Sono uno dei tanti nipoti del “Cavatore di sabbia” e de “La donna che rimpagliava i fiaschi” (Storie vere già pubblicate). La sabbia ed i fiaschi, insieme, riuscivano qualche volta a farci sorridere: compravamo il “semelle”, piccolo dolcetto con i semi di anice sopra. Ma c’era il lungo periodo ’40-’45, interminabile, come la fame che costantemente ci faceva compagnia.
Non avevamo i giocattoli se non un cavallino piccolo di cartapesta color grigio che era incollato su una tavoletta rossastra con le ruotine metalliche.
Ci animava molto un gioco che facevamo sulla riva sinistra dell’Arno, con aquiloni che costruivamo con carta colla e corda. La gara era a chi riusciva a mandare il proprio più in alto: era una inconscia voglia di volare via.
Poi in cielo non volarono più quei nostri colorati “desideri”. Cominciarono a volare oggetti grigi, che facevano un gran rumore, inconfondibile ed indimenticabile. Venivano a salvarci ed uccisero i nostri aquiloni.
Durante uno di questi “salvataggi”, noi della famiglia ed un altro migliaio di persone, impaurite e costrette, si partecipava alla Santa Messa nel Duomo di San Miniato (Pisa). Era il 22 luglio del 1944. Alle ore 9.45 enormi scoppi, polvere, grida, sangue e poi silenzio per 55 persone. Costretti dai nazi-fascisti ad entrare nel duomo, fummo colpiti da una o più granate “amiche”. Questa la versione ultima ufficiale sull’accaduto, ma quello che rimane nella memoria dell’allora ragazzino di sette anni è la paura e l’incomprensione del fatto che due eserciti in conflitto volevano in quel modo salvarci.
Scappavamo da una città ad un’altra, da una località ad una che ritenevamo più sicura, ma quei tetri “aquiloni”, che noi ragazzi non potevamo controllare col nostro filo della gioia di vivere come facevamo con quelli di carta colorata, lasciavano tappeti di macerie e di morte.
Poi tornammo a casa, a Livorno. Mio padre trainò un piccolo carretto con due stanghe fin da San Miniato dove, sopra oltre due sacchi di masserizie, c’ero io e mia madre, che attendeva un figlio, seguiva con una bicicletta con i cerchioni di legno e i fascioni fatti con tubi di gomma aggiuntati con filo di ferro. Durante il viaggio, che facemmo in più tappe, ci fermammo a dormire in un fienile: fu la prima notte di pace, silenziosa, ma con il rumore delle Fortezze Volanti che ormai era nel sangue.
Quindi la lenta ripresa, gli anni della scuola, il concorso di Aiuto Macchinista nelle Ferrovie dello Stato, le lotte sindacali e politiche. E poi la fotografia come passione, che dal 1968 mantengo attiva.
INFORMAZIONI
Giuliano Bagnoli
Vice Responsabile del Gruppo Fotografico DLF Livorno
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