Benvenuti a BLOG RADIO PODCAST di Quello di Arte. Di tutte le tecniche artistiche sicuramente il mosaico ha una identità discreta. Una pratica artistica in cui ogni opera è il frutto di una lenta elaborazione, per non dire meditazione, e di un cammino che ha principio nelle “arti minori”, un vero artigianato, che a un certo punto si affranca da questa origine e, come simbolo del messaggio divino, arriva ad essere portatore di un messaggio evangelico.
La storia del mosaico inizia 5000 anni fa in Mesopotamia quando i Sumeri, per difendere dalle intemperie le murature cittadine, costruite con mattoni crudi, di argilla e paglia, le rivestirono utilizzando ciottoli e piccoli coni di argilla smaltati, conficcati nella malta fresca. Nelle mitiche città di Ur e Uruk, le pareti erano decorate con uno stile geometrico e una gamma di colori molto limitata: bianco, nero, ocra e rosso.
La tecnica fu tanto apprezzata per la sua resistenza che in tutta la Mezzaluna Fertile si adoperò anche per compattare i polverosi pavimenti in terra battuta dei palazzi. Così il mosaico divenne presto una decorazione pavimentale e rimase lì a terra per quasi tutto il mondo antico.
Tra il V e il IV secolo a.C., nella Grecia classica, i mosaici pavimentali erano composti da sassolini, si chiamavano lithostrotos e il momento più alto di questa tecnica fu raggiunto in Macedonia, a Pella, la città in cui era nato Alessandro Magno. Proprio da Pella giunge il più antico nome di mosaicista, si chiamava Gnosis e lui, come molti suoi concittadini realizzavano mosaici figurati: le pietre erano incastonate in sottile lamine di piombo che valorizzano il disegno allo stesso modo di come saranno evidenziati i contorni nelle vetrate delle cattedrali gotiche.
In Grecia la tecnica prese forme ben diverse da come veniva usata anticamente. Dal IV secolo a.C. si iniziarono a usare tessere squadrate di pietra. La moda era di realizzare pavimenti decorati a motivi geometrici, dai ritmi semplici, a volte labirintici, interrotti solo all'aprirsi degli èmblema, pannelli di dimensioni ridotte che rappresentavano soggetti narrativi, storici e mitologici, realizzati con tessere minute, a volte non più grandi di qualche millimetro, che permettevano effetti pittorici veri e propri.
Plinio il Vecchio ricorda che uno dei più raffinati autori era Sosos di Pergamo (II secolo a.C.), inventore dell'Asarotos Oikos, della “stanza non spazzata”, il pavimento preferito dalle botteghe con scarsa pulizia; e delle Colombe alla fontana. Due temi avranno il loro fortunato seguito nella Roma antica.
A Roma il mosaico prende piede prima della pittura, già dal III sec. a.C., grazie agli scambi commerciali verso la Grecia e l’Egitto. I romani fecero propria la tecnica riuscirono a determinare un proprio stile di motivi geometrici, arabeschi, vegetazione stilizzata e figure stereotipate.
Il mosaico inizialmente era considerato una decorazione di lusso ma con il passare del tempo si iniziò ad usare anche nei luoghi pubblici, come le terme e nelle abitazioni meno importanti. La grande richiesta portò a tantissime varianti: i pavimenti in bianco e nero di età adrianea come nel caseggiato di Bacco e Arianna a Ostia antica (II sec.); i sectilia o tarsie che decoravano edifici importanti come la basilica di Giunio Basso (IV sec.); i mosaici colorati dei maestri nordafricani che tingevano pavimenti della Villa romana del Casale a Piazza Armerina in Sicilia.
La tecnica del mosaico è al limite con la decorazione pittorica perché legata, sì, alla policromia dei marmi, ma essa si avvaleva soprattutto degli scarti di lavorazione che in territorio romano non mancavano e provenivano anche dai confini più remoti dell’impero.
Con il declino dell’impero romano emerse la cultura Paleocristiana che aveva trovato nel mosaico il simbolo della propria fede. Non era più solo un mero discorso tecnico, la bellezza del mosaico risiedeva proprio nel fatto che il disegno, composto da tante tessere, era la metafora del Creato. Il mondo, così com'è visto nella cristianità è vissuto da tante creature che prese singolarmente non hanno importanza, ma tutte insieme, viste nella loro unità rispecchiano il disegno divino.
Nel mondo Paleocristiano e poi in quello imperiale Bizantino, il mosaico ritrova la sua collocazione fissa sulle pareti. Diventa l’immagine del racconto di scene edificanti come nei biblia pauperum, le bibbie dei poveri.
A Ravenna, in territorio Bizantino, la tecnica arriva al suo massimo, perché mette da parte la pietra, utilizzata da millenni, e usa la pasta vitrea. Il vetro colorato dava la possibilità di miscelare i colori in un'infinità di tinte. In più le tessere di vetro trasparente venivano foderate, per il lato rivolto verso la parete, da lamine d’oro o di argento che contribuivano a diffondere la luce nei punti più importanti del disegno.
Con il mosaico bizantino la luce non era solo “rappresentata” nell’opera, ma si manifestava nel riflesso, era luce vera; la luce nel cristianesimo è la salvezza, è Dio. Così la tecnica completa il suo percorso elevandosi dalla terra fino alle più alte decorazioni che non solo rappresentano l'immagine di Dio ma ne trasmettono anche la sua stessa essenza.
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Un saluto da Michelangelo Mammoliti
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Michelangelo Mammoliti è nato a Roma il 23 novembre 1975. E' insegnante di disegno e storia dell’arte dal 2004 nei licei scientifici. Laureato presso Accademia di Belle Arti, è anche disegnatore e grafico. Appassionato di fumetti, giochi da tavolo e di ruolo, vive a Roma, è sposato e ha due figli.
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Michelangelo Mammoliti
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