Era comparsa all’improvviso, come dal nulla. Aprendo un cassetto del vecchio scrittoio, una scatola antica l’aveva riportata alla luce: la stilografica della prima comunione. Non vi erano segni d’usura, perché evidentemente una madre previdente l’aveva conservata per delle scritture importanti, certamente non quelle infantili.
Al tempo, questa era l’abitudine: demandare al domani ciò che oggi sarebbe stato superfluo; e questo valeva anche per i giocattoli “sofisticati”: “Li userai quando diventerai più grande”, diceva la solita madre previdente.
Seduto sul letto, il nostro scopritore pensava agli anni passati e anche a come erano cambiate le cose, gli atteggiamenti, le abitudini.
La rinuncia veniva affrontata per “il domani”: non nel senso dell’investimento, ma per un istinto conservativo. Un oggetto messo da parte sarebbe tornato utile: per un uso migliore o anche in mancanza di meglio. E poi, c’era il ricordo: quanto messo nel cassetto buono avrebbe risvegliato la memoria, con rispetto (del passato, questa volta).
Elucubrazioni, pensieri, ricordi, paralleli; tutto questo aleggiava nella mente del nostro, che a un certo punto si domandò: “Baratteresti questa stilografica con un iPhone?”.
Sì, perché oggi il regalo “tipo” è proprio quello: lo smart dei sogni, il segno distintivo, l’elemento di connessione per il branco. La domanda non ebbe una risposta, sollevando in realtà una miriade di dubbi.
Di certo, nessuna madre previdente avrebbe nascosto l’apparecchio telefonico per un domani migliore: non ne sarebbe valsa la pena. Quell’iPhone non avrebbe retto il confronto con la stilografica, neppure volendo.
Ne sarebbe scaturita una battaglia improponibile: tra oggi e domani; tra una visione a breve e un’altra che avrebbe guardato al futuro, responsabilmente.
Di certo i nostri nonni (e forse anche i genitori) fabbricavano ricordi: non per nostalgia, ma a mo’ d’insegnamento; oggi tentiamo di costruire emozioni, per dare un senso al tempo che viaggia, all’oggi da affrontare.
La stilografica era ancora lì, nella mano sinistra di chi l’aveva ritrovata.
Nella sua tasca, una chiavetta USB tentava di mostrare se stessa, sollevando la stoffa dei pantaloni. Dentro sarebbero dovute esserci le ultime fotografie: i sorrisi e le emozioni da far rivivere subito, immediatamente. “Voglio provarci”, disse a se stesso.
Ripose la stilografica nella scatola, per un futuro migliore; e pensò a quell’immagine ventura da dedicare al domani, a chi avrebbe potuto vedere.
Una fotografia sarebbe bastata: nello stesso cassetto.
Luciano Marchi
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