Assisi, era il 1290. Giotto, ventitreenne iniziava a dipingere le storie della basilica superiore di Assisi. Accanto a lui dipinti dei più grandi artisti del Duecento come Cavallini, Cimabue, Simone Martini, e tanti altri. Nel pittore c’è la grande responsabilità di confrontarsi con la vita di San Francesco.
Un incontro straordinario perché il Poverello era scomparso nel 1226 e aveva lasciato il ricordo vivo delle persone che lo avevano conosciuto e che a breve avrebbero ammirato gli affreschi. Giotto non affonda il pennello solo nella sapienza della tecnica ma anche nella memoria di una cittadina che aveva avuto il privilegio vedere nelle opere San Francesco.
San Francesco
Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e ‘honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli che ‘l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali; beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male.
Laudate et benedicete mi’ Signore’ et ringratiate et serviateli cum grande humilitate.
Quando parlo di Giotto mi piace soffermarmi un attimo sulla lettura del Cantico delle Creature o il Canto di Frate Sole. Vorrei solo evidenziare alcuni passaggi utili per comprendere il messaggio della “Rinuncia agli Averi”, il principio attivo della predica di San Francesco che riverbera nell’intero ciclo dipinto da Giotto. Nella lettura dell’opera dell’artista è un segnale importante di uno di più affascinanti punti di svolta dell’arte italiana e probabilmente un primo segnale che l’arte del rinascimento si stava facendo strada.
Il cantico inizia con la lode al Signore, per poi proseguire ringraziando il creato. Per primo Francesco loda Dio per lo frate sole, poi per sora luna e le stelle, poi frate vento, sora aqua, frate focu, sora nostra matre terra. Dopo è il turno degli uomini misericordiosi, quelli che perdonano per lo tuo amore. Alla fine, ed è il caso di dirlo, loda il signore par sora nostra morte corporale.
Francesco nel Cantico, ci prende e ci guida non verso il signore, verso l’alto, ma opera una discesa e ci riporta a terra. Non parte dalla morte e sale verso Dio ma fa proprio il percorso contrario offrendoci come il fine della preghiera non è l’ascesi ma la bellezza di vivere nel mondo che è immagine di Dio.
La necessità del Santo è di riportare la Chiesa e la ecclesia, i fedeli, a vivere la fede nella quotidianità, nelle azioni, nelle opere e nella povertà. Forse, ed è una riflessione personale, stava vedendo già una società consumistica e liberandosi dai beni terreni non ne ha voluto far parte.
Giotto
Quando restituì al padre ogni cosa e, deposte le vesti, rinunciò ai beni paterni e temporali, dicendo: «Di qui in avanti posso dire con certezza: - Padre nostro che sei nei cieli -, poiché Pietro di Bernardone m’ha ripudiato.
(San Bonaventura da Bagnoregio, Leggenda maior)
Giotto riassume questo momento nel pannello della Rinuncia agli averi e mette in competizione due mondi. A sinistra la società civile di cui il capofila è Bernardone, il padre del Santo. Dietro al mercante i familiari e i borghesi più illustri della città arricchiti dalle architetture civili che si confrontano, nella parte opposta dell’affresco, con gli edifici sacri che fanno da quinta a Francesco e tre chierici alle sue spalle.
In alto sporge dal cielo la mano di Dio padre verso la quale il santo rivolge la sua preghiera perché adesso il signore è suo padre.
La lettura è semplice fino a questo punto e forse anche un po’ leziosa, così per complicare e rendere la cosa più interessante aggiungiamo una chiave di lettura che ci dà Cennino Cennini nel Libro dell’Arte:
Giotto rimutò l’arte del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno; ed ebbe l’arte più compiuta che avessi mai più nessuno.
La citazione è faziosa perché chi scrive è un allievo di una linea di artisti e botteghe che parte proprio da Giotto, passa per Taddeo e Agnolo Gaddi e quindi arriva a Cennino che, come discendente, quando presenta il suo trattato di pittura, esibisce il pedigree nobilitando le sue origini nell’artista che ha aperto lo sguardo al moderno.
Nella lettura di Cennini essere moderno significava superare il modo di fare arte, non più alla “greca” - che più a ragione dovrebbe essere letto alla bizantina - per guardare invece verso un’arte più “latina”, ovvero di Roma Antica.
L’antico si riunisce nel moderno. Si trovano i prototipi della nuova arte nelle forme degli scultori greci, di quelli romani che avevano saputo rendere l’identità degli uomini più illustri della propria epoca investendo nel naturalismo, nel senso di realtà che non considerava il mondo bello ideale ma concreto, ricco di imperfezioni degne di essere riprodotte.
Giotto nel ciclo di Assisi non dipinge il santo com’era in uso nei canoni delle icone bizantine cioè senza semplificarlo nella perfezione della geometria, senza estraniarlo in un paesaggio completamente dorato privo di profondità; al contrario gli offre un’identità fisica, in uno spazio prospettico dominato dal blu o del cielo. Un colore, il blu, che avrà sempre più estensione nei quadri rinascimentali come alternativa proprio all’oro medievale.
La rinuncia agli averi
Nella legenda maior papà Bernardone incontra il figlio Francesco e qui Giotto si carica nel racconto delle discendenze: padre e figlio; chiesa e predica francescana; gotico e moderno.
Bernardone è paludato in un vestito d’oro. Sembra quasi portare l’araldo dell’arte bizantina come gli sfondi dorati che catturano l’attenzione nell’icona sacra esposta. Francesco invece è nudo e la sua nudità ha un doppio effetto, direttamente esaspera la fisicità del santo descrivendone la muscolatura e le volumetrie, di riflesso rende ancora più piatta la figura del padre. Piccola nota da non sottovalutare, la veste che gli copre i fianchi è blu. Giotto è l’uomo rinato nel moderno.
Padre e figlio, l’uomo e il santo, sono per chi guarda l’opera di Giotto de la rinuncia agli averi, i segni del suo cambiamento. Bernardone è il rappresentante dell’arte greca-bizantina che resta ferma coi suoi fasti in un mondo ormai antico; Francesco è l’uomo moderno, che volge lo sguardo alla storia umana andando avanti, che prende identità fisica col mondo e e in questo legame si emancipa nel creato, nella fede e nell’arte.
Un saluto da Michelangelo Mammoliti
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Michelangelo Mammoliti è nato a Roma il 23 novembre 1975. E' insegnante di disegno e storia dell’arte dal 2004 nei licei scientifici. Laureato presso Accademia di Belle Arti, è anche disegnatore e grafico. Appassionato di fumetti, giochi da tavolo e di ruolo, vive a Roma, è sposato e ha due figli.
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Michelangelo Mammoliti
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