L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
DE ILLUSIONIST (Il giardino delle illusioni, Olanda, 1983), regia di Jos Stelling. Sceneggiatura: Jos Stelling, Freek De Jonge. Fotografia: Theo Van De Sande. Montaggio: Ramko Haanstra. Musiche: Freek De Jonge, Willem Breukercon. Con Freek De Jonge, Jim Der Woude, Jim Van Der Woude, Gerard Thoolen.
Siamo in Olanda agli inizi del secolo: in un fatiscente mulino a vento, sito in una campagna desolata, vivono miseramente due fratelli occhialuti e svitati con la madre che s'ammazza di fatica per mandare avanti la baracca, arcigna ed impenetrabile, il padre buono a nulla e pronto a ridere di tutto, il nonno, un decrepito vecchietto paralizzato che nasconde morbosamente del denaro a cui la donna vorrebbe arrivare con astuzia. I due fratelli strampalati sono molto uniti fra loro, sono sempre insieme e il loro è un rapporto di complicità, di amore e di odio. Dopo aver assistito ad uno spettacolo di un modesto prestigiatore e della sua assistente, i cinque personaggi della storia sembrano cambiati: nuovi orizzonti si aprono per loro. Specialmente i due giovani pazzoidi rimangono colpiti; uno si sente attratto particolarmente dalla donna dell'artista e vuole seguire le orme dell'illusionista. Il fratello più disturbato mentalmente lo ostacola e, geloso, tenta di ucciderlo, compie parecchie stramberie per cui la gente del paese comincia a temerlo. La madre si vede quindi costretta a farlo internare in una clinica psichiatrica; il fratello, aspirante artista, rimasto solo, crede di poter così coronare il suo sogno di fama, Si reca in città, va dalla donna dell'illusionista, vorrebbe dichiarare la sua ammirazione, ma viene ridicolizzato dall'intera troupe di artisti. La madre giunge a riportarlo a casa; lo conduce però prima nella clinica psichiatrica dove c'è l'altro fratello malato che sembra migliorare. Nella casa di cura avvengono cose allucinanti: i pazienti vengono sottoposti da medici molto "strani" ad operazioni al cervello (lobotomia) che li rendono completamente incapaci di intendere e di volere. La madre e il fratello "sano" tornano a casa, trovano il padre che si è impiccato e il nonno che quasi non si è accorto di nulla. Il ragazzo, nel tentativo di ripetere un trucco dell'illusionista, uccide tragicamente la madre. Dopo questo fatto il mulino crolla e con esso tutto il mondo della strana famiglia. I due fratelli superstiti non trovano però ancora pace poiché uno dei due uccide l'altro addentrandosi sempre più in un'atmosfera di sogno e di incubo in cui la follia domina sovrana.
“Presentato al Festival di Taormina di due anni fa, Il giardino delle illusioni (De Illusionist) è un singolare film olandese diretto da Jos Stelling e interpretato da Freek De Jonge, coautore della sceneggiatura senza dialoghi. Apparentemente muto, quindi, ma con musica di Willem Breuker, il film mette a fuoco le nevrosi di una famiglia che avrebbe potuto suggerire le note tesi della scuola di Tavistock sulla follia e sulla famiglia.
