Ci eravamo trovati davanti al negozio, in una giornata piovosa. Per strada, neanche una parola. Su una Porrettana allagata, cercavo di incuriosire il mio amico. Allo specchietto, il Corno alle Scale s’intravedeva tra le nubi. Solo a Vergato aprì bocca.
“Non ne ho il coraggio”, mi disse.
“Non ti preoccupare, vengo io”, risposi.
Un mio amico doveva liberare una cantina, per fare spazio; e lo preoccupava ciò che avrebbe trovato, per via dei ricordi.
E’ un destino dei giorni nostri: liberare dei pezzi di stanze, per accumulare altra roba, che poi verrà dimenticata. Oggi parliamo di ripostigli, magazzini, disimpegni; nulla a che vedere con le cantine dei nonni, dove si tenevano cose dall’uso “robusto” e anche derrate alimentari; oltre all’immancabile vino buono.
Aprimmo la porta e ci accolse un odore umido, quasi stantio; ma il sapore era buono. Una striscia di luce veniva giù da un finestrino basso: densa di polvere e attraversata da qualche insetto.
“Da dove cominciamo?”, chiesi.
“Non saprei”, mi rispose l’amico, “Forse dalle cose più grandi”.
In giro c’erano tanto oggetti curiosi: una ruota da bicicletta, una valigia antica, scatoloni pieni di libri, un’aspirapolvere, radio antiche.
“Con quella mio nonno ci sentiva le opere, al giovedì sera”, disse l’altro cogliendo il mio sguardo. “E le cantava anche”.
“Quello cos’è?”, domandai …
“Oddio, l’avevo quasi dimenticato; è finito in cantina troppo presto”.
L’amico si sedette su un baule, lasciandosi andare; con lo sguardo fisso sull’oggetto misterioso.
“C’eravamo tutti”, disse, “Per l’ultima volta”. “Passammo il Natale qui in montagna, come mio padre desiderava da tempo”. “Mio nonno aveva preparato un albero natalizio sul terrazzo, all’aperto, usando un ginepro”, “La neve lo copriva tutto, ma le luci continuavano a funzionare, diventando cristallo”.
“E quell’affare?”, chiesi.
“Ai tempi era l’ultimo modello, un Geloso: roba seria; i tasti sono colorati e le bobine grandi”. “La velocità era regolabile”.
“Sì, ma…”.
“E’ un registratore”.
“Anche mio fratello ne aveva uno…”, risposi.
L’amico si alzò, lo prese e si sedette di nuovo, sconsolato. Con una mano provò a togliere un po’ di polvere, mai i ricordi presero il sopravvento, così si sistemò l’apparecchio sulle gambe chiuse. Le sue mani non sapevano dove poggiarsi.
“Me l’avevano messo in un pacco grande”, iniziò a raccontare. “E io non capivo cosa potesse contenere”. “L’aprii: la sorpresa fu grande; per l’emozione mi misi a piangere, tra i sorrisi dei miei”.
“Provalo”, disse mio padre…
“Con cosa?”, risposi. “Nel nastro non ci sarà nulla…”.
“Almeno vediamo se gira”, insistette il genitore.
“Così facemmo, ma all’improvviso si sentirono dei violini e poi una voce; era Bing Crosby che cantava Bianco Natale”. “Dopo un po’, uscirono anche le voci di mio babbo e mia mamma < Buon Natale>, dicevano; prima l’uno, poi l’altra”.
“Furono altri pianti, ovviamente; ma non solo miei”, continuava l’amico. “Dopo Bianco Natale, attaccò la fanfara dei bersaglieri, per mio nonno (ragazzo del ’99)”. “Anche lui lucidò gli occhi, togliendosi il bertocco e stringendolo tra le mani”.
“I miei genitori avevano preparato tutto di nascosto”.
“Un bel ricordo”, dissi.
“Passammo tutto il 25 pomeriggio a registrare ogni cosa, tutti intorno a un tavolo”. “Mio nonno stava inginocchiato sulla sedia, come suo solito; io ero seduto davanti al misterioso marchingegno; mio padre leggeva le istruzioni, tentando di intuire le funzioni aggiuntive”. “Furono memorizzate poesie, canzoni, barzellette, persino telegiornali: tutto”. “Nella registrazione si sentiva spesso <Zitti, stiamo registrando!>”.
“I dilettanti, lo sappiamo, lasciano dietro tracce di sé”. Mentre tentavamo di registrare una canzone alla televisione, entrò mia Zia”.
<Carolina!>, disse …
<Veni avanti>, fu la risposta di mia nonna.
“Abbiamo ascoltato quel nastro cento volte e mia nonna s’ingannava sempre”. “Dal cucinotto rispondeva <veni avanti>, anche quando mia Zia non c’era”.
“Ascoltiamolo, dai”, proposi.
“No, meglio di no” rispose l’amico. “Quelle voci posso ricordarle solo io; nessuno è in grado di riconoscerle”. “Lasciamole dove sono”.
Lui rimase lì ancora qualche minuto, con la commozione nel respiro. Nella sua mente tanti ricordi, ma uno più forte degli altri:
<Carolina>
<Veni avanti>
Il ritorno fu come l’andata a Vergato: in silenzio. Davanti al negozio, ci salutammo e lo vidi andar via col solito passo lento.
Il Natale è per la gioia condivisa, quella che io vi auguro.
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Luciano Marchi
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