Il chiodo aveva ceduto. Con un tonfo, erano caduti tutti i calendari appesi al muro, trascinandosi dietro altre cose affisse: ricette, cartoline, fotografie, appunti. Sì, perché lui i calendari non li buttava mai via. Preferiva conservarli, anno per anno: sullo stesso chiodo.
Per mettere un po’ d’ordine fu costretto a spostare il tavolo della cucina, stando attento ai vetri di una cornice andata in frantumi.
Il mucchio di carta caduto pareva una piramide inestricabile. I calendari, più corposi, erano rimasti vicino al muro; i foglietti, leggeri, svolazzando avevano occupato tutto il pavimento.
Ironia della sorte, si intravedeva, quasi in piedi, l’annata più vecchia: il 2015. Solo osservando la prima immagine, Gianni ricordò tutto. I mesi, interpretati nelle fotografie, suggerivano ricordi, oggi più consolidati e percepibili.
“Cos’è successo?”, chiese Caterina, la moglie.
“Sono caduti tutti i calendari”, rispose lui.
“Certo, hai la mania di conservare tutto; ecco cosa succede”.
“Se fosse per te, basterebbe soltanto lo stretto necessario per la quotidianità”, affermò Gianni con forza.
“Se non altro, ci sarebbe più ordine”, ribadì la moglie uscendo dalla cucina.
Già, l’ordine: per Caterina rappresentava un’ossessione; e lui non riusciva a farvi fronte. C‘era sempre qualcosa fuori posto, in ogni locale della casa.
Gianni riprese in mano il 2015: prima lo soppesò con cura, poi ne sfogliò ogni singola pagina. Riconobbe i luoghi, ma anche la gente che vi aveva abitato. Quanta neve, quell’anno; e che freddo d’inverno. Venne comunque attratto dai circoletti che indicavano i vari giorni.
“Cosa abbiamo fatto il 2 febbraio?”, chiese a voce alta.
Caterina dall’altra stanza rispose: “Non lo so, non ricordo”.
“Nel 2015”.
“Addirittura, mi fai una domanda difficile”.
Gianni riuscì a riconoscere tutti i circoletti: le gite, gli esami del sangue, gli anniversari e via dicendo; ma quel 2 febbraio proprio non gli ricordava nulla.
Si mise a sedere. Nonostante il rimprovero di Caterina, a Gianni non dispiaceva l’accaduto, anzi. In un certo senso voleva dire riappropriarsi del tempo senza fatica; bastava un foglietto, un appunto e tutto tornava alla memoria: storie, persone, episodi, istanti.
E poi c’erano i calendari, che riassumevano un’annata intera. Ne raccolse un altro, dopo aver impilato (con ordine, questa volta) tutti i bigliettini. Già dalla copertina seppe ricordare le immagini dei mesi successivi, e anche le stagioni.
“Ricordi Caterina?”, domandò. “E’ stato un bel viaggio quello del 2016”.
“Certo”, rispose la moglie. “Siamo andati in Francia”.
Di circoletti ce ne erano tanti in quell’annata: gli esami del sangue, i compleanni, quel ricovero improvviso per via del mal di testa; ma poi eccolo lì: ancora il 2 febbraio.
“E’ segnato il 2 febbraio anche nel 2016”, disse a voce alta.
“Metti in ordine, anziché perdere tempo”, affermò Caterina; che intanto si era seduta vicino il lato corto del tavolo.
“Voglio vedere un calendario anch’io, dammene uno”. Gianni le porse il 2017.
Ed eccoli lì, i nostri due coniugi. In silenzio sfogliano immagini di mesi e anni. Entrambi indossano gli occhiali e abitano quella cucina che li ha visti ospiti da sempre: pochi mobili, consunti in alcuni punti, ed anche qualche accessorio che parla di modernità, una macchina per il caffè e l’immancabile televisore.
Stanno in silenzio, per un po’, i due. Poi inizia un dialogo di rito.
“Sono già le sei”, dice lei. “Devo preparare la cena”.
“Non ci corre dietro nessuno”, risponde lui; una frase omologata e ripetuta per anni.
“Certo che sono belli questi calendari”, pronuncia Caterina.
Gianni stette in silenzio, saltava da un’annata a quell’altra quasi con agitazione. C’era qualcosa che non lo convinceva.
“Mi rispondi?”, chiese la moglie.
“Cosa?”
“Ti ho detto che mi piacciono i calendari, anche se hanno fatto cadere tutto”.
Il marito rimase in silenzio. Caterina comprese, lui si comportava spesso in quel modo, soprattutto se più di un pensiero popolava la sua mente. Lei gli voleva bene anche per questo: quando taceva, assumeva un’espressione giovanile, quasi infantile; questo nonostante il tempo avesse già imbiancato i pochi capelli.
“Sempre il 2 febbraio, anno per anno …”, esclamò ancora Gianni.
“Non sapevi sciare”, disse Caterina.
“Come?”.
“Non hai neanche mai imparato”.
“Forse non ne ero portato, ma qualche discesa l’ho fatta”.
“Eri ridicolo, quel giorno”.
“Quando?”.
“Partivamo con la corriera per il Corno*. Un’amica mi disse che sarebbe arrivato un ragazzo nuovo. Eri tu”.
“Io?”.
“Sì, vestito come Zeno Colò: pantaloni larghi, scarponi con i lacci, berretto di lana con pon-pon”.
“La moda dei tempi …”.
“Eravamo nel ’75 e si vestiva diversamente”.
“Nel ’75?”.
“Sì, il 2 febbraio: è il giorno in cui ci siamo conosciuti”. “Più volte abbiamo promesso a noi stessi di andare al Corno*, per festeggiare un anniversario in più, quello privato”.
“E allora …”.
Al posto del chiodo adesso c’è un gancio robusto. Nulla è cambiato in quella cucina: i calendari sono al solito posto e anche le fotografie e i foglietti.
I due sono poi andati al Corno*?
Non lo sappiamo, bisognerebbe chiederlo a loro; ma hanno modo di ricordare quel giorno tutti gli anni: con quel circoletto rosso da aggiungere al 2 febbraio.
Luciano Marchi
(*) Corno: il Corno alle Scale (1.945 metri slm) è una montagna dell'Appennino tosco-emiliano (appennino bolognese e montagna pistoiese), situata nel territorio del comune di Lizzano in Belvedere, con il versante settentrionale e la vetta inclusa interamente nell'area della città metropolitana di Bologna, della quale costituisce la maggiore altitudine e parte del versante meridionale inclusa invece nel comune di San Marcello Piteglio in provincia di Pistoia. Il nome deriva dalla singolare forma della parete settentrionale, costituita da una serie di balze rocciose a gradinate.
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