“L’amico del popolo”, 6 aprile 2020

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno IV. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

WOLF BLOOD. A TALE OF THE FOREST (USA, 1925), regia di George Chesebro, Bruce Mitchell. Prodotto da Ryan Brothers. Scritto da Cliff Hill. Bennett Cohen. Fotografia: Lesley Selander. Cast: George Chesebro, Marguerite Clayton, Raymond "Ray" Hanford, Roy Watson, Milburn Morante, Frank Clark, Jack Cosgrave.

In Canada, un boscaiolo è ferito e vicino alla morte ma viene salvato da una provvidenziale trasfusione di sangue di lupo praticatagli da un medico. Tuttavia, una volta ripresosi, l'uomo comincia ad essere attanagliato da un terribile dubbio: che si stia trasformando davvero in un lupo?

“Chi ha paura del lupo cattivo? Un po' tutti, da quel che suggerisce la serie, pressoché infinita, di adattamenti cinematografici dedicati al celebre lupo mannaro sin dai primissimi anni della settima arte. Ancora prima dell'avvento del sonoro, nel 1913, fu prodotto il corto 'The werewolf' di Henry MacRae, seguito nel '15 dal lungometraggio 'The wolf man' di Paul Powell, poi un omonimo film nel '24 firmato Edmund Mortimer e 'Wolf blood', realizzato a quattro mani, nel 1925, da George Chesebro e Bruce M. Mitchell.

Ma non c'è da stupirsene, data l'antichissima origine di questa creatura immaginaria, il cui stesso nome 'licantropo' (dal greco lýkos, 'lupo' e ànthropos, 'uomo') si rifà alla mitologia greca, anche se si tratta di una figura che ha trovato ampio spazio nelle credenze popolari e nei racconti di epoche successive, non da ultimo il Medioevo. La paura dello scatenarsi della bestialità dell'essere umano non sembra conoscere declino, e il cinema non poteva certo astenersi dal cavalcare l'onda, prendendo spunto dalle declinazioni letterarie neogotiche e dal genere horror, con il vantaggio di poter affrontare a occhi aperti incubi di natura primordiale.

A canonizzare la formula sono stati film ben determinati e un altrettanto precisa major americana, la Universal Pictures, che tra gli anni '30 e '40 ha distribuito decine di pellicole dedicate ai mostri più celebri e spaventosi dell'immaginario collettivo: dal Fantasma dell'Opera, a Dracula e Frankenstein, passando appunto per l'Uomo lupo e altre figure raccapriccianti come la 'cosa' della palude. Tutti film destinati a diventare classici intramontabili, tanto che ancora oggi, quando si pensa a uno qualsiasi di questi personaggi, l'immagine mentale più immediata, probabilmente, è tratta proprio dai film della prima metà del XX secolo, nonostante molti non abbiano mai visto uno di questi 'cult movies'…”

(In www.nannimagazine.it)

 

Il film:

 

 

Milburn Charles Morante (San Francisco, 6 aprile 1887 - Pacolma, 28 gennaio 1964)Un attore: “Milburn Morante nato Milburn Charles Morante (San Francisco, 6 aprile 1887 - Pacolma, 28 gennaio 1964), è stato un attore e regista statunitense. Usò anche il nome alternativo Milburn Moranti. Nato a San Francisco nel 1887, apparteneva a una famiglia di artisti del vaudeville. Iniziò la sua carriera fin da bambino, entrando a far parte del trio The Three Morantes che si esibiva sulle scene a cavallo tra Ottocento e Novecento. Dopo essersi trasferito da San Francisco a Los Anglese, frequentò gli ambienti della nuova industria cinematografica che si stava affermando nel campo dello spettacolo di intrattenimento americano. Il suo primo film, il cortometraggio The De-feet of Father, lo girò nel 1914 per l'Universal Film Manufacturing Company. Sullo schermo, fece coppia con l'attrice Gale Henry, specializzata in ruoli da caratterista eccentrica.
Morante fondò anche una propria compagnia di produzione, la Mercury, prendendo a lavorare con sé gli altri due appartenenti ai Three Morantes, il padre Joe e il fratello Al. I film della Mercury erano distribuiti dalla Bull's Eye Film Corporation, ma i personaggi impersonati dall'attore non riuscirono a sfondare presso il pubblico. Quando la Bull's Eye, nel 1920, venne inglobata dalla Reelcraft, Morante passò alla regia, dirigendo - per una piccola compagnia indipendente - western a basso costo interpretati in genere da Pete Morrison.
Attore caratterista, nella sua carriera si contano quasi quattrocento film. Interprete di farse e di western dal taglio comico, all'avvento del sonoro dovette passare ai ruoli minori, specializzandosi in figure di contorno, come cercatori d'oro avanti con l'età, baristi, barboni o ubriachi. A fine carriera, lavorò anche per la televisione, prendendo parte a diversi episodi della serie Cisco Kid.”

