La piazza era deserta.
Giulio la vedeva attraverso le vetrine del suo negozio.
Gli addobbi natalizi si riflettevano sul palazzo di fronte.
Era la sera della vigilia di Natale, un momento per riflettere: su se stesso, ma anche sulla vita in genere. Un anno era passato: faticoso, eppure soddisfacente.
Se lo diceva con un po’ d’orgoglio, pensando anche alla famiglia e rammentando gli amici che da sempre lo cercavano. Si sentiva bene.
Stava chiudendo l’ultima imposta.
“Buon Natale, Giulio”.
Lui fu costretto a volgersi di scatto.
“Ciao, Frank”, rispose, ancora confuso. “Cosa fai qui, perché non sei a casa?”.
“Mi piace Porretta quando non c’è nessuno, soprattutto prima delle feste”, rispose l’amico. “Credo sia il mio posto”, aggiunse, “Quello che mi è stato assegnato”.
“E’ la vigilia di Natale, vuoi venire a casa mia?”, chiese Giulio.
“No, non posso”, fu la risposta. “Ti accompagno se vuoi”.
I due camminarono assieme, lentamente.
Gli addobbi luminosi brillavano di una tristezza antica, quella per la quale un tempo era già passato, forse quello che aveva accompagnato i due fino a quale momento.
“Veramente non vuoi venire?”, chiese Giulio.
“Scusa, ma non posso”, rispose Frank. “Voglio camminare, devo farlo”.
“Fa freddo, Frank; vieni a casa”, ribadì l’altro.
“Giulio, fammi ascoltare; il passato mi chiama”.
Così dicendo, tirò fuori un foglio dalla tasca. Era nero, spaventoso, annunciava che qualcosa stava per accadere, che la guerra avrebbe cambiato corso, da nord a sud.
“I tedeschi li lanciavano”, spiegò Frank, “Proprio qui, mentre il conflitto stagnava”. “Ancora oggi mi chiedo cosa provassero soldati e civili leggendo quei proclami”.
“Di certo paura”, interruppe l’amico.
“No, di più; molto di più”, aggiunse l’altro. “Ognuno s’interrogava sul proprio destino: cosa sarebbe successo se fossero tornati loro?”. “E se poi non avessero fatto nulla?”. “In discussione c’era l’identità personale, con tutte le implicazioni emotive conseguenti”. “Si viveva in una sorta di terra di nessuno, con, a tendere, due destini contrapposti”.
“Questo a Natale?”, chiese Giulio.
Frank spiegò con cura quanto accadde in quel dicembre 1944, subito dopo Natale.
Si trattò della Unternehmen Wintergewitter, la battaglia della Garfagnana; un attacco condotto dalle forze tedesche e della Repubblica sociale italiana.
“Le montagne parlavano”, aggiunse Frank; “E le notizie di quell’offensiva arrivarono anche qui, tra militari e civili”.
I due rimasero in silenzio sul marciapiede deserto.
Si guardavano a vicenda, senza pronunciare una parola. Era freddo e non bastava il bavero rialzato a lenirne gli effetti.
Giulio quasi istintivamente riprese a camminare, poi si voltò.
“Cosa fece la gente del posto?”, chiese. “E i soldati?”.
“Oh, si narrano leggende a proposito; storie forse non vere, ma di certo plausibili visti i momenti”. “L’unica alternativa non percorribile era rappresentata dalla fuga”. “Non esistevano mezzi utilizzabili, spazi da raggiungere”.
“L’Italia, ovunque si andasse, si configurava come un’enorme piaga: distrutta, inospitale”. “E poi i sentimenti pulsavano qui, con amicizie o parentele allontanate e spezzate dal conflitto e dalle idee”. “La soluzione non poteva essere cercata altrove”.
Giulio riprese a camminare da solo verso casa, superando l’amico di pochi metri.
Le sue sensazioni erano cambiate e quasi non capiva cosa gli stesse passando per la testa. Non era tranquillo come prima in negozio, quando tutto gli appariva logico o quantomeno consueto.
Pensava ai suoi monti, alla gente di allora, alle vite recise, alle gioventù consumate tra paura e idee. Forse ci si nascondeva per tutto, persino per amare.
“Ti aspetto a casa”, disse deciso. “Non possiamo lasciarci così”, aggiunse.
Continuò a camminare. Frank lo seguiva poco dietro.
Non parlavano tra loro, né si cercavano con lo sguardo. Sembravano una coppia di estranei, o peggio due amici che avessero appena litigato.
Ascoltavano l’uno il camminare dell’altro.
Giulio aspettò l’amico sulla soglia di casa, che giunse di lì a poco.
Si guardarono appena. Frank entrò, sedendosi dove l’amico gli aveva indicato. Non volle togliersi la giubba e al caffè preferì un bicchiere di vino.
“Raccontami, dimmi qualcosa”, suggerì Giulio.
“Cosa vuoi sapere?”, chiese l’altro.
