. Sono trascorsi cinque anni dalla guerra civile, e, in una stasi atroce tra attesa e paura, fiorisce una piccola-borghesia urbanizzata che radicalizza il mutamento antropologico in favore al mito del profitto. O drakos, autentico tipo psicologico, diviene il simbolo del terrore che campeggia sulla città senza volto, penetra attraverso le finestre sprangate di miseri alloggi, acuisce solitudini e avidità, giunge fino ai covi della malavita. L’espressionismo di Kondouros, con la profondità delle sue scene, gli angoli bui, l’incidentalità del movimento scenico, trasforma in ostile prassi il terrore della vita quotidiana: le ombre cupe dei quartieri popolari, lo squallore purulento delle strade malfamate, la mediocrità mentale dei dialoghi, l’angosciosa monodia sonora, conferiscono alla pellicola una suggestione lirica tipicamente espressionista (dunque rovesciatamente malinconica, urlata e ferita). Le azioni dei personaggi, antinomiche e frastagliate nei loro fini, tessono un panorama interiore volto alla rappresentazione di una terribile scissione sociale: fra tradizionalismo e riforma, Koundouros descrive col superamento della fine il suo inizio. Il principio del realismo critico, citato dal saggista greco Yorgos Korras, appare dunque come una concreta prefigurazione, mentre il riferimento stilistico al realismo poetico francese o al Fellini de “Il bidone” - di cui scrive Irini Stathi, appare francamente infondato. Il sottotesto poetico di Koundouros è tragico e non partecipa affatto della levità di certo cinema francese o del grottesco concentrico di Fellini. Non va dimenticato, infine, il contenuto politico dell’opera maggiore di Koundouros: gli effetti della guerra civile, l’influenza degli Stati Uniti e la colonizzazione dell’inconscio greco, l’abdicazione ad ogni senso dell’etica collettiva, la miseria periferica della metropoli inurbata, non possono sfuggire ad una ermeneutica politica che anticipa con sdegno il cinema di impegno civile”.
(Damiano Biondi)
“Il regista greco Nikos Koundouros, che per i suoi film di esordio si ispirò al grande cinema del neorealismo italiano, è morto il 22 febbraio 2017 all'età di 91 anni. Era nato a San Nicolò, sull'isola di Creta, il 15 dicembre 1926. Con il film "Giovani prede - Dafni e Cloe" vinse nel 1963 l'Orso d'argento per il miglior regista al Festival di Berlino. Questo film, considerato il suo capolavoro, proponeva la sensualità di due adolescenti al tempo della Grecia antica: Dafni, un giovanissimo pastore, arriva in un villaggio insieme all'amico Samos; instaura con la bella Cloe un rapporto platonico e quando la ragazza lo tradisce con un altro si uccide. Nikos Koundouros si affermò con il film di impronta neorealista "La città magica" (1954), a cui seguì "L'orco di Atene" (1956), che anticipò con modernità sconcertante le tematiche dell'alienazione e del cinema esistenzialista. Koundouros, salutato come un genio dal giovane critico Francois Truffaut, è considerato il padre del cinema greco d'autore”.
(Rai News)
Una poesia al giorno
L'addormentato nella valle, di Arthur Rimbaud
E' una gola di verzura dove il fiume canta
impigliando follemente alle erbe stracci
d'argento: dove il sole, dalla fiera montagna
risplende: è una piccola valle che spumeggia di raggi.
Un giovane soldato, bocca aperta, testa nuda,
e la nuca bagnata nel fresco crescione azzurro,
dorme; è disteso nell'erba, sotto la nuvola,
pallido nel suo verde letto dove piove la luce.
I piedi tra i gladioli, dorme. Sorridente come
sorriderebbe un bimbo malato, fa un sonno.
O natura, cullato tiepidamente: ha freddo.
I profumi non fanno più fremere la sua narice;
dorme nel sole, la mano sul suo petto
tranquillo. Ha due rose ferite sul fianco destro
Un fatto al giorno
6 aprile 1327: venerdì santo, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone Petrarca vide per la prima volta Laura (sulla cui identità permangono tuttora dei dubbi) e immediatamente se ne innamorò, senza essere mai contraccambiato; tale amore, oltre a rimanere sempre saldo anche dopo la morte della giovane, diverrà il nucleo ispiratore di buona parte della sua opera. La città in cui papa Clemente V aveva deciso di stabilire la sede pontificia era intanto diventata il luogo di maggiore vivacità sociale e culturale del tempo, e Petrarca, sostenuto dalle influenti amicizie del padre, non mancò di sfruttare le opportunità che gli si presentarono. Egli decise così di abbracciare la carriera ecclesiastica, prendendo gli ordini minori, che gli consentivano di godere di una piccola rendita, senza tuttavia vincolarlo agli obblighi pastorali e a dimorare in una sede permanente. La residenza avignonese di Petrarca durò quasi un trentennio. Egli rimase infatti ad Avignone o negli immediati dintorni – la bassa valle del Rodano o Valchiusa - dal 1326 fino al 1353, compiendo tuttavia nel frattempo numerosi viaggi.
Secondo quanto afferma nel Secretum, Petrarca incontrò per la prima volta, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone, il 6 aprile del 1327 (Venerdì santo in quell'anno), Laura, la donna che sarà l'amore della sua vita e che sarà immortalata nel Canzoniere. La figura di Laura ha suscitato, da parte dei critici letterari, le opinioni più diverse: identificata da alcuni con una Laura de Noves coniugata de Sade (morta nel 1348 a causa della peste, come la stessa Laura petrarchesca), altri invece tendono a vedere in tale figura un senhal dietro cui nascondere la figura dell'alloro poetico (pianta che, per gioco etimologico, si associa al nome femminile), suprema ambizione del letterato Petrarca.
Una frase al giorno
“Ciò che ero solito amare, non amo più; mento: lo amo, ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la verità. È proprio così: amo, ma ciò che amerei non amare, ciò che vorrei odiare; amo tuttavia, ma contro voglia, nella costrizione, nel pianto, nella sofferenza. In me faccio triste esperienza di quel verso di un famosissimo poeta: Ti odierò, se posso; se no, t'amerò contro voglia.”
(Francesco Petrarca)
Un brano al giorno
"Lascia ch'io pianga" dal “Rinaldo” di Georg Friedrich Händel, aria cantata da Kiri te Kanawa
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
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web www.brusaporco.org