(In wikipedia.org)

 

Una poesia al giorno

Era 'l giorno ch'al sol si scoloraro, di Francesco Petrarca

Era il giorno ch’al sol si scoloraro
per la pietà del suo factore i rai,
quando i’ fui preso, et non me ne guardai,
ché i be’ vostr’occhi, donna, mi legaro.

Tempo non mi parea da far riparo
contra colpi d’Amor: però m’andai
secur, senza sospetto; onde i miei guai
nel commune dolor s’incominciaro.

Trovommi Amor del tutto disarmato
et aperta la via per gli occhi al core,
che di lagrime son fatti uscio et varco:

però, al mio parer, non li fu honore
ferir me de saetta in quello stato,
a voi armata non mostrar pur l’arco.

 

“Quando si verifica l’innamoramento del poeta? Quale giorno ha scelto Amore per partire all’assalto del Petrarca? Proprio il Venerdì Santo, giorno della passione di Cristo, quando «al sol si scoloraro/ per la pietà del suo Fattore i rai». Petrarca se ne andava senza riparo e protezione, convinto che non fosse quello un giorno in cui si dovesse proteggersi da Amore. Così, il potente dio trapassò il suo cuore, trovando una via accessibile attraverso gli occhi. Senz’altro Amore non può vantarsi in alcun modo per aver espugnato una città che già stava per arrendersi. Non fu, però, motivo di onore neanche il fatto che la stessa donna amata non avesse mostrato l’arco con cui ferì il cuore del poeta. Petrarca crea così una perfetta corrispondenza tra il giorno in cui è avvenuto il primo incontro con Laura e quello della passione di Cristo, quasi a voler sottolineare da subito l’aspetto peccaminoso di questo amore, la profonda contraddizione tra il desiderio della donna amata e l’aspirazione ad una vita religiosa fedele a Gesù. Non c’è traccia in questo sonetto del 6 aprile 1327, la data di quel Venerdì Santo.”

(In www.lanuovabq.it)