“E’ la notte di Natale, ne parlavamo prima”, insistette il primo.
“Ti racconterò di un episodio strano”, rispose. “Quello del soldato Fred, forse una leggenda”. “Poi vado via, altre idee mi aspettano, altri pensieri”.
Frank iniziò il suo racconto.
Fred era seduto su un sasso. La notte era limpida e fredda.
Il fucile, verticale di fianco a lui, quasi fungeva da sostegno per le mani. Spesso avvicinava le guance alla canna, che, fredda come non mai, pareva incollarsi alla pelle.
Pensava, Fred, a come fosse ridotta la sua esistenza. I colpi di fucile che sentiva di tanto in tanto non bastavano a spaventarlo.
Ormai era il suono di quei monti, di giorno come di notte. Non si vedeva una luce, nemmeno attraverso le persiane della casa vicina. Era la guerra.
Il vento gelido lo infastidiva appena. A Chicago, la sua città, aveva provato di peggio.
In realtà si domandava chi fosse realmente e a cosa sarebbe valsa la sua vita. Ormai non provava più paura.
Lo rammaricava piuttosto il fatto di essersi trasformato in una medaglietta che, forse, un giorno sarebbe stata recapitata a qualcuno. Non era più nulla.
Un lampo balenò laggiù, verso Bologna; il cane della casa vicina iniziò ad abbaiare.
Poco distante si sparava e pareva d’udire anche delle voci. Quel foglio, tra le sue mani, rappresentava un monito terribile. Le grida diventarono più forti, e anche i comandi. Nella boscaglia s’intravedevano delle ombre, agili come animali selvatici.
Erano loro o i nostri? Cosa importava? Si trattava comunque di anime in pena, come lui. Rimase a guardare. Ci furono attimi di silenzio e istanti di fuoco. Lampi di fiamma bruciavano il buio, a ripetizione. Si udì un lamento.
Fred capì. Si alzò in piedi lasciando il fucile.
Il ghiaccio crepitava sotto i suoi piedi. Camminò verso la boscaglia, alle volte inciampando, ma rialzandosi ancora, a fatica.
Deambulava in maniera stentorea, eppure decisa. Le ombre si fermarono, qualcuno lo chiamò; ma lui andò avanti, aprendosi un varco tra i rami.
La divisa era diventata pesante e abbandonò giberne ed elmetto. Nessuno sparava più, né da una parte, tantomeno dall’altra. Alla fine della boscaglia, incontrò una piccola radura: l’attraversò.
Di là, più avanti, altri alberi e nuove ombre. Erano loro. Fred alzò le braccia. Qualcuno parlava, altri gridavano intimando.
Lui rimase fermo, immobile, cercando un volto, un’espressione. Sempre con le mani in alto, girò più volte su ste stesso. La battaglia si fermò per un tempo infinito.
Fred chiuse gli occhi. Vide una casa, sul Lago Michigan; e una bambina dai capelli rossi, su un’altalena. Il suo nome era June. S’incontravano tutti i giorni.
A lui bastava saltare lo steccato bianco e correre per un prato verde, fino al grande albero vicino alla casa. Lassù, su un ramo, passavano i lunghi pomeriggi d’estate.
Adesso il volto di June era davanti a lui, immenso; con i capelli rossi a coprirle gli occhi. Il giorno in cui avevano catturato una rana, lei gli aveva detto: “Vivremo insieme, anche da fratelli”, ma lui non seppe cosa rispondere. Poi lei era partita, col padre, alla volta di Cleveland.
Oggi le avrebbe detto: “Ecco tuo fratello Fred”. “Ti ricordi di lui?”; ma con lei di fianco forse non avrebbe trovato il coraggio di parlare, come troppo spesso gli capitava.
Fred aprì gli occhi. Gli avevano detto che il colpo di fucile si sarebbe sentito dopo, prima arrivava l’impatto: forte, definitivo; ma non accadde nulla.
Deglutì. Le braccia alzate cominciavano a formicolare. Un’ombra si mosse tra i rami, ingigantendosi. Sentì il suo petto palpitare. La sagoma divenne più grande, vicina, fino a mostrare un volto: sincero e con gli occhiali. Impugnava una pistola.
“Was möchtest du tun?”.
[Cosa vuoi fare?]
Fred non capì; lo dimostrò abbassando leggermente le braccia e accennando un piccolo sorriso.“Es ist nicht richtig, am Weihnachtstag zu sterben”.
[Non è giusto morire per Natale]
Il tedesco ripose la pistola nella fondina e allungò la mano.
“Gute Weihnachten”, disse.
[Buon Natale].
Fred non rispose, ma ricambiò il gesto.
I due si separarono, voltandosi di spalle. Quella notte non si sparò più.
Frank si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta. Giulio non volle fermarlo. Stando seduto lo guardò camminare per quei pochi metri, poi chiese:
“Come andò a finire?”.
Frank si voltò, mostrando un sorriso:
“Fred sapeva cosa dire a June”.
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Luciano Marchi
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