La cattura di Nonna Caterina - L'inverno del 1943 fu molto freddo, ci colse senza mezzi per affrontarlo, specialmente nella nostra casa in prevalenza di legno, con una sola stuoia di carta catramata che a stento ci riparava dalla pioggia.
Mancava il carbone e lo scaldino nelle notti fredde poco faceva, erano i nostri corpi a darci quel poco di calore: le tre sorelle erano strette l'una all'altra, io mi riscaldavo in posizione fetale addossato al corpo di mia madre. Ricordo che attendevo con ansia, mentre le mie sorelle già dormivano, che mamma finisse di studiare. Era in un angolo semibuio della camera appena rischiarato dal lume di candela e spesso la sentivo bisbigliare, ripetere alcuni brani; poi quando anche lei, stanca per la laboriosa giornata, veniva a letto, mi stringevo a lei, il freddo era passato, prendevo subito sonno. Delle volte il ticchettio della pioggia sulle tegole antiche mi cullava invitando al sonno, erano le notti di servizio di mia madre in Ospedale, notti per me interminabili, lunghe notti senza dormire, solo sonnecchiare, pensavo a mia madre intenta al lavoro, era finito il tempo del sogno dei Bigi, la realtà si era capovolta. In quelle circostanze, con il freddo pungente, con la mancanza di carbone e spesso anche di legna, l'unica soluzione era quella indicata da nonna Caterina, fare una visita a Villa Pacelli, posta a 500 metri da casa nostra all'altezza dell'Ospedale S. Carlo.
L'entrata ufficiale era sulla Via Aurelia, mentre il retro della Villa si affacciava sulla Valle dell'Inferno, chiamata così per via delle fornaci sempre in funzione notte e giorno fin dai tempi dell'antica Roma, le cui ciminiere eruttavano un fumo nero, acre, ininterrottamente. Ma, in quell'inverno la Villa era stata sequestrata per Galeazzo Ciano, il genero del Duce, così diceva la gente, e la sorveglianza era forte, effettuata da pattuglie fasciste e dalle famigerate SS. Noi ragazzi eravamo riusciti ad aprirci un varco nella rete, ben nascosto dai cespugli, lato Valle dell'Inferno, era l'unico mezzo per entrare di soppiatto nella villa e procurarci la legna per cucinare e riscaldarci. lo con altri ragazzi della mia età (9/10 anni circa), montavamo di guardia, mentre sei, sette donne, in prevalenza anziane, provvedevano velocemente a raccogliere più legna possibile, ma tale da essere trasportata rapidamente.
Quello che preoccupava tutti noi erano i cani lupo delle SS, solo a guardarli incutevano paura. Ma, fino ad allora, tutto era andato bene e senza problemi, la pioggia spesso ci aiutava, era il momento che la sorveglianza rallentava e i cani lupo forse perdevano il fiuto. O forse era il buon Dio che ci aiutava. Prendevamo la Villa alle spalle facendo un largo giro, mentre per il ritorno facevamo una scorciatoia molto accidentata ma sicura. Il ritorno si percorreva isolatamente, ad esempio io e mia nonna; in caso di pericolo si abbandonava la legna, che si recuperava il giorno successivo.
Come ho detto, il gruppo era composto da donne anziane e da noi ragazzi. Pensavamo che, nel caso fossimo stati scoperti, trattandosi di donne e bambini ci avrebbero lasciato andare e poi, per poche frasche di legna per lo più bagnata, questo ci dava anche l'ardire di osare.
Seguivo mia nonna come un'ombra, spesso alternandoci alla guida, sempre attenti a non fare troppo rumore e muovendoci in silenzio, bastava un segno per comprenderci, ma, quel giorno sembrò tutto andare storto. Contrariamente al solito, non me la sentivo di fare da scorta a mia nonna nel “giorno della legna", non le avevo mai disubbidito, mai ero stato ripreso da lei, non so cosa mi prese, preferivo lavorare la creta, preparavo i personaggi per il presepe, dicembre era vicino. Al contrario dei giorni precedenti, la giornata era soleggiata. Trascorse un tempo indefinito, il pensiero di nonna senza di me non mi dava tregua, ero teso. All'improvviso sentii grida indistinte, poi un clamore che andava crescendo proveniente dalla strada, istintivamente gridai "Nonna!" e così, gridando ripetutamente, corsi verso l'Aurelia. Un gruppo di persone occupava l'imbocco della strada, mi feci largo tra le gambe degli adulti e vidi finalmente la scena, una colonna di civili, tra cui mia nonna, scendeva lentamente lungo l’Aurelia, circondata dalle SS armate fino ai denti, con i loro cani alla catena. Come un fulmine ritornai di corsa a casa, aprii il cassetto del tavolo, presi un grosso coltello e brandendolo, gridando "Nonna, Nonna", rifeci la strada, ma le persone mi impedivano di vedere; gridando cercavo di aprirmi un varco, volevo salvare mia nonna, mi sentii sollevare di peso ed una mano mi coprì la bocca, impedendomi di gridare; sentii sussurrarmi all’orecchio che mia nonna il giorno dopo sarebbe ritornata a casa: era una delle guardie in borghese del palazzo rosso che conoscevo bene. Terrorizzato guardavo il drappello allontanarsi lungo la salita verso il Vaticano, poi sparire inghiottito dalla discesa. Mi lasciarono libero e piangente. Mi allontanai da tutti e, pieno di rimorsi, angosciato, seduto su di una masso cercavo di capire, tutto era confuso nella mia mente.
Passarono due giorni di inferno, la gente del vicinato cercava di confortarci, ci aiutava anche materialmente. Mia madre prese una decisione, andare dall'unica persona che contava e che tutti reputavano un uomo onesto e generoso: l'ingegnere….. che ricopriva anche una carica nel partito fascista e abitava in una palazzina a 100 metri da noi sull'Aurelia. Nostra madre, come usava allora quando si usciva, ci vestì come in un giorno festivo, puliti e ordinati, noi quattro per mano e con mamma al centro, andammo a casa dell'ingegnere. Per motivi di lavoro conosceva mio padre, ascoltò quanto era accaduto, ma già ne era al corrente, e promise a noi tutti che avrebbe fatto tutto quanto gli era possibile per far ritornare a casa nonna Caterina.
Il tempo sembrava interminabile, mi sentivo responsabile di quanto accaduto, se quel giorno fossi stato con lei avrei fatto in tempo ad avvisare tutti, come sempre, e nulla sarebbe successo. Nella mente si accavallavano propositi assurdi, mi volevo uccidere, non volevo vedere nessuno né mangiare, quel giorno di angoscia fu interminabile. La notte la passai in preda ad incubi, vedevo la nonna torturata e uccisa dai tedeschi, lei mi chiamava ed io ero impossibilitato a muovermi. Poi quasi delirando, credendomi ancora preda di un incubo, sentii la voce di nonna che mi chiamava dolcemente mentre mi accarezzava la fronte madida di sudore, mentre mi baciava sulla guancia aprii gli occhi e capii che tutto era vero: nonna era tornata, non era un sogno! L'abbracciai strettamente, contendendola alle mie sorelle, mentre mia madre in un angolo piangeva in silenzio.
INFORMAZIONI
Marino Giorgetti
Gruppo Archeologico DLF Roma
Presidente Coordinatore Nazionale dei Gruppi Archeologici DLF
Cell. 338 9145283
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