“…A questo proposito è interessantissima la numerologia che sembra nascondersi dietro l’opera: ritornando alle date in cui il Petrarca e Laura si conobbero e poi lei morì, entrambe 6 aprile, per molti è una coincidenza incredibile che rende questo numero sacro alla donna (come il nove di Dante a Beatrice); 366 sono le poesie che compongono la raccolta, dove ricorre due volte il sei e togliendo il sonetto proemiale, il numero di carmina coincide ai giorni di un anno intero; l’innamoramento avvenne, secondo quanto il Petrarca afferma nel sonetto III, “il giorno ch’al sol si scoloraro”, dunque il giorno della Passione di Cristo, considerato per la cristianità il giorno in cui il peccato toccò l’apice nel mondo (non a caso anche Dante si smarrì nella selva oscura il venerdì santo dell’anno 1300); contando dal quel giorno i carmina come fossero giorni anch’essi, la prima poesia della seconda parte dell’opera, ovvero la canzone CCLXVII dove si preannuncia la morte di Laura, viene a coincidere con il 25 dicembre, simbolo della nascita del Salvatore: considerando che all’epoca si contavano gli anni proprio a partire dal Natale e non dal primo di gennaio, il Petrarca intendeva proprio significare una svolta alla sua vita, per quanto dolorosa. Laura nella morte diventa un mezzo attraverso il quale il poeta deve ristabilire un contatto con la propria identità perduta. La si vede infatti intervenire direttamente nei carmina per riscuoterlo (“Deh, perché inanzi ‘l tempo ti consume?”, sonetto CCLXXIX), consolarlo (“Alma felice che sovente torni/ a consolar le mie notti dolenti”, sonetto CCLXXXII) stargli vicino come mai aveva fatto da viva (vedi citazione precedente), incitarlo al superamento di quella passione carnale che lei prima di lui aveva capito avrebbe precluso ad entrambi le porte del Paradiso (“Di me non pianger tu, ché miei dì fersi/ morendo eterni, et ne l’interno lume/ quando mostrai de chiuder, gli occhi apersi”, sonetto CCLXXIX). Certamente una impostazione di questo tipo, ben evidente fin dal sonetto proemiale dove Petrarca è già consapevole di aver nutrito “vane speranze” e aver provato un “vano dolore” per un “giovenile errore”, non fa altro che influenzare tatticamente la lettura di tutta l’opera, che non lascia possibilità di replica: il lettore è obbligato tanto quanto ha già fatto il poeta stesso a criticarlo e biasimarlo per le scelte compiute e intraprendere con lui un cammino, seppur ricco di deviazioni verso la passione, verso la redenzione.”

(Valentina Foti in www.classicult.it)

Immagini:

6 aprile 1327: ad Avignone, durante il Venerdì Santo, fuori dalla Chiesa di Santa Chiara, Francesco Petrarca vede per la prima volta Laura.

 

Un fatto al giorno

6 aprile 1924: in Italia si svolgono le Elezioni Politiche con la nuova legge maggioritaria nota come Legge Acerbo, che sanciscono la vittoria del "Listone fascista" con il 64,9% dei voti (356 seggi) contro il 35,1% (161 seggi) delle opposizioni. Si tratta della 27ª legislatura.

“La legge 18 novembre 1923, n. 2444, nota come Legge Acerbo (dal nome del deputato Giacomo Acerbo che ne redasse il testo), fu una legge elettorale del Regno d'Italia, adottata alle elezioni politiche italiane del 1924. Fu voluta da Benito Mussolini per assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare.

Il disegno di legge, redatto dall'allora sottosegretario alla presidenza del consiglio Giacomo Acerbo, fu approvato il 4 giugno 1923 dal Consiglio dei ministri presieduto da Mussolini. Il successivo 9 giugno venne presentato alla Camera dei deputati e sottoposto all'esame di una commissione - detta dei “diciotto” - nominata dal presidente della Camera dei deputati Enrico De Nicola, secondo il criterio della rappresentanza dei gruppi.

La commissione fu composta da Giovanni Giolitti (con funzioni di presidente), Vittorio Emanuele Orlando per il gruppo della "Democrazia" e Antonio Salandra per i liberali di destra (entrambi con funzioni di vicepresidente), Ivanoe Bonomi per il gruppo riformista, Giuseppe Grassi per i demoliberali, Luigi Fera e Antonio Casertano per i demosociali, Alfredo Falcioni per la “Democrazia Italiana” (nittiani e amendoliani), Pietro Lanza di Scalea per gli agrari, Alcide De Gasperi e Giuseppe Micheli per i popolari, Giuseppe Chiesa per i repubblicani, Costantino Lazzari per i socialisti, Filippo Turati per i socialisti unitari, Antonio Graziadei per i comunisti, Raffaele Paolucci e Michele Terzaghi per i fascisti e Paolo Orano per il gruppo misto (in realtà era anche lui fascista).

