Estate del '44, Roma viveva sotto l'incubo dei soldati tedeschi, rastrellamenti quotidiani seminavano il panico nelle famiglie, era difficile incontrare giovani per le strade. A dieci anni potevo muovermi facilmente, ma, incurante degli avvertimenti di mia madre e di nonna Caterina. sfidavo con incoscienza quanto i tedeschi e i repubblichini giornalmente imponevano, tra cui il coprifuoco serale.
Quel giorno mi allontanai da casa. volevo arrivare all'oratorio di S. Pietro per trovare compagni e giocare con loro, quando all'improvviso giunse la sera, mi guardai intorno, molti amici erano andati via dato l'imminente coprifuoco.
Preso dall'ansia e dal timore mi diressi con passo celere verso casa. Davanti mi passò una camionetta carica di militari repubblichini armati che a distanza regolare venivano fatti scendere e scaglionati lungo la via Aurelia per iniziare il servizio di coprifuoco. Il primo milite che incontrai lungo la salita dell'Aurelia mi gridò di correre a casa, mancavano pochi minuti al coprifuoco, cosi anche il secondo. Correvo affannato, il cuore mi batteva in gola, mi appoggiai ad un portone per riprendere fiato mentre lontano una raffica di mitra squarciava il silenzio della sera.
All’improvviso, alle mie spalle si aprì un portoncino, mentre una voce con tono sommesso mi diceva di entrare rapidamente. Impaurito, mi trovai in una stanza con due persone, un uomo e una donna, che mi dissero di stare tranquillo e che mi avrebbero aiutato a ritornare a casa, dal momento che non era possibile per me tornare da solo. Lui era un medico e aveva il permesso di muoversi anche con il coprifuoco. Mi chiese l'indirizzo, saputo il mio nome volle sapere se mia madre fosse infermiera e alla mia risposta affermativa non aggiunse altro, sicuramente la conosceva. Ero agitato per i miei famigliari, mi sentivo in colpa.
Il medico si preparò per uscire, dietro casa nel piccolo cortile aveva una "Balilla" con i parafanghi imbiancati e il segno della Croce Rossa agli sportelli. Salendo in macchina, ricordo che il medico mi impose di stare sdraiato nel sedile posteriore, dovevo fingere di stare male, non dovevo rispondere se qualcuno mi interrogava. Solo un milite volle vedermi, forse la paura mi faceva tremare al punto da sembrare in preda alla febbre, così tutto finì nel migliore dei modi.
Non dimenticherò i ringraziamenti di nonna e la gioia delle mie sorelle, avevano sentito i colpi di mitra e avevano presagito il peggio. Il giorno dopo mia madre andò a ringraziare il medico e sua moglie, riconobbe in lui un medico che nel passato era stato nel suo padiglione al Policlinico Umberto I, fu un incontro commovente.
Anni dopo chiesi di quel medico a mia madre e seppi che era deceduto mentre dormiva. Oggi la chiamano la "morte dei giusti", mai definizione fu più appropriata. Grazie dottore per quella sera...
INFORMAZIONI
Marino Giorgetti
Gruppo Archeologico DLF Roma
Presidente Coordinatore Nazionale dei Gruppi Archeologici DLF
Cell. 338 9145283
e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.