Settimana della Memoria

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Roma, sabato 28 gennaio 2023ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia - Sezione Nomentano Italia propone la visione di VENTO DI PRIMAVERA, un film di Rose Bosch, del 2010, il primo di una tetralogia dedicata alla Settimana della Memoria della Shoah. L’appuntamento è a Roma, sabato 28 gennaio, alle ore 20.30, a Via Catanzaro 3.

VENTO DI PRIMAVERA

Titolo originale: La Rafle. Regia di Rose Bosch. Con Jean Reno, Mélanie Laurent, Gad Elmaleh. Genere Drammatico. Francia, Germania, Ungheria, 2010, durata 115 minuti.

 

Recensione di Giancarlo Zappoli, su MYmovies

FATTI CHE IL CINEMA FRANCESE NON HA MAI AFFRONTATO CON TANTA FORZA.

Estate 1942. Dopo l'invasione da parte delle truppe della Germania hitleriana gli ebrei sono stati prima obbligati a portare la Stella di David sugli indumenti, e poi sono stati progressivamente esautorati dai loro impieghi e impediti ad accedere a scuole e luoghi pubblici. Ma ora Hitler ha deciso di procedere allo sterminio di massa e vuole che il governo collaborazionista insediato a Vichy gli procuri dalla sola Parigi almeno 20.000 dei 25.000 ebrei residenti. I suddetti verranno dapprima condotti in campi di raccolta in territorio francese e poi, una volta ultimati i lavori per i forni crematori nei lager, avviati a morire. Il maresciallo Pétain aderisce senza difficoltà alla richiesta e la notte del 16 luglio (i tedeschi avevano chiesto il 14 dimenticando la festa nazionale) la retata si svolge. Tredicimila uomini, donne e bambini ebrei vengono prelevati dalle loro abitazioni e portati nel Vélodromo d'Hiver, prima tappa del loro calvario.

Il punto di vista che il film assume è quello di alcuni bambini che vivono nel quartiere di Montmartre e, in particolare quello del decenne Joseph.

Non è storia antica e la regista Rose Bosch è riuscita nell'intento di farcela percepire come purtroppo attuale. Intendiamoci: tutto è filologicamente coerente con l'epoca con cui si sono svolti i fatti. Fatti che il cinema francese non aveva mai affrontato con tanta precisa e documentata forza se non in un documentario televisivo e che ora riemergono come memoria del passato ma anche come monito sul presente.

La Bosch lavora su una tripartizione narrativa. Da un lato Hitler nel suo buen retiro del Berghof, dall'altro Pétain, Laval e i loro accoliti e, nel mezzo, le famiglie ebraiche colte nella loro quotidianità all'interno della quale sono stati inoculati ad arte (anche grazie al media più diffuso all'epoca, la radio) i germi del più irrazionale ma efficace disprezzo per l'altro. Alimentandolo con la ripetizione delle menzogne in modo da assuefare le menti all'idea della 'normalità' dell'emarginazione. Il film non accusa 'i francesi' tout court e anzi sottolinea il fatto che se dei 25.000 ebrei 12.000 sono sfuggiti alla retata lo si deve a parigini che li hanno aiutati mettendo a repentaglio la propria esistenza. Ma resta comunque impressa nelle retine la gestione dell'intera operazione da parte di uomini che non indossano le divise delle SS o della Wehrmacht ma quelle delle forze dell'ordine e militari francesi. Allora per quegli sguardi infantili diventa ancor più difficile anche solo tentare di darsi una spiegazione di quanto accade. Così quando si assiste alle scene delle migliaia di esseri umani ammassati con pochissime cure e senz'acqua nel Velodromo non possono non tornare alla mente le immagini dello stadio di Santiago del Cile dopo il colpo di stato di Pinochet.

Ma c'è un momento in cui si percepisce lo iato che si è insediato tra realtà e pregiudizio. Quando il dottor Sheinbaum (interpretato da un Jean Reno in cui solidità fisica e morale formano un tutt'uno) grida dinanzi all'ennesimo sopruso: "Non ne avete il diritto!" è la coscienza civile, è un'umanità vinta ma non piegata, è la Ragione che grida con lui. Ma in quello stesso istante lo spettatore 'sente' che si tratta di un appello irricevibile da chi sta dall'altra parte. Una parte per la quale la parola diritto ha perso qualsiasi valore, qualsiasi possibilità di confronto in cui essa torni a individuare un senso che sia davvero comune.

Chiediamoci se questo svuotamento di significati fondamentali non abbia trovato anche nella nostra società contemporanea una sua consistenza. Chiediamocelo riflettendo sulla risposta che ci siamo dati e ringraziando questo film per avere suggerito la domanda.

 

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