Il sistema delineato dal disegno di legge Acerbo andava a modificare il sistema proporzionale in vigore dal 1919, integrandolo con un premio di maggioranza in quota fissa, pari ai 2/3 dei seggi, a beneficio del partito più votato qualora questo avesse superato il quorum del 25%. Durante la discussione in commissione, i popolari avanzarono numerose proposte di modifica, prima cercando di ottenere l'innalzamento del quorum al 40% dei votanti e poi l'abbassamento del premio al 60% dei seggi. Ogni tentativo di mediazione fu però vano e la commissione licenziò l'atto nel suo impianto originale, esprimendo parere favorevole a seguito di una votazione terminata 10 a 8.

Il disegno di legge venne quindi rimesso al giudizio dell'aula, dove le opposizioni tentarono nuovamente di modificarlo: esse confluirono attorno ad un emendamento presentato da Bonomi, che proponeva ancora di alzare il quorum per lo scatto del premio di maggioranza dal 25% al 33% dei voti espressi. Il tentativo fallì, anche per la rigida posizione assunta dal governo, che, opponendo la fiducia, riuscì a prevalere (seppur di stretta misura): su 336 presenti in 178 votarono a favore della fiducia e contro l'emendamento, 157 a favore dell'innalzamento della soglia e contro il governo. Decisivo risultò il numero degli assenti - ben 53 - che avrebbero potuto orientare in modo diverso l'esito del voto.

Il 21 luglio del 1923 il disegno di legge Acerbo venne infine approvato dalla Camera con 223 sì e 123 no. A favore si schierarono il Partito Nazionale Fascista, buona parte del Partito Popolare Italiano (il cui deputato più noto fu Stefano Cavazzoni, poi espulso dal partito con gli altri dissidenti), una vasta maggioranza dei componenti dei gruppi parlamentari di tendenze liberali e la quasi totalità degli esponenti della destra, fra i quali Antonio Salandra. Negarono il loro appoggio i deputati dei gruppi socialisti, i comunisti, la sinistra liberale e quei popolari che facevano riferimento a don Sturzo. La riforma entrò in vigore con l'approvazione del Senato del Regno, avvenuta il 18 novembre, secondo altre fonti il 14 novembre, con 165 sì e 41 no. Nella discussione del disegno di legge presso il Senato ebbe un ruolo di primo piano il senatore Gaetano Mosca.

La Legge Acerbo prevedeva l'adozione di un sistema maggioritario con premio di maggioranza, all'interno di un collegio unico nazionale, suddiviso in 16 circoscrizioni elettorali.

A livello circoscrizionale ogni lista poteva presentare un numero di candidati che oscillava da un minimo di 3 a un massimo dei due terzi di quelli eleggibili (non più di 356 su 535). Oltre al voto di lista era ammesso il voto di preferenza e ogni elettore poteva esprimere sino a 3 preferenze nel caso in cui i seggi assegnati alla circoscrizione fossero più di 20 e sino a 2 negli altri casi.

Il risultato nel collegio unico era decisivo per determinare la distribuzione dei seggi: nel caso in cui la lista più votata a livello nazionale avesse superato il 25% dei voti validi, avrebbe automaticamente ottenuto i 2/3 dei seggi della Camera dei deputati, eleggendo in blocco tutti i suoi candidati; in questo caso tutte le altre liste si sarebbero divise il restante terzo dei seggi, sulla base di criteri simili a quelli della legge elettorale del 1919. Nel caso in cui nessuna delle liste concorrenti avesse superato il 25% dei voti, non sarebbe stato assegnato alcun premio di maggioranza e la totalità dei seggi sarebbe stata ripartita tra le liste concorrenti in proporzione ai voti ricevuti ancora secondo i principi della legge elettorale del 1919.

In sede di approvazione la propaganda fascista spacciò per democratico tale meccanismo di ripartizione dei seggi, affermando che il diritto di tribuna alle minoranze era garantito da quel terzo dei seggi dell'assise parlamentare, che sarebbe stato loro assegnato comunque, anche qualora fossero complessivamente rimaste al di sotto del 33% dei suffragi.

Tra le innovazioni più rilevanti di questa legislazione elettorale vi è l'abbassamento dell'età per l'elettorato passivo alla Camera che da 30 passa a 25 anni.