L'illusionista vive in un vecchio mulino abbandonato col nonno, i genitori e un fratello malato di nervi che colleziona mosche e suona l'armonica. La madre fa rinchiudere il fratello in una clinica psichiatrica e lui va alla ricerca del fratello che sembra dover essere sottoposto a lobotomia. Nella sua mente c'è anche l'immagine e il fascino di una ballerina che si è esibita in paese, e quindi il suo itinerario affettivo è doppio. Il piccolo mondo del mulino sullo stagno è sconvolto dal suicidio del padre. Il nonno avaro viene rinchiuso in un ospizio, la madre autoritaria regna sovrana, ma alla fine l'illusionista trova il fratello e la ballerina in una vicenda però che si svolge tra realtà e illusione. Ciò che sembra non sempre è, e tocca allo spettatore l'interpretazione di questo piccolo poema visivo realizzato da Jos Stelling con ironia e umorismo. Molto si deve a Freek De Jonge, lo spilungone e allampanato che con la mimica riesce a esprimere gli umori e i sentimenti del protagonista, alla fotografia di Theo Van De Sande e al montaggio di Rimko Haanstra. Il regista Jos Stelling dal canto suo è riuscito ad imprimere al racconto un incalzante ritmo, amalgamando in maniera originale le scene di teatro con primi piani e piani americani. E tutto viene narrato senza una parola, ma con smorfie, sorrisi, rumori e musiche sapientemente cadenzati dalla regia di Jos Stelling. Il cinema olandese, noto in Italia per film quali "Kitty Tippel", "Il fiore di carne" o il recente "Il quarto uomo", mostra con Il giardino delle illusioni, vincitore del Premio Agis-Bnl 1984, come si possa illustrare con intelligenza e allegria il dramma di una famiglia repressiva. Concorrono alla riuscita del film i costumi di Hella De Jonge, la scenografia di Gert Brinker, e gli attori: Jim Van der Wonde (il fratello), Catrien Wolthuizen (la madre), Gerard Thoolen (il padre), Carel Lapere (il nonno)”.
(R.F. - La Repubblica)
“Non è il timore della pazzia che ci costringerà a lasciare a mezz’asta il vessillo dell’immaginazione”. A sessant’anni dal Manifesto del surrealismo, la premessa di André Breton viene rinnovata dall’olandese Joe Stelling con un film doppiamente sorprendente: perché non soltanto di grande stravaganza concettuale e formale ma anche mille miglia lontano da quel Marika degli Inferni con cui Stelling esordì nel 1974. La sua predisposizione al cinema in costume, che per raccontare una storia di diavoli e di streghe lo aveva indotto a un linguaggio in cui assommava il realismo fiammingo e il fantastico delirante, ha infatti ceduto il passo al gusto del travestimento anche mentale e di uno stile, per dir così, tutto onirico che ora non abbisogna più della parola per evocare un universo di magie. Il film è dunque un film muto (ma con una ricca colonna sonora che tenta di tradurre in visione i percorsi dell’inconscio, una fiaba di gesti e di luoghi immaginari che rifiuta ogni ragionevolezza, se non quella del nonsense, ma perciò provocante. E come tale non discara a chi si abbandoni ai piaceri del fantastico... Film sulle apparenze e su come il cinema e teatro possano manovrarle si sforza di farci raggiungere il nucleo emotivo, le radici e la molla, di ogni spettacolo in cui coincidono narcisismo e rappresentazione del sogno...”
(Giovanni Grazzini)
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Una poesia al giorno
Do not go gentle into that good night, di Dylan Thomas
Non andartene docile in quella buona notte,
I vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno;
Infuria, infuria, contro il morire della luce.
Benché i saggi conoscano alla fine che la tenebra è giusta
Perché dalle loro parole non diramarono fulmini
Non se ne vanno docili in quella buona notte,
I probi, con l'ultima onda, gridando quanto splendide
Le loro deboli gesta danzerebbero in una verde baia,
S'infuriano, s'infuriano contro il morire della luce.
Gli impulsivi che il sole presero al volo e cantarono,
Troppo tardi imparando d'averne afflitto il cammino,
Non se ne vanno docili in quella buona notte.
Gli austeri, prossimi alla morte, con cieca vista accorgendosi
Che occhi spenti potevano brillare come meteore e gioire,
S'infuriano, s'infuriano contro il morire della luce.
E tu, padre mio, là sulla triste altura maledicimi,
Benedicimi, ora, con le tue lacrime furiose, te ne prego.
Non andartene docile in quella buona notte.
