“L’amico del popolo”, 6 maggio 2017

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

LA BÊTE HUMAINE (L'angelo del male, Francia, 1938), regia di Jean Renoir. Sceneggiatura: Jean Renoir da Émile Zola. Fotografia: Curt Courant. Montaggio: Suzanne De Troeye, Marguerite Renoir. Musiche: Joseph Kosma. Con Jean Gabin, Fernand Ledoux, Simone Simon, Tony Corteggiani, Guy Decomble, Émile Genevois, Claire Gérard, Jacques Berlioz, Charlotte Clasis, Blanchette Brunoy, Jacques B. Brunius, Julien Carette, Léon Larive, Maurice Marceau, Marcel Perez, Georges Peclet, Colette Régis, Jean Renoir, Georges Spanelly, Jenny Helia, Gérard Landry.

Giacomo Lantier, macchinista ferroviario, ha delle tare ereditarie che gli provocano autentiche crisi di pazzia. Si trova bene solo in compagnia del fuochista Pecqueux sulla sua "Lisa", la locomotiva a vapore che conduce sulla linea Parigi-Le Havre. Il capostazione Roubaud accortosi che sua moglie Severina lo tradisce con un bellimbusto, uccide il giovanotto davanti agli occhi di lei. La donna dopo tale delitto odia il marito e diviene l'amante di Giacomo. I due si accordano per uccidere il capostazione e per vivere uniti e liberi. Però, ripreso dalla sua follia, Giacomo uccide Severina. Dopo una notte insonne, Lantier, ripreso posto sulla locomotiva, dapprima racconta a Pecqueux l'accaduto dandogli un senso razionale, ma dopo poco, disperato, si getta dal treno in corsa suicidandosi.

“Il capostazione Ribaud è sposato con la bella Severine, donna infelice e che aspirava a una vita da gran dama ma che, visti i miseri guadagni del marito, deve accontentarsi delle attenzioni di un vecchio amico di famiglia, Grandmarin, nobiluomo dalle enormi ricchezze. Un giorno Ribaud, in un impeto di gelosia, uccide l'amante della moglie, facendo ricadere la colpa su qualcun altro, aiutato in questo dalla falsa testimonianza di Jacques Lantier, un ferroviere, da sempre innamorato di Severine. Proprio quest'ultima, cogliendo la palla al balzo e innamoratasi apparentemente anche lei di Jacques, propone al ferroviere di uccidere Ribaud... Nel 1938 il grande maestro francese Jean Renoir scelse di adattare per il grande schermo una delle opere più belle e famose dell'esimio scrittore suo connazionale Émile Zola. La bestia umana, questo il titolo originale tradotto in italiano con un più semplicistico L'angelo del male, è ancor oggi considerato uno dei capolavori del regista transalpino, con un'interpretazione magnifica di uno dei massimi interpreti del cinema francese qual'era il grandissimo Jean Gabin (Il porto delle nebbie, Il commissario Maigret).
Menage a trois, dramma umano, parabola sugli istinti e percorso di una mentalità malata rendono L'angelo del male un'opera cruciale della Settima Arte, con una tensione, sessuale e psicologica, di grande impatto fino all'incredibile e scioccante finale. Una tragedia terrena dall'inusitata potenza giocata sul filo del giallo/thriller, di amori improvvisi e passionali, delitti indotti dalla gelosia, con personaggi in lotta contro il proprio essere ed alla ricerca di una vita migliore. La figura di Jacques, che ha uno scompenso psichico ereditario, è la più riuscita dell'intero carnet, complice anche una perfetta aderenza al personaggio di Gabin, in una delle prove più sofferte della sua lunga carriera. Un film sulla vita, ma soprattutto sulla morte, intesa non soltanto come quella fisica di alcuni dei protagonisti, ma come decadenza dei valori e dei sentimenti qui quasi sempre soggiogati dagli interessi personali, esempio più emblematico proprio nella figura della bella Severine (interpretata dalla sempre splendida Simone Simon). Fortemente espressionista nella regia, Renoir (qui come spesso nei suoi lavori anche in veste di attore, in un ruolo secondario) firma un'opera di decadente romanticismo, allegorica, girata con un perfetto tempismo delle inquadrature, ricche di pathos in più occasioni, che osserva attraverso la tarla ereditaria di Jacques come sia impossibile cambiare in qualsiasi modo il destino di una persona”.