Abolì poi l'incompatibilità per le cariche amministrative di sindaco e deputato provinciale, e per i funzionari pubblici (ad eccezione di prefetti, viceprefetti e agenti di pubblica sicurezza). Altra importante innovazione fu l'adozione della scheda elettorale al posto della busta.

Le elezioni del 6 aprile 1924 avvennero in un clima di intimidazioni (un candidato socialista fu ucciso, diversi candidati di sinistra furono feriti, ovunque furono impediti i comizi, bruciati i giornali, impedito l'affissione dei manifesti, anche attaccando le stamperie) e con brogli anche superiori alla media (alta) dell'Italia dell'epoca.

Il Listone Mussolini prese 4.305.936 voti con il 60,09%, un livello, come previsto, di molto superiore al quorum del 25% che assicurava il premio di maggioranza: ottenne 355 su 535. I fascisti trovarono il modo di limare anche il numero di seggi garantiti alle minoranze, alla cui spartizione riuscirono a partecipare mediante una lista civetta (la lista bis), presentata solo in alcune regioni, che con 347.552 voti, strappò ulteriori 19 scranni. Le opposizioni di centro e sinistra raccolsero 2.493.952 voti, pari al 29,2% e ottennero 161 seggi su 535, nonostante al Nord fossero in maggioranza con 1.317.117 voti contro i 1.194.829 del Listone.

In diverse circoscrizioni, soprattutto meridionali, il voto non fu esercitato in condizioni di libertà, ma in maniera palese e con la presenza di esponenti fascisti nei seggi e nelle cabine elettorali, mentre i prefetti ebbero ordini di contrastare l'astensionismo convogliando voti a favore del governo, il che rende rimarchevole il risultato delle opposizioni. Inoltre il listone nazionale di Mussolini aveva assorbito le macchine elettorali di molti partiti di centro e di centro destra, e transfughi (detti "traditori") del sardismo e del partito popolare, garantendosi una base elettorale più larga del semplice fascismo, oltre che vari specialisti del voto di scambio.

Alessandro Visani scrisse sull'importanza politica della legge:

«L'approvazione di quella legge fu - questa la tesi sostenuta da Giovanni Sabbatucci, pienamente condivisibile - un classico caso di "suicidio di un'assemblea rappresentativa", accanto a quelli "del Reichstag che vota i pieni poteri a Hitler nel marzo del 1933 o a quello dell'Assemblea Nazionale francese che consegna il paese a Pétain nel luglio del 1940". La riforma fornì all'esecutivo "lo strumento principe - la maggioranza parlamentare - che gli avrebbe consentito di introdurre, senza violare la legalità formale, le innovazioni più traumatiche e più lesive della legalità statutaria sostanziale, compresa quella che consisteva nello svuotare di senso le procedure elettorali, trasformandole in rituali confirmatori da cui era esclusa ogni possibilità di scelta».

La "legge Acerbo" fu applicata nella sola tornata elettorale del 6 aprile del 1924.”

(In wikipedia.org)

“Premio di maggioranza (1924)

All'indomani della marcia su Roma, fu varata una profonda revisione della legislazione elettorale, sfruttando le persistenti divisioni tra i partiti proporzionalisti ed i nostalgici del collegio uninominale. Al termine di un complesso iter parlamentare si giunse così all'approvazione della c.d. "legge Acerbo" (legge 18 novembre 1923, n. 2444), in seguito rifluita nel Testo Unico 13 dicembre 1923, n. 2694. La nuova legge elettorale conteneva due importanti innovazioni rispetto alla legge elettorale proporzionale in vigore dal 1919: la creazione di un collegio unico nazionale, diviso in sei circoscrizioni, e, soprattutto, l'attribuzione alla lista vincitrice di un di un assai cospicuo premio di maggioranza.