Infuriati, infuriati contro il morire della luce
- Dylan Thomas legge: "Do Not Go Gentle Into That Good Night"
Un fatto al giorno
Cettinje, 9 maggio 1911: una giovane ragazza, il cui nome di battesimo corrisponde a quello della pulzella d’Orleans - Jeanne d’Arc - viene cantata nelle liriche dei rapsodi Montenegrini, in locande e caffetterie di Podgorica. Quando nella battaglia di Vranina (Vranje), una settimana prima, suo padre, il comandante ereditario della sua stirpe, cadde, lei prese il suo posto e portò i Martinaj alla vittoria contro i Turchi. Al di là della parte romantica di questa faccenda, ammesso che Yanizza Martinaj è molto bella, la battaglia fu importante perché i Montenegrini della frontiera si unirono agli Albanesi. Secondo una persona che la conosceva, questa novella Giovanna D’Arco non aveva ancora 22 anni, ed era “una giovane donna alta, bella e ben formata. Tutte le donne albanesi sono coraggiose e allenate sin dalla loro adolescenza ad usare armi da fuoco e, in tempo di guerra, in assenza di muli, si caricano sulle spalle le provviste e le munizioni per i loro soldati e vanno a distribuirle in prima linea, venendo spesso uccise. Probabilmente Yanizza ha portato un fucile dei Martinaj; oppure, dato che molti di quelli dei Martinaj sono stati confiscati l’anno precedente dai Turchi, la sua arma dovrebbe essere stata forse tra i più vecchi modelli albanesi, decorati profumatamente d’argento e con una canna molto lunga e stretta. Sparare è quasi l’unico divertimento di uomini e donne di giovane età in Albania. Entrambi ragazze e ragazzi imparano a tirare a 12 anni. Ai matrimoni i partecipanti si divertono ballando e sparando, e anche in occasione delle nuove nascite tirare con armi da fuoco rimane il divertimento principale - colpire l’obiettivo per qualche piccolo trofeo - e alle festività ci sono spari per tutto il giorno. Questa è una delle maggiori difficoltà che i Turchi devono affrontare, perché ciò fa parte della vita nazionale; la gente usa i propri fucili di giorno e ci dorme accanto la notte. L’usanza è cresciuta col prevalere dell’insicurezza a causa delle vendette interne al paese e dei problemi di confine fuori paese.”
“Fisicamente gli Albanesi sono la razza più aggraziata in Europa. Le loro donne sono belle, con capelli scuri, anche se i loro occhi sono spesso grigi. Vederle camminare è una delizia. A noi piace vedere il ballo in Serbia. La prima volta che vidi camminare una Albanese mi diede lo stesso tipo di piacere. I loro movimenti sono così graziosi: eleganti e forti allo stesso tempo. Sì, sono una razza molto fine e molto dotata. Sono come gli Scozzesi del diciassettesimo secolo e saranno via via la razza più raffinata dei Balcani, sia intellettualmente che fisicamente. Se vai a Costantinopoli troverai che molti degli uomini più distinti, non solo soldati ma anche statisti, sono Albanesi. Il loro difetto, dato il loro attuale livello di civilizzazione, è che non afferrano l’idea di Stato. Il clan è la loro più alta forma di organizzazione, non riescono a vedere l’importanza del combinare il clan con una più sviluppata organizzazione per la costruzione di uno Stato. Ma ci arriveranno.” L’articolo pubblicato il 9 maggio del 1911 dal New York Times, rappresenta un pezzo della storia degli albanesi al tempo delle insurrezioni contro quel che rimaneva dell’Impero Ottomano e per la causa di riunificazione dei territori nazionali. Vi è inoltre un importante aspetto descrittivo che riprende la natura epica e la vita sociale di una nazione che nascerà da lì a un anno; nel 1912. Ancora più importante è la rincarnazione di una Giovanna d’Arco, come parte essenziale del ruolo della donna nella storia della nazionale albanese”.
Una frase al giorno
“Chi maneggia il miele si lecca le dita”, proverbio di anonimo
Un brano al giorno
Elisabeth Schwarzkopf in: "Mi tradì quell'alma ingrata”, da Don Giovanni, di Wolfgang Amadeus Mozart. Wiener Philharmoniker, Wilhelm Furtwängler, direttore
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
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web www.brusaporco.org