IL NEGOZIO

Hobby Scrittura
Grandezza Carattere

Tirava un forte vento. Il buio era calato improvvisamente: la pioggia pareva vicina. Luciano guardava fuori, con la porta chiusa. Delle foglie volavano alte, in giro non c’era nessuno. Tornò verso il bancone, pensoso. Prima di un temporale provava sempre un leggero senso d’angoscia, come se qualcosa dovesse modificarsi d’un tratto. Ed eccola, la pioggia; impetuosa e improvvisa.

Per un po’ distinse le prime gocce, poi tutto si confuse tra tuoni e lampi. L’acqua, a folate, bagnava le vetrine.

La porta si aprì all’improvviso, facendo tremare l’imposta. Entrò una donna alta, distinta, preoccupata soltanto di darsi un’asciugata.
Con le braccia larghe, si osservava tutta: le scarpe, i jeans attillati e leggermente scoloriti, il giubbotto a vita alta. Poggiò l’ombrello in un angolo e tentò di sistemarsi i capelli.

“Buona sera”, azzardò Luciano. La donna non rispose: continuava a battere i piedi sul tappetino, con forza e convinzione. Le sue mani schiaffeggiavano i fianchi, ripetutamente.
“Posso aiutarla?”, domandò Luciano.
“Mi scusi”, rispose. “Piove troppo forte”. Lei continuava a ravvivare i capelli, questa volta con la testa un po’ all’indietro. Si avvicinò comunque al banco. Dalla borsa tirò fuori una fotografia, piuttosto sgualcita. “Vorrei ingrandire questa”, disse.
“E’ messa male, quest’immagine di sua mamma”, precisò Luciano. “Comunque la metteremo a posto”.
“Come fa a sapere che è di mia madre?”, chiese la donna.
“Certe cose s’intuiscono, soprattutto praticando il mio mestiere”. “Si metta comunque a sedere su quel divanetto”. “Tempo ne abbiamo”.
Lei accettò l’invito e si accomodò elegantemente. I jeans attillati mettevano in mostra le lunghe gambe. Mosse ancora indietro i capelli e iniziò a frugare nella borsa.
C’era tanta dignità, nella postura della donna, sommata a un senso di rimpianto. Pareva quasi che il passato le pesasse dentro. Luciano se ne era accorto.

Come spesso accade, il temporale era passato velocemente. Una luce chiara e limpida abbagliava le vetrine.
“Ecco un altro bambino che farà goal”, disse Luciano.
Era entrata una signora con il figlio sul passeggino.
“Vorrei una foto tessera per lui”, aveva detto.
Il bambino, seduto sullo sgabello, proprio non voleva sorridere. Ogni tanto alzava le braccine in senso di esultanza, poi tornava serio.
Alla fine, tutto finì bene; e la mamma rimase soddisfatta. Con dei gesti che parevano un rito, Luciano rifinì i quattro rettangolini e li inserì in una bustina.
“Ha visto?”, chiese alla donna seduta. “Un’altra storia inizia nel mio negozio”.
Lei lo guardò esterrefatta, come se non avesse sentito, poi disse: “Mi chiamo Patrizia, erano anni che non tornavo da queste parti”.
“Allora è una storia che torna, con anche quella della mamma”, suggerì Luciano.

Quasi con un ritmo cadenzato, entrarono altre persone in negozio. Le richieste erano disparate: album, cornici, stampe.
C’era chi, nella foto tessera, avrebbe voluto ritrarsi con il cappello. Tanti arrivavano col telefonino, per riprodurre le immagini su carta.
Patrizia, la donna della pioggia, guardava tutti con attenzione.
“Mi piacciono le cornici”, disse. “Ne voglio una per la fotografia di mia mamma”.
“Prima mettiamola a posto, poi ne scegliamo una”, rispose Luciano.
“La cornice è un segno di garbo?”, chiese Patrizia.
“No, è un modo per vedere, direi; comodamente e con più attenzione”. “Poi si concede la visione agli altri”.
“Mia madre la voglio per me”, ribadì la donna.
“E perché mai?” domandò Luciano. “Noi non siamo nostri”. “E’ bello far emergere la splendida singolarità di ciascuno”.
“Sono stata cattiva con lei”, disse Patrizia. “Sono …”
“Sei fuggita”, esclamò una voce maschile.
Lui era alto, imponente, solo leggermente sovrappeso. I capelli neri erano folti, tirati indietro con cura; il suo sguardo acceso, anche se nascondeva una timidezza antica.
“Ciao Paolo”, disse Luciano.
“Vi conoscete voi due?”, chiese Patrizia.
“Sì, certo”, fu la risposta. “Ha frequentato tutti i nostri corsi di fotografia; si è appassionato molto”.
“Non sono fuggita”, ribadì la donna della pioggia.
“Te ne sei andata, preferisci così?”, suggerì Paolo. “Qui non ti andava bene niente”.
“Devi ritirare delle fotografie?”, chiese Luciano.
“Sì, e stamparne delle altre”.
“Hai una passione?”. “Strano”, disse la donna della pioggia.
“Lasciamo stare, oggi non mi sento tanto bene”, rispose l’uomo.
“Ah, sì; questo me lo ricordo”.
“Lasciamo perdere”, ribadì lui. “Sei l’ultima persona che avrei voluto incontrare”.
Si era formata una piccola coda. Due futuri sposi stavano sfogliando l’album poggiato sul leggio.
Sembrava che tutti avessero iniziato a vedere improvvisamente, nel tentativo di cercare una verità nascosta, mai percepita. Costruivano ricordi, ecco tutto; racconti per il cuore. Patrizia sentiva di averlo compreso e guardava continuamente la fotografia di sua madre.