La nuova legge prevedeva in sostanza l'adozione del sistema maggioritario plurinominale all'interno di un collegio unico nazionale. Ogni lista poteva presentare un numero di candidati pari ai due terzi dei seggi in palio, ma la ripartizione dei seggi alla Camera dipendeva in maniera sostanziale dal premio di maggioranza riconosciuto alla lista vincitrice: la lista vincitrice che avesse conseguito il 25% dei voti validi avrebbe ottenuto 2/3 dei 535 seggi; i residui 179 sarebbero stati divisi tra le altre liste, applicando, per ogni circoscrizione il sistema proporzionale secondo il metodo Hare o del quoziente. Nel caso in cui nessuna delle liste avesse superato il quorum del 25%, la ripartizione dei seggi sarebbe avvenuta su base proporzionale, secondo il metodo Hare.

La legge prevedeva che le liste presentate in ogni circoscrizione non potessero comprendere più dei 2/3 dei deputati da eleggere e consentiva all'elettore di esprimere sino a 3 preferenze nel caso che i seggi assegnati alla circoscrizione fossero più di 20 e sino a 2 negli altri casi. L'elemento notevole, in questo ambito, era soprattutto la coincidenza tra il numero dei candidati ed il numero degli eletti della lista vincente. Si trattava sostanzialmente di un meccanismo di blocco, che enfatizzava il ruolo del vertice del Partito fascista a scapito di quello degli elettori.

Tra le innovazioni più rilevanti della legislazione elettorale del 1923 si segnala l'abbassamento dell'età per l'elettorato passivo alla Camera da 30 a 25 anni.

La "legge Acerbo" fu applicata nella sola tornata elettorale del 6 aprile del 1924, che segnarono la decisiva affermazione delle liste del Partito Fascista (64,9% dei voti), grazie anche alla confluenza nella Lista Nazionale (c.d. "Listone") promossa da Mussolini, di esponenti della Destra liberale e cattolica, ed alla incapacità delle altre forze politiche a costruire un cartello elettorale alternativo.”

(In storia.camera.it)

L'On. Giacomo Matteotti (Fratta Polesine, 22 maggio 1885 - Roma, 10 giugno 1924)“La frammentazione elettorale delle precedenti elezioni spinse il Partito Nazionale Fascista a presentare un progetto di legge elettorale in nome della governabilità. La cosiddetta legge Acerbo (n. 2444 del 18 novembre 1923), un proporzionale con voto di lista e premio di maggioranza, fu approvata in un clima intimidatorio come dimostra il discorso di Filippo Turati:

«Sotto l'intimidazione non si legifera; non si legifera tra i fucili spianati e con la minaccia incombente delle mitragliatrici [...] Una legge, la cui approvazione vi è consigliata dai 300 mila moschetti dell'esercito di dio e del suo nuovo profeta, non può essere che la legge di tutte le paure e di tutte le viltà. Quindi non sarà mai una legge. Voi continuate a baloccarvi, signori del Governo, in quella quadratura del circolo che è l'abbinamento del consenso e della forza. Or questo è l'assurdo degli assurdi. O la forza o il consenso. Dovete scegliere. La forza non crea il consenso, il consenso non ha bisogno della forza, a vicenda le due cose si escludono.»

(Filippo Turati, 15 luglio 1923)

La campagna elettorale e le elezioni furono segnate da un clima di intimidazione e da ripetute violenze da parte dei sostenitori del Partito Nazionale Fascista, denunciate nella seduta parlamentare del 30 maggio dal segretario socialista Giacomo Matteotti (assassinato il 10 giugno 1924).

Non avevano diritto di voto i cittadini maggiorenni di sesso femminile. Erano temporaneamente privati del diritto di voto sottufficiali e soldati dell'Esercito, della Marina e dei corpi organizzati militarmente per servizio dello Stato.

Alla consultazione parteciparono 23 liste con 1306 candidati, di cui 346 erano deputati uscenti e 41 avevano esercitato il loro mandato nel corso della XXV Legislatura.

