Non ci facciamo mancare nulla: dopo crisi economiche, politiche, ponti che cadono, treni che deragliano, ecco la pandemia. Negozi chiusi, strade deserte, mascherine: oggi in molti sono soli in casa, spaesati, perplessi, impauriti; tutti si domandano come andrà a finire e, soprattutto, quando.
Del resto, fuori casa lo scenario non cambia: siamo tutti contro tutti, intenti a misurare (a vista) quel metro di distanza che pare essere di speranza.
Abbiamo applaudito i medici (encomiabili!), che rappresentano l’alter ego della situazione (noi a casa; e loro che si stanno facendo in quattro per far sopravvivere) e cantato l’inno di Mameli alla finestra.
D’improvviso i “teatri” del ventunesimo si sono rivelati inutili: il calcio, la Formula 1, lo sport, l’economia creativa, gli spettacoli vari, persino quella TV di urlatori da campagna elettorale che ormai vive di città deserte, mascherine, contagi.
Alla fine, ci viene in aiuto proprio quella casa che ci ha accolto in silenzio.
Da lì potremo ripartire, per comprendere ciò che è veramente importante per noi; e anche per quel prossimo al quale contiamo, un giorno, di poter stringere la mano.
Se frughiamo nei cassetti dimenticati, probabilmente verrà fuori un po’ della nostra storia e anche quella fotografia che ci farà ridere, piangere, meravigliare.
Ma potremo anche scattarne, di fotografie, proprio tra le mura domestiche, costruendo insieme un racconto di noi, visto dall’interno, in intimità.
Quando le guarderemo assieme, ci accorgeremo di avercela fatta, in barba ai perplessi, agli speculatori, a coloro che da un’isola del nord inneggiano all’immunità di “gregge”.
Luciano Marchi
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