Paolo in disparte sembrava assente. Era sbiancato in viso e la fronte gli s’imperlava di sudore.
Fece cadere le buste che stringeva tra le mani e cominciò a guardarsi attorno, come per trovare un sostegno solido. Patrizia se ne accorse e andò verso di lui.
“Vieni con me, stai tranquillo”, gli disse.
Lui si affidò completamente a lei, che premurosamente gli cinse la vita, come per sorreggerlo.
“Andiamo sul divano”, ribadì Patrizia.
Paolo obbedì, senza parlare. Si sedette, chiuse gli occhi e appoggiò la testa sulla spalla di lei, che continuava ad abbracciarlo con affetto.
Patrizia cambiò espressione. Un sorriso le addolcì il viso, come se si fosse ritrovata. Guardò Paolo, che sembrava riposare. L’abbracciò più comodamente, passandogli poi la mano tra i capelli neri.
Erano folti, robusti, ma anche morbidi; lasciavano scoperte solo le tempie gentili e spaziose, bianche e lisce.
“E’ solo una crisi di panico”, disse Patrizia rivolgendosi ai clienti; perché ormai i due avevano destato la curiosità di tutti.
“Serve aiuto?”, chiese qualcuno.
“No”, ribadì lei. “Tra qualche istante sarà tutto passato”.
Un ragazzo le portò le buste cadute.
“Grazie”, rispose la donna; e con la mano le poggiò sulle gambe unite. Le sarebbe piaciuto aprirle, ma resisteva alla tentazione. Da anni non vedeva Paolo e aveva paura di invadere un ambito intimo, privato.
Mai avrebbe immaginato che si sarebbe messo a fotografare, così pensava ai soggetti eventualmente scelti da lui, alle persone ritratte, alla prossimità capace di incuriosire quell’uomo che adesso stringeva in un abbraccio timido ma consistente.
“Guardale pure”, disse Luciano.
“Come?”, chiese la donna.
“Apri le buste e osserva gli scatti di Paolo”. “Lui li fa vedere a tutti, durante i corsi”.
Patrizia iniziò con la prima, con garbo e senza fretta. Le fotografie erano grandi. Riconobbe paesaggi, notturni, la luna piena.
“Non sono male”, ebbe modo di dire.
“Eh, sì; Paolo è bravo”. “Migliora in continuazione, anche perché ha un carattere sensibile”, aggiunse Luciano.
Patrizia aprì le altre buste, sempre delicatamente e con una curiosità crescente. Vennero fuori dei ritratti: volti partecipi, indagati a fondo, interpretati per ciò che rappresentavano esteticamente.
“Sembra di vederlo Paolo, quasi a specchiarsi nelle espressioni altrui”, ebbe modo di dire la donna.
“Vero”, fu la risposta. “Lui è in grado di imbastire una relazione con i suoi soggetti; e poi vuole esserci nello scatto, diventare riconoscibile”.

Rimase l’ultimo involucro, più piccolo degli altri. Al tatto s’intuiva che all’interno vi era una sola fotografia. Patrizia l’aprì e ne rimase sorpresa: il soggetto era lei! Riconobbe il momento: una gita di tanti anni prima. Si vide giovane, entusiasta, forse consapevole di sé.
Guardandosi, non riusciva a comprendere come di lì a poco sarebbe potuta scappare: dalla madre, dagli amici, da Paolo.
“Sono io”, disse Patrizia. “Quella che ha fatto soffrire tante persone: sembra impossibile”.
“La vita spesso nasconde delle sorprese, delle quali non sempre siamo responsabili”, affermò Luciano.
“Ti ricordi?”. Era Paolo a parlare. Il volto aveva ripreso colore, ma lui non si staccava dall’abbraccio di Patrizia.
“Sei bravo come fotografo”.
“Grazie, diciamo che mi piace”.
Il negozio continuava a pulsare di vita. Cornici, stampe, foto tessera: la richiesta era continua; e le storie s’intrecciavano senza sosta. Tutti volevano vedere meglio, guardandosi a ritroso e costruendo ricordi per il futuro.
Entrò un’altra mamma con un bambino.
“Anche lui vuol fare goal?”, chiese Patrizia.
“Può darsi, vedremo”, rispose Luciano.
Oltre le vetrine, un buio intenso minacciava ancora pioggia. Si era alzato il vento e i lampi illuminavano a tratti il palazzo di fronte.
“Andiamo”, disse Patrizia.
“Dove?”, chiese l’altro.
“Non lo so, dobbiamo ricominciare”.

I due adesso erano in piedi, l’uno di fronte all’altra. Lui sembrava ancora più alto. Entrambi si guardavano con intensità, catturando l’attenzione dei tanti presenti.
Patrizia sorrideva, Paolo aspettava. Lei gli spettinò i capelli con un gesto antico, tutto loro. Lui le cinse la vita e la guidò fuori.
Iniziava a piovere, ma la coppia non si spaventò.
“Patrizia, l’ombrello”, urlò fuori Luciano.
“Ah, sì: grazie”, rispose la donna.
“Ti sistemo l’immagine della mamma”. “La conoscevo, le ho scattato io quella fotografia”.

Luciano Marchi

 


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