Oltre alla Lista Nazionale (nota anche come "listone") e alla Lista Nazionale bis, si presentarono sette liste liberali e quattro liste democratiche di opposizione, due liste socialiste, due liste autonomiste (slavi-tedeschi e sardisti) e una lista ciascuna per popolari, comunisti, repubblicani, demosociali ed agrari. Solo tre liste si presentavano in tutto il regno: Lista Nazionale, PPI e PSU.”

(Articolo completo con simboli dei partiti e risultati della votazione in: wikipedia.org)

 

L'assassino di Giacomo Matteotti avvenne il 10 giugno 1924

Il delitto Matteotti (Italia, 1973) di Florestano Vancini, scritto da Florestano Vancini, Lucio Manlio Battistrada. Fotografia Dario Di Palma. Montaggio Nino Baragli. Musiche Egisto Macchi. Franco Nero: on. Giacomo Matteotti. Mario Adorf: Benito Mussolini. Umberto Orsini: Amerigo Dumini. Vittorio De Sica: Mauro Del Giudice. Renzo Montagnani: Umberto Tancredi. Gastone Moschin: on. Filippo Turati. Riccardo Cucciolla: on. Antonio Gramsci. Damiano Damiani: on. Giovanni Amendola.

 

Una frase al giorno

“Chi dopo la morte vuole andare in paradiso è chi durante la vita vuole avere il potere, e chi in vita ha il potere è chi consola le sue vittime con la prospettiva del regno dei cieli dopo la morte.”

(Erich Mühsam)

Erich Mühsam (Berlino, 6 aprile 1878 - Campo di concentramento di Oranienburg, 10 luglio 1934)

Erich Mühsam (Berlino, 6 aprile 1878 - Campo di concentramento di Oranienburg, 10 luglio 1934) fu anarchico, poeta, scrittore e attivista tedesco. Nasce il 6 aprile 1878 a Berlino, in una famiglia di farmacisti benestanti ebrei. A 17 anni è espulso dal liceo di Lubecca per reiterati atti di indisciplina e per manifestazioni di carattere socialista. Da quel momento, frequenta la bohème artistica e scrive per giornali satirici.

Nel 1900, stringe a Berlino amicizia con Gustav Landauer e si schiera con gli anarchici. Nel 1904, prende parte alla comunità di Monte Verità (Svizzera). Nel 1909, a Monaco, fonda il gruppo Tat, federato con il Sozialistischer Bund, frequenta l'ambiente bohème e quello dei letterati da Kaffeehaus. Nel 1911 crea il proprio giornale, Kain, dove esprime il suo pacifismo anarchico e si occupa della questione sociale del proletariato. Sconvolto dalla dichiarazione di guerra, nel 1916 tenta di riunire coloro i quali si oppongono al conflitto in atto. Viene però espulso dal governo della Baviera e posto in domicilio coatto in una città di provincia. Alla caduta della monarchia, il 7 novembre 1918, ritorna a Monaco e prende parte al processo rivoluzionario e al governo socialista di Kurt Eisner.

Fu attivissimo nella difesa e nel sostegno dei consigli operai in Baviera nel 1919. Accusato per questo di alto tradimento, fu condannato a 15 anni di reclusione. In carcere scrive le sue opere politiche più importanti sull'anarco-comunismo. Liberato dopo cinque anni, riprese la sua intensa attività fino al 1933 quando, catturato dopo l'incendio del Reichstag, fu rinchiuso in vari carceri e campi di concentramento, fra cui anche il campo di concentramento di Sonnenburg. Fu assassinato l'anno dopo nel campo di concentramento di Oranienburg.”

(In wikipedia.org)

Erich Mühsam (Berlino, 6 aprile 1878 - Campo di concentramento di Oranienburg, 10 luglio 1934)

Erich Mühsam, radicalmente antinazista, fu arrestato e internato in un campo di concentramento a causa delle sue attività politiche e delle sue origini ebraiche.