(cinema.everyeye.it)

L’angelo del male (1938) è la traduzione cinematografica d’uno dei romanzi più pessimisti di Zola. Nonostante la fedeltà del regista al modello, il film mutò completamente il libro. In Zola il macchinista Lantier era vittima della fatalità fisiologica che pesava sulla sua famiglia, in Renoir viene spinto al delitto da “questa sporca vita”. Nell’opera di Renoir, in cui pure il dramma passionale occupa un posto importante, l’essenziale è la visione dell’uomo al lavoro. Il film vale soprattutto per il rigore documentario dei due viaggi da Parigi a Le Havre visti da una locomotiva. Veri capolavori di montaggio”.

(Da “Jean Renoir, un regista al Fronte (Popolare)

“Film di altissima tensione, che si inserisce in un clima di verismo "zoliano" tipico degli anni '30, diventa un'accurata e spietata analisi sociale, in cui emerge un pessimismo di fondo. La narrazione è preceduta da una lunghissima sequenza in cui il tratto Parigi-Le Havre è visto dalla locomotiva in corsa. Oltre all'interpretazione splendida di Gabin è centrata quella di Simone Simon che dà vita ad una Séverine viziosa e perfida, ma con una interiore innocenza primitiva”.

Film capolavoro di Jean Renoir, girato nel 1938 tra Le Havre e Parigi con un bianco e nero di grande efficacia espressiva. Di grande impatto significativo le cupe atmosfere degli esterni, che avvolgono come una misteriosa entità fantasmagorica buona parte dell'opera. Le fedeli riprese delle telecamere colorano il film di un triste presentimento. E' il preannuncio fatale dell'arrivo di un'oscurità apocalittica, di una catastrofe bellica senza precedenti, di un'immane tragedia che sconvolgerà a breve gran parte del mondo. Renoir in questo film si avvale di un linguaggio cinematografico in parte nuovo, in parte già collaudato dai noir americani degli anni '30. La forte novità di questo film consiste nell'aver proseguito con tenacia una felice sperimentazione intorno alla lingua cinematografica, cercando di tradurre, per lo schermo, aspetti del linguaggio letterario più vicino al naturalismo. Forse un po' a sorpresa o forse come conseguenza di uno straordinario e duro lavoro, con questa opera il regista francese ottiene risultati di insieme che saranno molto apprezzati sia dal pubblico che dalla critica. Renoir conquisterà gli spettatori e la critica soprattutto grazie alla capacità di creare, con particolare talento, una tensione scenica molto suggestiva ma mai illusoria, impregnata di attrazioni ipnotiche che portano ad accedere a un reale credibile, vettore di una penetrazione nel cuore dello spettatore senza eguali. Il film è animato in gran parte da una tensione spasmodica in cui è protagonista il vero. Una molla sempre carica, tesa, tenuta bene in equilibrio da oggetti familiari, immediatamente riconoscibili ma mai banali. La sceneggiatura non è mai debordante, ma sempre ben confinata nel binario sintattico di una narrativa che rimane per tutta la durata del film senza screpolature comunicative o sfilacciamenti iconici. Ciò in virtù di emozioni fortemente familiari anche se a volte stranianti, prodotte e confinate nel noto da un ricercato contrasto tra etica e trasgressione. Da queste ultime scaturiscono passioni irrefrenabili, anche violente, ben esplicitate dal racconto e prese in uno stile neutro che evita accuratamente giudizi moralistici. La messa in scena di congegni letterari estremamente innovativi e idonei ad esaltare meglio gli aspetti più passionali del racconto accentuerà il tono tragico del film che risulterà essere tra i più coinvolgenti di quel periodo. A ciò contribuì lo spirito di un'epoca ancora fortemente romantica, nota quindi per come prestasse attenzione alle questioni sociali e umane del proletariato e degli emarginati, ceti sociali questi ultimi spesso protagonisti di numerosi film di quel periodo. Renoir darà però alla pellicola un contenuto fortemente demistificatorio, da cui trapeleranno con chiarezza e per contrasto, oltre alle forme di romanticismo, forme di positivismo inedite: aspetti filosofici che caratterizzavano la storia europea del momento e che consentivano insperate trasparenze sulla reale natura dei personaggi.

