Ne ho scattate tante nella mia vita, che non posso neanche ricordarne il numero: sono volti, ma anche idee, espressioni, modi di vivere, atteggiamenti; le foto tessere, appunto. Ho sempre affrontato quello scatto con tanto rispetto, forse anche con umiltà; ed anche oggi è così.
Le immagini vanno a finire su dei documenti, per un utilizzo preciso.
Eppure, se ci pensiamo bene, la persona deve essere riconoscibile, per come appare nella vita: quella fotografia serve a stabilire che chi mostra il documento è proprio lui (o lei), e non un altro.
Stiamo parlando di poco?
No, se ci pensiamo bene: quel quadratino accompagna la nostra esistenza, per anni; e poi, chi la guarda, generalmente non ci conosce, eppure accetta di buon grado uno scatto giovanile, i capelli un po’ più lunghi, l’occhiale che non portiamo più.
La vita cambia e la foto tessera ce lo suggerisce: prima di altre cose.
“Dovrei fare una foto tessera”, generalmente mi dicono; e nella frase c’è sempre l’importanza del momento.
In due stiamo fermando il tempo: uno privato, e rivolto al futuro; l’altro di oggi, il mio; che però sento il domani che diventa ieri, ogni giorno di più, quello della fotografia che sto per produrre.
“Prego si accomodi”, rispondo. “Ecco si metta lì, bene”. “Mi guardi, sì”. E poi: “Un piccolo sorriso, bene”.
La responsabilità è reciproca, come le attenzioni.
Siamo in due dentro una lanterna magica, in una piccola vita parallela sulla quale siamo saltati all’improvviso, consapevolmente.
Certo, gli atteggiamenti sono tanti.
C’è chi dice di avere fretta, chi chiede se può fermarsi, chi ha i bambini con sé (generalmente le mamme) o chi deve far fare la foto proprio a loro.
Già, i bambini: fantastici.
Da loro pretendiamo un comportamento adulto, quando forse non comprendono.
Sarebbe bello, e giusto, che fossero altri ragazzini a guardare le loro immagini, per una questione di tempo, e di vita.
Ma per i giovani l’esistenza è senza ore (beati loro), forse per sempre; e me lo fanno vedere spesso, anche in fotografia.
Le foto tessera, mi piacciono sempre più. La maggioranza finisce nei certificati, ma alcune rimangono nel cassetto che contiene tutto: dalle forbici, alla penna a biro, fino a quel nastro adesivo del quale non troviamo più il capo.
Loro, le fotografie, quasi annuiscono, proponendosi; ed è sempre una mano esterna a guardarle, un visitatore occasionale che casualmente apre quel cassetto, per curiosare.
Può essere un figlio, un nipote; ma rimane pur sempre uno spettatore inconsapevole, ma deciso a guardare.
Oggi viviamo l’era dei social, di Facebook. Ci si scatta un “selfie” e la si posta (così si dice) per avere dei “like”.
I guardanti sono lontani, amici “di rete”; eppure avvezzi alla nostra immagine e a ciò che compone la nostra storia.
Le foto tessera, da tempo, hanno fatto molto di più: con loro siamo nella società, quella che si tocca; e a guardarci non sono i soliti compagni di solitudine (tale è l’amicizia della rete), ma emeriti sconosciuti: che ci guardano, riconoscendoci, forse addirittura interpretando un volto.
Ne ho scattate tante nella mia vita, che non posso neanche ricordarne il numero.
Ne vado però orgoglioso: per quelle dei documenti, ma soprattutto per le altre.
Rappresentano respiri di vita regalate al prossimo, e che ci offrono delle possibilità: guidare, viaggiare, curarci, vivere.
Non sarà Facebook, ma di certo è Facelife: dove il volto è la vita concreta.
“Vorrei una foto tessera”.
“Prego si accomodi”
In due iniziamo un piccolissimo viaggio: io per riflettere, lei (o lui) per tornare a vivere.
Meglio.
INFORMAZIONI
Luciano Marchi
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