«Mi imbattei in Mühsam d'ottobre quando era addetto alla pulizia delle scale e dei pianerottoli del dormitorio. Ci conoscevamo sin dal 1928 e Mühsam aveva molta fiducia in me: quando lo rassicurai che avrei sfruttato ogni possibilità di far conoscere all'opinione pubblica le vicende del suo martirio, mi scongiurò di non dimenticare le sofferenze continue cui erano sottoposti in questi inferni migliaia di sconosciuti lavoratori, di non rendere personale un problema che era invece di massa. Sopraggiunsero proprio allora una S.A. particolarmente feroce insieme con un altro compagno e col membro di una organizzazione di fascisti russi di Berlino che si trovava a Brandeburg come "detenuto di sicurezza" col compito esclusivo di maltrattare i prigionieri antifascisti, specie gli ebrei. Avvenne allora davanti ai miei occhi una scena di brutale violenza. Colpito da pugni alle reni, tempestato da calci, strappatagli la barba ed i capelli, costretto a leccare con la lingua la fetida acqua delle rigovernature delle scale, sanguinante, esausto, spossato, Mühsam fu costretto a rifare per ben cinque volte le scale ove le S.S. infierivano orribilmente sulla vittima che metà incespicava, tempestandolo di pugni, di pedate, di colpi di scopa [...].»

(Dalla testimonianza di un compagno di carcere)

«Nessuna fantasia può dipingere quali infamie escogitassero i carnefici per infierire sulle loro vittime. Era loro noto ad esempio dalle sue lettere, che Mühsam era un grande amico degli animali: ora le S.A: avevano trovato nella casa di un cittadino di Brandeburg, che doveva essere arrestato come antifascista, uno scimmione di sette anni, grande quanto un uomo [...]. Cercarono dunque di eccitarlo e aizzarlo contro Mühsam per farlo mordere, ma il povero animale non si prestò ai loro disegni [...] anzi, impaurito a morte, si aggrappò a lui come cercando protezione (non immaginavo che gli scimmioni potessero essere così sensibili, commentava mio marito, narrandomi il fatto). Infine, poiché la scimmia non assecondava i piani di quelle autentiche belve, fu torturata in presenza di Mühsam e finita a fucilate». (Da un racconto della moglie Kreszentia).

(In www.anarcopedia.org)

  • Una sua poesia diventata canzone: Kampflied (Erich Mühsam, 1923)

 

Un brano musicale al giorno

Issé, di André-Cardinal Destouches. Ensemble Les Surprises

ISSÉ, pastorale eroica di André-Cardinal Destouches (estratti), filmato alla Royal Opera di Versailles, il 13 ottobre 2018 nell'ambito della stagione 2018-2019 di Château Versailles Spectacles.
Ensemble Les Surprises. Direttore: Louis-Noël Bestion de Camboulas

André Cardinal Destouches (Parigi, 6 aprile 1672 - Parigi, 7 febbraio 1749) 

André Cardinal Destouches (Parigi, 6 aprile 1672 - Parigi, 7 febbraio 1749) fu un compositore francese del periodo barocco. Figlio di un ricco commerciante, Étienne Cardinal, signore di Touches, studiò dai gesuiti al Lycée Louis-le-Grand. Assieme a padre Tachard si recò in missione nel Siam nel 1687. Tornato in Francia un anno dopo, entrò nell'esercito e partecipò all'assedio di Namur nel 1692, scoprendo il suo talento musicale sui campi di battaglia. Decise pertanto di lasciare la carriera militare per perseguire le sue aspirazioni musicali. Studiò quindi con André Campra del quale prenderà poi il posto di sovrintendente alla musica, alla sua morte.

L'opera Issé di Destouches venne eseguita a Fontainebleau, alla presenza di Luigi XIV nel 1697. Il re rimase impressionato e disse di aver apprezzato la sua musica quanto quella di Jean-Baptiste Lully. Nel 1713 il re lo nominò ispettore generale dell'Académie royale de Musique. Tale incarico mantenne anche con Luigi XV. L'8 febbraio 1728 divenne direttore dell'Académie, ma vi rimase solo fino al 1730, dovendo poi cedere l'incarico ad altri amministratori.”

(wikipedia.org)

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

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Ugo Brusaporco

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UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k