Il film lascerà tutti stupefatti per la verosimiglianza dello stile narrativo con quanto di più prezioso appreso e vissuto nella letteratura di Emile Zola. Renoir per questo film prende spunto dal romanzo omonimo (1890) di Emile Zola, uno dei principali fondatori nella letteratura francese dello stile naturalista, uno stile che è una forma di linguaggio letterario nuovo, in buona misura ossessionato dal realismo e dalla verità fattuale. Il naturalismo a volte assumerà aspetti iperrealisti, molto accentuati, qualcosa che stupirà per l'originalità, il pathos, le invenzioni tecniche, e le emozioni dovute alle numerose verità di vita racchiuse nei contenuti delle opere. Il naturalismo appare subito slegato dalla solita immaginazione pregna d'interpretazioni, soggettiva, che lo scrittore usava mettere nel racconto sacrificando gran parte del reale. Nel nuovo stile l'autore s'impegna soprattutto nella descrizione minuziosa e fedele, altamente significativa e discorsiva, di quanto effettivamente accade nella realtà più viva. Una vera rivoluzione letteraria: ora lo scrittore deve limitarsi a scegliere un oggetto di studio che istruisca per quello che è, per ciò che nasconde ma che nello stesso tempo lascia apparire in superficie, e infine per ciò che vuole essere; qualcosa che riesca a ispirare l'artista coinvolgendolo in una scrittura di portata stilistica superiore, ossia priva dei noti elementi negativi, troppo fantasiosi, presenti nel proprio narcisismo dedito alla scrittura. L'autore tipico nel naturalismo osserva e ascolta, invisibile. Apprende ciò che accade nella realtà da lui stesso scelta sulla base di una consistenza espressiva. Egli registra pazientemente le conversazioni e le azioni dei personaggi, spesso proletari, da lui individuati e selezionati con cura, e lo fa quando essi sono partecipi significativi di realtà umane, come nelle relazioni di lavoro e nelle manifestazioni delle affettività più spontanee presenti nella vita quotidiana. L'autore riproduce tutte quelle situazioni, anche violente e brutali, che sono spesso dominate da scissioni psichiche note e meno note provenienti da questioni oggettive insite nella storia di ciascuno. Nel naturalismo l'interrogazione letteraria è dettata e assicurata dalla realtà stessa, nel senso che essa contiene già tutti gli elementi idonei a sostenere una trama di un certo interesse. Nulla aggiunge l'autore di suo, neanche un legittimo tentativo d'interpretazione: ipotetico o formulato enigmaticamente.

Questo stile letterario di marca francese influenzerà parte dell'Europa, compresa l'Italia. Nel nostro paese esso avrà una risonanza particolare ispirando grandi autori letterari. In Italia assumerà caratteristiche diverse da quelle francesi, perché il punto di vista dell'autore entrerà un po' più in gioco nella narrazione, facendo in qualche modo parte del racconto; lo scrittore, però, nel far ciò userà molto cautela e opterà sempre per uno stretto rapporto con l'esposizione dei fatti: veri protagonisti dell'opera e portatori dell'oggettività dei contenuti. Col passare del tempo il naturalismo in Europa prenderà diverse forme espressive, in Italia sarà denominato verismo e vedrà protagonisti Giovanni Verga, Luigi Capuana, Matilde Serao nonché altri illustri autori, in gran parte figli della grande tradizione letteraria siciliana e napoletana. Per il cinema italiano sarà Rossellini, con "Roma città aperta" e una serie eccezionali di film dell'immediato dopo guerra a dare forza e credibilità a uno stile che risulterà stretto parente del naturalismo: il neorealismo, che dominerà per anni il mondo dell'arte visiva e letteraria.

