Il Casellante

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Tra i personaggi che popolavano il mondo della ferrovia, il casellante era certamente uno dei più noti, sul quale gravavano grandi responsabilità: era un mestiere dalle attività relativamente semplici da cui però potevano derivare gravi conseguenze anche a causa di piccoli errori.

Il compito del casellante era quello di custodire i passaggi a livello ed azionare al momento giusto le manovelle per abbassare le sbarre al passaggio dei treni e poi rialzarle per consentire il transito dei veicoli sulle strade attraversate dalla ferrovia.

Attorno alla metà del XIX secolo, il passaggio dei treni non era molto frequente e lo era ancora meno quello sulle strade, spesso sterrate e di campagna, percorse da sporadici veicoli trainati da cavalli, cosicché gli incidenti erano rari.
In un primo tempo il casellante si atteneva alle tabelle orarie e abbassava le sbarre parecchio in anticipo rispetto al passaggio previsto del treno, creando in caso di ritardo lunghe attese alle barriere. Per fortuna, con il tempo, oltre ad aumentare il traffico di treni e di veicoli sulle strade, la tecnologia fece passi in avanti e il treno venne così annunciato dalle segnalazioni acustiche elettriche: il casellante in questo modo aveva tutto il tempo di abbassare le barriere e controllare la strada su cui circolavano i pedoni o le carrozze trainate dai cavalli. I treni viaggiavano alla velocità di 50-60 km/h e le carrozze su strada non offrivano di certo le prestazioni delle attuali automobili!

Verso gli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento, i treni iniziarono a circolare a maggiori velocità, raggiungendo facilmente i 100 km/h. Non solo erano più veloci, ma anche più lunghi e pesanti, richiedendo così lunghi spazi di frenatura. Se una carrozza a cavalli fosse rimasta bloccata tra le barriere del passaggio a livello, non sarebbe stato possibile fermare il treno in tempo, a meno che il casellante non si fosse messo a correre sui binari incontro al convoglio.

Diversi furono i casi, per chi ne serba memoria, di casellanti che eroicamente riuscirono ad evitare tragedie, correndo a piedi o in bicicletta lungo il corso dei binari, suonando il corno di cui tutti erano dotati. La bicicletta era preziosa per questi e per altri spostamenti necessari alla vita del casellante, che aveva cura di mantenere sempre efficiente e pronta la sua compagna a due ruote per ogni eventualità.

Agli inizi del XX secolo, la diffusione dell’uso dell’automobile cominciò a porre nuovi problemi: la velocità, l’imprudenza e la negligenza degli automobilisti furono causa di numerosi incidenti.

La segnalazione acustica si attivava frequentemente e ogni volta il casellante doveva abbassare le barriere. Il rischio era quello di far l’abitudine a questa segnalazione e di non sentirla più. Il casellante, sia di giorno, che nei turni di notte, doveva mantenere alta l’attenzione e pronti i riflessi e in caso di incidente era chiamato a rispondere personalmente del suo operato.

 

 

I primi casellanti erano generalmente coloro che avevano perso il lavoro a causa dell’avvento della ferrovia, cioè, ad esempio, vetturini, battellieri, piccoli proprietari o braccianti dei fondi espropriati per la posa della strada ferrata. Era anche consuetudine dare la custodia di un passaggio a livello alle vedove dei ferrovieri deceduti per cause di servizio: una casa e un modesto salario potevano bastare loro per sopravvivere con i loro figli con un minimo di dignità.

Certo era un sacrificio partire dai propri paesi e andare a vivere con la famiglia in luoghi isolati, lontani dalla comunità e dai servizi, ma questo impiego rappresentava una possibilità di sostentamento reale fin dall’incarico temporaneo da parte delle compagnie ferroviarie come “casellanti assuntori”, cioè senza un vero e proprio contratto a lungo termine, a fronte di un compenso irrisorio ma con la grande comodità dell’uso dell’alloggio: ai casellanti spettava appunto l’alloggio gratuito in prossimità dei binari. Se invece abitavano in una casa propria non lontana dai passaggi a livello di loro competenza, spettava loro un’indennità mensile sostitutiva, che rappresentava un’ulteriore risorsa, a condizione che fosse garantita sempre l’efficienza e la puntualità del servizio.

Il “Casello ferroviario”, come si chiamava questa particolare casa cantoniera assegnata ai casellanti, poteva essere semplice o doppio. Le case semplici avevano una cucina al pianterreno e due locali al piano superiore; quelle doppie, con due entrate separate in locali ad uso cucina al pianterreno e quattro stanzette al piano superiore, erano destinate a due famiglie: quella del casellante e quella del cantoniere, addetto alla piccola manutenzione quotidiana dei binari e delle strade circostanti. Ogni casello era dotato di latrina esterna e di un forno per il pane, talvolta collocato nella cucina.

Gli assegnatari di alloggio dell’Azienda avevano l’obbligo di tenere pulito dentro e fuori, riparare i guasti e i danni prodotti e non dovevano assolutamente esporre biancheria o indossare capi di colore rosso e verde per non confondere i conduttori dei treni.
Era permesso coltivare un orto, allevare animali domestici e da cortile, in misura necessaria per la famiglia, mentre era rigorosamente vietato intrattenere attività di commercio, fare riunioni ed ospitare persone estranee alla famiglia.

 

Casello ferroviario ad Avola, in Sicilia

 

Negli anni Cinquanta del XX secolo, iniziarono le richieste dei casellanti assuntori per avere riconosciuti i propri diritti e, nel 1958, essi finalmente entrarono nelle Ferrovie dello Stato nel ruolo di impiegati. Contemporaneamente, però, un processo di rinnovamento volto alla sicurezza delle linee ferroviarie e al benessere lavorativo fece sì che questa professione, finalmente riconosciuta, andasse ad esaurirsi.

Già dagli anni ’30 del Novecento, i passaggi a livello furono progressivamente automatizzati; in seguito furono in gran parte soppressi, perché vennero realizzati al loro posto sottopassi o cavalcavia. La figura del casellante venne perciò eliminata. Essa resta solo nella tradizione e nella storia della ferrovia oltreché nei ricordi e nel cuore di molti di noi, ferrovieri e non, che ogni giorno incontravano sulla loro strada l’amico casellante, generoso dispensatore di sorrisi e di saluti.

Siamo grati alla tecnologia, ma l’amico casellante ci manca davvero!

 

Mario Cabitta, casellante in Sardegna

 

INFORMAZIONI

Sante Mazziero - DLF Milano
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