"L'angelo del male" è un film-studio che si cala nella dissociazione più profonda che caratterizza la psiche del proletariato francese d'inizio '900. Lantier, macchinista del treno Le Havre-Parigi, è affetto da una grave psicopatia alcolica eredita da padri e nonni. Il film non può sfuggire a forti metaforizzazioni create da dettagli scenici che suggeriscono verità di portata più vasta rispetto al racconto in sé. Significati logici e storici che qualsiasi opera letteraria o filmica in qualche modo rilascia. Renoir mostra con un certo pessimismo, acquisito dalle ombre del reale studiato, i propri dubbi sulle effettive capacità del proletariato di essere guida egemone, insieme ad altre classi, di un radicale cambiamento sociale ed etico. La schizofrenia che tormenta il macchinista e che lo porterà a uccidere in stato d'incoscienza diventa la metafora delle difficoltà della classe proletaria a proporsi autorevolmente come punto di riferimento etico, ossia come forza politica idonea a sostenere quella rivoluzione marxista a lungo caldeggiata da numerosi rappresentanti della cultura francese e mondiale di quel momento storico. Come dire che il proletariato nasconde suo malgrado, nel profondo, delle mostruosità. Uccidendo e amando le donne, Lantier dimostra la natura perversa della sua passione, un'abnormità però di cui non ha colpe. Il macchinista Lantier con i suoi gesti tragici dice come gli sia in qualche modo preclusa la soddisfazione di una vita piccolo-borghese. Quel sogno desiderante che da tempo lo anima e che passa per la classica identificazione con la vita della borghesia. Un sogno che il proletariato da sempre coltiva. Lantier deve fare i conti con quello che dal padre e dai nonni, proletari infelici, si è sedimentato negativamente nella sua mente; non può essere un rivoluzionario in grado di sovvertire l'etica borghese, perché la sua etica è scissa e la mancanza di unità lo porta a crisi d'identità spaventose, trascinandolo nel baratro dei fiumi di sangue delle rivoluzioni perdenti.

(Giordano Biagio)

Jean Gabin in LA BÊTE HUMAINE (L'angelo del male, Francia, 1938), regia di Jean Renoir

 

Una poesia al giorno

Lore Lay, di Heinrich Heine

Io non so che voglia dire
che son triste, così triste.
Un racconto d'altri tempi
nella mia memoria insiste.

Fresca è l'aria e l'ombra cala,
scorre il Reno quetamente;
sopra il monte raggia il sole
declinando all'occidente.

La bellissima fanciulla
sta lassù, mostra il tesoro
dei suoi splendidi gioielli,
liscia i suoi capelli d'oro.

Mentre il pettine maneggia,
canta, e il canto ha una malia
strana e forte che si effonde
con la dolce melodia.

Soffre e piange il barcaiolo,
e non sa che mal l'opprima,
più non vede scogli e rive,
fissi gli occhi ha su la cima.

Alla fine l'onda inghiotte
barcaiolo e barca... Ed ahi!
Questo ha fatto col suo canto
la fanciulla Lorelei.

 

Un fatto al giorno

6 maggio 1848: nel borgo di Santa Lucia nei pressi di Verona venne combattuta una cruenta battaglia tra i piemontesi di Carlo Alberto e gli austriaci di Radetzky con 182 morti (110 erano piemontesi) e circa un migliaio di feriti.
“Gli austriaci hanno 5 battaglioni del I Corpo fra Tomba e Santa Lucia, e 7 battaglioni fra San Massimo, Croce Bianca e Chievo; di questi 12 battaglioni, 9 sono in prima linea e 3 di rincalzo o riserva; altri 7 battaglioni presidiano la sinistra dell'Adige fino a Ponton, e 12 battaglioni si trovano in Verona. Indubbiamente la linea del «rideau» non è molto presidiata e da ciò forse l'illusione dell'alto Comando piemontese di non trovarvi una resistenza ad oltranza”... Leggi tutto: Battaglia di Santa Lucia

6 maggio 1848: battaglia di Santa Lucia

 

Una frase al giorno

“Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone”

(John Ernst Steinbeck, 1902-1968)

 

Un brano al giorno

Dalida in Mourir sur scène, extrait de l'album "Les p'tits mots" (1983)


 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org